DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Gli estremisti della dieta. Così trovare il cibo giusto diventa un’ossessione. Ecco le nuove tribù alimentari


VERA SCHIAVAZZI
AFFETTATE finemente
un Brusselkale
(nuova verdura nata
dai cavolini di
Bruxelles e il sapore
amaro del cavolo russo) appena
sciacquato e conditelo con
poco olio di nocciola e un po’ di
farina di amaranto, rigorosamente
priva di glutine. Ed eccovi
finalmente introdotti nel circolo
più snob e più chic delle ossessioni
alimentari del 2015. Il
Raw vegan, cibo crudo e del tutto
privo di ingredienti animali è
di gran moda, si diffondono ricette
e manuali nonché istruzioni
per non farsi prendere dal
panico quando il passaggio a un
cibo tanto sano crea nausee e
senso di intossicazione a chi per
anni ha mangiato di tutto. Anche
smoothies e centrifugati
impazzano, e il fruttarianesimo
conosce una nuova stagione di
popolarità. Benché gli esperti
continuino a litigare tra chi ammette
il consumo di noci e semi
e chi lo ripudia, ammettendo solo
i frutti sugosi caduti dalla
pianta, perché ingerire i semi è
in contrasto con il gianismo,
che prevede che neppure i vegetali
possano essere uccisi. A
Torino, un padre è stato condannato
a dieci mesi per maltrattamenti:
aveva detto alle figlie
che erano grasse, obbligandole
a fare sci e a mangiare cibi
macrobiotici (cereali e legumi
in particolare, sulla base di una
dieta che distingue i cibi in yin e
yang). E ci sono casi anche più
estremi: il 17 gennaio Alain
Fourré è morto di fame, nella
sua casa vicino a Ivrea, dopo un
“digiuno di purificazione” durato
tre settimane.
In molti cercano di trasferire ai
figli le proprie scelte alimentari
(Sonda Edizioni ha appena pubblicato
“VegPyramid Junior”, e
cresce il numero di pediatri felici
di accogliere coppie vegetariane
con i loro figli) e nelle mense delle
grandi città ci si batte perché anche
l’opzione senza carni sia a disposizione
di tutti.
Oltre ai disturbi alimentari più
gravi, come anoressia e bulimia,
emergono vere e proprie manie,
imparentate non troppo alla lontana
con una ricerca delle intolleranze
che può espandersi fino ai
30 esami diagnostici ogni anno.
C’è una sorta di rifiuto del cibo, o
quanto meno del cibo come piacere.
«Cerchiamo di far diventare regolari
i nostri pasti fino all’ossessione,
spiegando anche ai bambini
che cosa mangiare e quando,
mentre è l’irregolarità l’unica
strada per proteggersi dalle malattie
e dall’obesità — spiega Fabio
Piccini, medico e psicoanalista
che si è dedicato agli studi in
Scienza della Nutrizione — Dalle
linee guida americane fino a quelle
nostrane la situazione non ha
fatto che peggiorare, mentre bisognerebbe
lasciare a tutti il piacere
di cibarsi di ciò che desiderano:
vegetariani un giorno, carnivori
un altro, e magari a digiuno
un terzo». Contro gli Ogm è nata la
Marker Assisted Selection, promossa
da Greenpeace: contadini e
biotecnologi scelgono le piante
più resistenti e le sviluppano. Ma
c’è anche chi al cibo non vuole proprio
pensare più. E preferisce sostituirlo
con beveroni nutrienti,
come il Soylent inventato da Rob
Rhinehart, un ingegnere che aveva
fatto fallire la propria (prima)
start up. È una brodaglia marrone
ottenuta mescolando farmaci nutrienti
con acqua, che ha fatto diminuire
a 50 dollari al mese la sua
spesa alimentare e che lo scorso
gennaio ha ricevuto finanziamenti
per la ricerca per 20 milioni da
una cordata di investitori guidata
da Andreessen Horowitz. «Non ha
senso cucinare quando non se ne
ha il tempo — dice Rhinehart — e
nessuno vieta a chi consuma Soylent
di fare pasti regolari quando
ne ha la voglia. Anzi, è probabile
che li apprezzerà di più». Ma anche
in Europa c’è già Joylent, ricetta
assai simile, nato in Olanda
e aromatizzato per essere più “appetibile”.
Soluzioni globali, ma
non così diverse da quelle che il
gossip racconta sulla dieta delle
star: Jennifer Lopez che “sniffa”
olio di pompelmo, capace di agire
sugli enzimi del fegato aiutando a
perdere peso, o Gwyneth Paltrow
e Madonna intente a consumare
grandi dosi di tisana al tarassaco,
il dandelion tea che stimola la secrezione
biliare, riduce o grassi e
regala una pelle di pesca.
«La verità è che l’unica dieta
che fino a oggi abbia dimostrato
con prove e esprimenti di proteggere
sia dall’obesità sia dalle malattie
cardiovascolari e dai tumori
è quella mediterranea — dice Stefania
Ruggeri, ricercatrice al Consiglio

per la ricerca e la sperimen-
soprattutto
le donne le più “a rischio”
rispetto a mode come il veganesimo,
che, per altro, fanno diventare
la preparazione del cibo
più un dovere che un piacere. Il
14,8 per cento delle donne italiane
tra i 18 e i 25 anni è sottopeso.
Senza dimenticare che nel come si
mangia va considerato anche
l’importanza del convivio, l’idea
di potersi sedere tutti insieme almeno
una volta al giorno». Il veganesimo,
comunque, non è l’unica
moda a dover angosciare gli
esperti e gli scienziati: la Paleodieta
continua a circolare piuttosto
bene, con i suoi consumi rilevanti
di carne rossa e di verdura al
posto dei carboidrati, mentre il
metodo Montignac, che sceglie i
cibi sulla sola base del loro indice
glicemico, demonizzando tutto
ciò che supera la cifra 50, spiega
benissimo dove si può arrivare alla
ricerca di un cibo sempre più
“puro”, sano e controllato. «Ci si
butta su queste diete come sui
prodotti “magici”, dai Fiori di Bach
nella nuova versione australiana
fino al calcio verde, con l’idea di
poter controllare tutto e ottenere
in fretta risultati miracolosi — dice
Sabrina Zaninotto, psicologa e
dietista, autrice per Franco Angeli
di “Dimagrire imparando dai
propri errori” — È una forma di nevrosi
che non riesce mai a tenere
conto di tutti gli aspetti della propria
salute e del proprio benessere,
e la Paleodieta ne è un tipico
esempio. Si vuole restare giovani
più a lungo ed espellere dal piatto
ogni cibo contaminato, ma è un
obiettivo irragionevole».
C’è chi digiuna “a intermittenza”
per diventare più forte in palestra
(proteine e carboidrati all’alba,
poi una colazione completa,
seguita dall’allenamento e da
un pranzo subito dopo pesi e macchine,
infine niente cibo dalle tre
del pomeriggio al mattino seguente)
e chi si alimenta attraverso
un sondino nel naso per dieci
giorni, con la nutrizione enterale
chetogena che piace tanto alle
spose decise a dimagrire prima
delle nozze. E chi si inietta per via
endovenosa vitamine B e C insieme
a magnesio e calcio, con la
Party Girl IV Drip Diet, popolarissima
tra le giovani americane. Basterebbe
un ragionevole buon
senso: crudismo, per esempio,
può anche significare ottimi piatti
di grandi chef, senza con questo
diventare dipendenti da ciò che
non è passato sui fornelli. «Negli
ultimi due anni sono stati proprio
i cibi crudi o essicati a far fiorire le
ricette più interessanti nell’alta
cucina — dice Lisa Casali, autrice
di libri sull’autoproduzione di cibo
e il risparmio alimentare — Ma si
tratta di avanguardie, di una nicchia
di ricerca e non di un modello
da seguire sempre e in massa. Se
una moda come quella di auto produrre
il cibo riguarda il pane, o lo
yogurt, può essere una moda, una
tendenza come quella di dichiararsi
esperti di arte contemporanea.
Ma anche una “buona” moda,
migliore delle diete iperproteiche
insane e diseducative. Anch’io ho
scritto sul blog di chi diventava
vegetariano dopo aver letto “Se
niente importa” di Jonathan Safran
Foer. Ma non mi sentirei di attaccare
chi mangia formaggio, o
perfino salame. Il cibo è cibo, non
una guerra».



Quando il peccato di gola diventa una colpa

MARINO NIOLA

UNA volta si diceva che siamo quello che
mangiamo. Adesso invece siamo
quello che non mangiamo. Vegetariani,
vegani, fruttariani macrobiotici,
smoothisti, crudisti, gluten free, no carb, carnivori,
localivori. Pieni di dilemmi, ma non più onnivori.
L’Occidente si sta dividendo in una miriade di
tribù alimentari. Ciascuna si identifica nelle sue
passioni e ossessioni, totem e tabù. Tofu contro
carne, soya contro uova, quinoa contro grano,
curcuma contro sale. Una mutazione antropologica
che è sotto gli occhi di tutti. Tanto che
quando si invitano a cena gli amici bisogna aprire
un file excel per incrociare allergie,
idiosincrasie e manie di ciascuno per
riuscire a trovare un menù che vada bene
a tutti. In attesa che qualcuno scopra
l’algoritmo della convivialità individualista.
Perché senza accorgercene siamo
passati dall’antica regola del mangiare
di tutto un po’, alla paura che in ogni cibo si annidi
un nemico nascosto. E così la tavola, che per
gli Italiani è sempre stata una passione, sta diventando
un’ossessione.
Il fatto è che in una società come la nostra, il
grande nemico non è più la fame, ma l’abbondanza.
Che si porta dietro il suo minaccioso carico
di sensi di colpa, fobie, ansie. Così latte e glutine
diventano fantasmi epidemici, incubi allergenici.
E nonostante la percentuale di intolleranze
scientificamente accertate sia molto
bassa, cresce esponenzialmente l’onda integralista
dei rinuncianti. Come certi ayatollah del
km zero, che si rifiutano di mangiare verdure
raccolte da più di un’ora. O i Vegansexual, che si
rifiutano di fare sesso con partner carnivori per
paura di essere contaminati. O ancora gli adepti
delle paleo-diete, secondo i quali dovremmo
fare un salto indietro nell’evoluzione per tornare
ad alimentarci come i cacciatori e raccoglitori
preistorici. Carne e germogli, zero cereali. Dimenticando
che l’aspettativa di vita dei nostri
antenati preagricoli era inferiore ai trent’anni.
E adesso torna in auge anche il digiuno. Che una
volta era una pratica religiosa e serviva a rendere
puri di spirito, a purgare la coscienza. Ed era
stato cancellato dalle nostre abitudini assieme
a molti altri precetti confessionali. Mentre ora si
prende una clamorosa rivincita e si afferma come
miracolosa misura salutista. La differenza è
che una volta lo facevamo per Dio, mentre oggi
lo facciamo per l’io. Il nostro insomma è un digiuno
pagano. Elisir per la mente e per il corpo.
Riequilibratore di energie. Esorcismo
contro i radicali liberi sempre in agguato.
Con il risultato di far cortocircuitare
salute e salvezza, sicurezza alimentare
e sindrome immunitaria. Così, mixando
etica e dietetica, fioretti laici e ascetismi
calorici, la ricerca del modello alimentare
virtuoso è diventata la nuova religione
globale. Che, come tutte le religioni nascenti,
produce continue contrapposizioni, scismi,
eresie, sette, abiure. Ciascun credo dietologico
si ritiene l’unica via verso la salvezza. E verso
l’immortalità. O almeno quel suo succedaneo
che chiamiamo longevità. E che oggi è diventata
il sogno e l’incubo di un Occidente satollo e
pronto a pentirsi dei suoi peccati di gola. Così anticipiamo
il giorno del giudizio e facciamo del
dietologo una sorta di Dio giudice. O di Dio una
sorta di dietologo improprio, che dispensa premi
e castighi qui e ora. Ecco perché la dieta giusta
non è più una misura di benessere, ma una
condizione dell’essere. E siamo tutti alla ricerca
dell’alimento salvavita, del toccasana alimentare
per mettere a tacere la bilancia e la coscienza.
Così a furia di cercare l’esorcibo, siamo
scivolati nell’era di homo dieteticus.