«Perché Shakespeare pensò che gli inglesi fossero gloriosi? Perché erano andati alle Crociate. Perché avevano cavalcato con l'italiano Tancredi e col franco Goffredo per difendere la comune civiltà cristiana. • Abbiamo preso il nostro posto nel campo della civiltà e non dimenticheremo più, nemmeno per un'ora, ciò che fu fondato da Cesare e rifondato da Agostino»
di Gilbert Keith Chesterton
Tratto da Avvenire del 18 ottobre 2009
Un inedito del 1935 dello scrittore contro il mito ariano • Il grande narratore e umorista inglese tenne una conferenza a Firenze sui pericoli incombenti nel Vecchio continente. Il ruolo del cristianesimo contrapposto al nuovo paganesimo ispirato ai miti nordici che s’imponeva in quegli anni bui in Germania
La Germania mostrò nel secolo XIX e sta mostrando di nuovo nel XX secolo visioni e versioni più grandi e più selvagge del suo concetto dei goti come dei. L’argomento qui non è politico, infatti i governatori politici della Germania, qualunque cosa possiamo pensare di loro, hanno rinnegato alcune delle forme più selvagge di questa riviviscenza pagana. Ma il punto veramente significativo è che, qualunque siano i meriti della riviviscenza germanica in Germania, non c’è stata una riviviscenza germanica in Inghilterra.
L’Inghilterra ha le difficoltà e alcuni degli elementi di decadenza di tutti gli Stati moderni, ma non c’è il minimo segno che l’antico superuomo nordico si agiti ancora nella sua tomba. Nella storia, tutto considerato, i vittoriani rimarranno soli coi loro Vichinghi. La cultura inglese molto probabilmente non soffrirà un’altra invasione barbarica. Ma la fantasia barbara è stata scossa così rapidamente proprio perché non era nemmeno un’immaginazione di barbari genuini, ma un’ubbia di una minoranza snobistica.
Gli intellettuali del XIX secolo andarono a vedere le opere wagneriane, a guardare le Valkirie e i Wotan dei miti nordici. Ma il fiaccheraio e il venditore ambulante che non distinguevano una Valkiria da un wagneriano e per i quali la parola «crepuscolo degli Dei», Goöttërdamerung, suonerebbe soltanto come una bestemmia, hanno continuato ad andare, ben contenti, al «music- hall» che ancora prende nome dalle Muse.
L’uomo del Nord, o in altre parole il nordico, non traverserà mai più il mare del Nord. Noi tutti sappiamo che, a buon fine o a cattivo fine, ha avuto la sua resurrezione in Germania, ma a me sembra un fatto altrettanto importante e molto più trascurato, che non c’è stato segno del suo ritorno in Inghilterrra.
L’Inghilterra rispetterà sempre, come pure l’Europa, tutto quello che c’è di migliore nell’arte tedesca, nella musica e nel dramma tedesco, perfino nella filosofia tedesca. Ma questa particolare specie di infezione germanica non attraverserà mai più il mare nordico per venire a infettare le isole britanniche. Tutti sappiamo che nella stessa Germania la vecchia teoria è di nuovo in gran voga, e anche in modo più frenetico: la parola «ariano» è stata di nuovo ripescata fra le teorie rifiutate nel primo Ottocento; e la croce uncinata è stata presa dai templi cinesi e dai tuguri dei pellirosse indiani per essere l’unico simbolo della razza ariana. Di tutto ciò io non sono qui giudice; ma a me pare un motivo di qualche importanza per l’Europa, per la pace e per i problemi internazionali che ora urgono su tutti noi, che l’Inghilterra non mostri il minimo segno di essere attratta di nuovo dalla barbara fantasia dei teutoni. Il migliore, il più coscienzioso, il più rispettabile tipo di inglese non sarà più a lungo persuaso che il suo più nobile vanto è di essere imparentato a pochi pirati danesi.
Piuttosto egli si ergerà, con i suoi dieci secoli di civiltà, per ripetere quelle parole che Shakespeare mise in bocca a uno dei suoi più nobili personaggi: «In me c’è più dell’antico romano che del danese».
Shakespeare, il nostro drammaturgo nazionale, è il tipo più comune dell’inglese normale, nel fatto che la sua intera cultura fu greca e latina sebbene conoscesse appena il latino e il greco.
Ma egli appartiene a un’epoca e aveva ereditato una storia nella quale non si era mai reputato concepibile per l’Inghilterra l’esser veramente separata dall’Europa. Nessuno ha sofferto più di Shakespeare dall’essere fatto a brani dalle citazioni e normalmente nulla è meno shakesperiano di una citazione da Shakespeare. Allo stesso modo si è creata l’impressione straordinaria che Shakespeare fosse completamente un isolano soltanto perché si può citare un verso e mezzo tolto da un lungo brano nel quale egli si compiace, in maniera poetica e spontanea, del fatto che l’Inghilterra è un’isola. Tutti conoscete i primi versi di questo brano: «Questa gemma preziosa incastonata in un mare d’argento che le serve di muraglia».
Shakespeare continua lodando questa fortezza, ma perché la loda? In quale ostilità questa fortezza è apparsa famosa e trionfante? Perché era sede di principi: «Celebri per le loro gesta in terre lontane, come è il Santo Sepolcro presso i tenaci Ebrei, il Sepolcro del Redentore del mondo, il figlio di Maria Benedetta».
Perché Shakespeare pensò che gli inglesi fossero gloriosi? Perché erano andati alle Crociate. Perché avevano cavalcato con l’italiano Tancredi e col franco Goffredo per difendere la comune civiltà cristiana, come, molto più tardi, in un’ora purtroppo cupa e paurosa le legioni britanniche si congiunsero di nuovo alle legioni d’Italia e di Gallia. Abbiamo preso il nostro posto nel campo della civiltà e non dimenticheremo più, nemmeno per un’ora, ciò che fu fondato da Cesare e rifondato da Agostino.
Contro i barbari di ieri e di oggi
In quello che è l’ultimo, tra i numerosi viaggi di Chesterton in Italia, il grande autore inglese ci lascia una singolare e anche coraggiosa lezione, per quanto dice tra le righe, sulle radici cristiane dell’Europa. Si tratta di una conferenza tenuta a Firenze nel 1935, in un ciclo che aveva visto avvicendarsi a Palazzo Vecchio, nelle Settimane Internazionali della cultura, anche autori quali Pirandello e Keyserling, e intitolata «La letteratura inglese e la tradizione latina».
Il testo di quella conferenza, di cui pubblichiamo l’ultima parte, edito su una rivista toscana, non era mai stato più ripreso. Lo ha scovato Marco Antonellini ed è diventato un piccolo e prezioso libro edito da Raffaelli di Rimini (tel. 0541-21552; www.raffaellieditore.com), un testo che riprende il tema dei 'barbari', caro a Chesterton, che Antonellini definisce come «i fautori di una contro-cultura che vuole disconoscere e recidere le origini della civiltà europea». (F. P.)