di Matteo Lusso
"Ahimè! Sta per giungere il tempo in cui l'uomo non scoccherà più la freccia del suo desiderio oltre l'essere umano e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare" (Nietzche, Così parlò Zarathustra, 1885).
"Nei prossimi anni il mondo sarà sottosopra: dopo che il vecchio Dio è stato congedato, sarò io a reggere il mondo "(Nietzche, lettera a Carl Fuchs, 18 dicembre 1888).
Verrebbe innanzitutto da dire che quel tempo è giunto, che la profezia di Nietzche/Zarathustra si è perfettamente avverata. Il mondo di oggi - anche quello dei giovani - è così: l'uomo ha disimparato a tendere l'arco del proprio desiderio, l'obiettivo della freccia è sempre a corto raggio e come il bambino si esalta quando riesce a superare una prova che gli viene facilitata, così l'uomo di oggi si accontenta ed è appagato di ciò che riempie facilmente la sua vita, dentro il perimetro ristretto del proprio desiderio. Siamo in fondo contenti così, va bene così, proprio perché non sappiamo reagire, non sapremmo far vibrare l'arco e scoccare la freccia verso orizzonti più lontani, perché abbiamo disimparato a desiderare. Avere il vestito firmato, trascorrere una settimana al mare con il proprio "tipo/a", un bel cellulare, andare bene a scuola e poter tornare all'ora in cui si vuole la notte: ecco la portata - ben identificabile - degli obiettivi della propria freccia. D'altra parte è così che ci vuole il mondo: rassegnati, impegnati, indaffarati, distratti: così siamo fedeli consumatori e perfetti cittadini. L'importante è non disturbare, non lasciarsi prendere dall'irrequietudine, non creare problemi, tanto non serve.... il mondo è un meccanismo troppo perfetto per essere inceppato. Un gioco, in cui i giocatori sanno già chi vince: ribellarsi un po' va bene, fa parte del gioco, è concesso all'adolescente questo margine di creatività ma anche lui stesso sa che presto o tardi il gioco finirà e per questo non si prenderà sul serio più di tanto. Chi non sa accettare il limite rischia grosso, chi non rientra in tempo, chi va oltre il prevedibile o il concesso.... Succede, soprattutto ai più sensibili o vivaci! Allora saranno guai davvero ed arriveranno schiere di esperti del disagio giovanile, della devianza, del recupero. Sono rischi previsti dalla società per chi non ha capito che si trattava di un gioco e che il ritorno alla realtà era inevitabile.
Forse per Nietzche più che una profezia si trattava di un auspicio: che l'uomo impari a non desiderare altro che l'essere umano, che l'arco del desiderio disimpari a vibrare significa accettare finalmente e sino in fondo la propria mortalità, imparare a cercare il senso della terra nel vivere stesso, scoprire il senso del proprio cammino umano giorno dopo giorno mentre si compie il cammino stesso. Non più ipotesi di senso assolute ed universali ma unicamente costruite, cercate, verificate nella propria ed irripetibile biografia. Ma il grande pensatore tedesco, se fosse presente oggi, credo dovrebbe lealmente constatare che, in luogo del superuomo, l'io nato dalla morte di Dio è un bambino smarrito in una foresta di giocattoli.
Ai giovani che incontro amo dire: dovete imparare a difendervi, dovete imparare a difendervi dai vostri padri (in senso generazionale), malgrado nessuno abbia intenzioni cattive, dovete difendervi dalla nostra confusione e dal nostro smarrimento. Dovete farlo perché la vita è vostra ed è terribilmente bella e voi avete diritto a goderne pienamente.
La cultura nichilista di oggi, che esalta la libertà individuale e rifiuta la sacralità della vita, è stata paragonata dal Papa alla follia hitleriana. «I lager nazisti, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell'inferno che si apre sulla terra quando l'uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte», ha detto infatti Benedetto XVI all'Angelus, denunciando che «purtroppo questo triste fenomeno non è circoscritto ai lager. Essi sono piuttosto la punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti».
«Bisogna riflettere sulle profonde divergenze che esistono tra l'umanesimo ateo e l'umanesimo cristiano; un'antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta a un punto cruciale, come grandi letterati e pensatori hanno percepito, e come gli avvenimenti hanno ampiamente dimostrato». «Da una parte - ha rilevato il Pontefice - ci sono filosofie e ideologie, ma sempre più anche modi di pensare e di agire, che esaltano la libertà quale unico principio dell'uomo, in alternativa a Dio, e in tal modo trasformano l'uomo in un dio, che fa dell'arbitrarietà il proprio sistema di comportamento. Dall'altra - ha continuato - abbiamo i santi, che, praticando il Vangelo della carità, rendono ragione della loro speranza; essi mostrano il vero volto di Dio, che è Amore, e, al tempo stesso, il volto autentico dell'uomo, creato a immagine e somiglianza divina». (Angelus, 9 agosto 2009)
C'è qualcuno che sappia parlarvi delle stelle? Che sappia farvi sognare le stelle?
Sul dolore: desiderio o nulla?
di Matteo Lusso
Tratto dal sito Cultura Cattolica.it il 22 ottobre 2009
Ci sono ferite che non guariscono e che nessun uomo può curare, perché il dolore appartiene a Dio, è una cosa tra noi e Lui.
Chi non conosce il film “Marcellino pane e vino”? La ferita di Marcellino è la nostalgia della mamma. Quando il Signore gli chiederà che cosa desiderà di più, lui risponderà che vuole vedere sua mamma. E Gesù lo accontenta: la morte è così solo un’apparente ingiustizia, perché in realtà è la condizione normale perché si realizzi il suo desiderio.
Questo film va alla radice di tutto, alla radice della tenerezza del vivere, là dove è la sorgente di ogni forma di pietà e di amore che possiamo avere verso gli altri e noi stessi: che me ne faccio di un mondo migliore se esso si realizza in un futuro indeterminato? Chi salva i bambini che oggi sono morti di fame in varie parti del mondo? Chi dà oggi un senso alla loro vita? Chi fa giustizia oggi delle loro pene? Le statistiche demografiche dicono che nel nostro tempo, per la prima volta nella storia, il numero delle persone che soffre la fame ha superato il miliardo. Vivere per cambiare il mondo non basta: l’uomo che soffre è quello di adesso, quello che ho davanti e non posso aspettare che il mondo sia diverso per dirgli che la sua esistenza ha una dignità… Anche se bisogna cercare di cambiarlo questo mondo!!
La mia ferita, il mio dolore è che alla vostra età mi sentivo disperato, perché a queste domande non c’era risposta: non ci dormivo la notte. Per rispondere a queste domande c’è bisogno di Dio. Lui ha costruito la strada verso di noi, rivelandosi come amore: anche il dolore e la morte sono vinti dalla Sua passione per noi.
Marcellino ci fa vedere la vita e la morte in una prospettiva completamente nuova: vivere è essere Suoi amici, accettare la Sua amicizia, addormentarsi nelle Sue braccia, dove si compiono tutti i nostri desideri. Questa è la pace.
Il senso del dolore: questo manca nel giudizio di tanti ragazzi con cui parlo. A loro dico, citando M. C. Bateson: “Siamo tutti impegnati in un atto creativo che è la composizione delle nostre vite. Essa avviene usando materiali a volte conosciuti a volte sconosciuti o inattesi”. Chi vive con la curiosità di osservare in sé la costruzione di questa composizione? Chi vive attento a se stesso, impegnato con sé, amando sé? La perdita del desiderio fa scivolare il giovane nell’affermazione del nulla e nell’impoverimento dell’esperienza che ne consegue. Non il dolore, che rende più veri, meno aridi.
“Chiunque abbia una qualche esperienza del peccato, non ignora che la lussuria minaccia incessantemente di soffocare… tanto la virilità che l’intelligenza... La purezza non ci è prescritta come un castigo, è invece una delle condizioni misteriose ma evidenti - l’esperienza lo attesta - di quella conoscenza soprannaturale di se stessi, di se stessi in Dio, che si chiama la fede. L’impurità non distrugge questa conoscenza ma ne annulla il bisogno. Non si crede più perché non si desidera più credere. Non desiderate più conoscervi. Questa verità profonda, la vostra, non vi interessa più… Non si possiede veramente che ciò che si desidera; giacché per l’uomo non c’è possesso reale, assoluto. Non vi desiderate più. Non desiderate più la vostra gioia. Non potevate amarvi che in Dio, non vi amerete più... Non ero mai stato giovane, perché non avevo osato… Non sono mai stato giovane perché nessuno ha voluto esserlo con me… Ho compreso che la giovinezza è benedetta - che è un rischio da correre - ma che quel rischio è benedetto anch’esso.”
(G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna).
Il dolore, anche quello lancinante, tocca presto o tardi ogni uomo. Voi mi chiedete: perché? Cosa vuole Dio attraverso il dolore? Che cosa significa per Lui? quello che noi non capiamo ha senso ai Suoi occhi.
Io penso che il dolore serva a purificare il nostro essere, a farlo riprendere nella sua purità: ecco il dolore ci rende più puri, più umili, più poveri, più veri anche nei sentimenti, ci rende più dignitosi anche agli occhi di noi stessi. Almeno siamo capaci di soffrire, c’è in noi qualcosa di buono, di autentico. Quello che noi non capiamo ha senso ai Suoi occhi.
Irene è morta: in un modo per me misterioso ha concluso la parabola della sua vita, in un tempo più breve rispetto alla norma, è arrivata alla meta in fretta, ha compiuto il suo destino: ora vede il Padre e tutte le cose nella loro verità e nella loro perfezione.
Noi, nel dolore e nella sofferenza per la sua scomparsa e per la sua mancanza, diventiamo un po’ più veri, più seri, meno distratti di fronte al dramma della vita, che non possediamo e che non ci è data per sbaglio o per caso. Così il dolore ci rinnova nella nostra creaturalità, ci purifica rendendoci un po’ più innocenti, un po’ meno presuntuosi, un po’ più disponibili a Dio.
D’altra parte ditemi l’alternativa: dove pensate di trovare risposta e pace alle domande e alla sete della vostra umanità? Lentamente ci si inquadra, ci si annulla nelle cose da fare, si dimentica la propria giovinezza e anzi la si rinnega. Allora quello che vi dico vuol semplicemente dire: “Ama chi dice all’amico: tu non puoi morire”. E’ un grido il mio: o diventiamo fratelli o saremo sempre estranei.