DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La macchina del Sinodo. Cinque anni di lavoro per un pensatoio di quattro settimane cum Petro, sub Petro

di Paolo Rodari


Una macchina perfetta, la chiesa, quando pensa se stessa. Quando convoca i suoi uomini a discettare su di sé o su un problema attinente a sé. Ne ha dato prova, la chiesa, in questo mese, durante la fase finale di Sinodo dei vescovi per l’Africa: 22 giorni in cui 244 padri sinodali, 228 dei quali vescovi (79 ex officio, 129 elettori e 36 di nomina pontificia), si sono chiusi in Vaticano nella loro aula, quella appunto del Sinodo (un piccolo anfiteatro da poco riammodernato e finalmente dotato di aria condizionata e video servizi), per lavorare intensamente su se stessi. “Un buon lavoro”, l’ha definito il Papa. Un lavoro sintetizzato in un lungo elenco di proposizioni che saranno usate da Benedetto XVI per un documento finale.

Già, il Papa. Quando deve pensare se stessa, quando vuole riflettere su ciò che occorre fare e su ciò che non occorre fare, la chiesa, a cominciare dalle sue guide, i vescovi, lo fa con Pietro. Con il Papa, perché come dice Lumen Gentium al capitolo 22, “il collegio o corpo episcopale – i vescovi appunto – non ha autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli”. Lo fa con Pietro anche in forma conviviale, come è stato domenica scorsa: nell’atrio che collega l’aula del Sinodo e l’aula Nervi, in quella sorta di corridoio, dunque, calpestato da centinaia di migliaia di pellegrini convocati per le varie udienze papali, ai vescovi e al Papa è stato apparecchiato un pranzo: prosciutto di Parma, risotto col radicchio, brasato con verdure e tortino di nocciole con crema alla vaniglia (fonte Avvenire). E il Papa che si alza in piedi e ringrazia e dice, in poche parole, quanto sia impegnativo organizzare un evento del genere: perché convocare un Sinodo e portarlo a termine sono anni di lavoro, di telefonate, fax, mail, dal centro (Roma) alla periferia (le diocesi), dalla periferia (i vescovi) al centro (la segreteria del Sinodo con sede in Vaticano). Un moto continuo e inarrestabile. “Grazie al Signore che ci ha convocato e così ha dato anche la possibilità di trovare la strada dell’unità nella molteplicità delle esperienze”, ha detto Benedetto XVI. E ancora: “Il tema non era facile – quello della riconciliazione, giustizia e pace in Africa, ndr – ma mi sembra che, grazie a Dio, siamo riusciti a risolverlo, e per me questo è anche motivo di gratitudine perché facilita molto l’elaborazione del documento post-sinodale – dunque i lavori non sono ancora del tutto terminati, ndr –”. Grazie poi “ai presidenti delegati, che hanno moderato, con grande sovranità e anche con allegria, le sedute del Sinodo. Grazie ai relatori, che hanno portato il più grande peso del lavoro, hanno lavorato di notte e anche di domenica, hanno lavorato durante il pranzo e adesso meritano realmente un grande applauso da parte nostra”. “Grazie poi a tutti i padri, ai delegati fraterni, agli uditori, agli esperti e grazie soprattutto ai traduttori perché hanno una parte nella trama di ‘creare Pentecoste’. Pentecoste vuol dire capirsi reciprocamente; senza traduttore questo ponte di comprensione mancherebbe”. E, infine, “grazie anche al segretario generale, al suo team che ci ha guidato e ha organizzato silenziosamente tutto molto bene. Certo, il Sinodo finisce e non finisce, non solo perché i lavori vanno avanti con l’esortazione post-sinodale: Synodos vuol dire cammino comune. Rimaniamo nel comune cammino col Signore”.

Poche parole, quelle del Papa. Le uniche pronunciate davanti ai padri sinodali: Benedetto XVI, infatti, è stato presente a numerose sessioni, una macchia bianca in un’aula di tante facce nere. Ma non è mai intervenuto nella discussione, a differenza di quanto fece in occasione di altri Sinodi. Ha tenuto due omelie nelle messe di apertura e di chiusura, una meditazione dopo l’ora terza del primo giorno dei lavori e niente più fino al pranzo di domenica. Parole, quest’ultime, che, seppure in estrema sintesi, fanno capire quanto sia grande il lavoro della chiesa quando si convoca, quando convoca i suoi uomini per discutere, riflettere, elaborare. La collegialità episcopale, insomma – l’insieme dei vescovi che esercita la propria autorità suprema cum Petro et sub Petro –, presuppone un lungo lavoro. C’è la forma più alta di questo esercizio, che sono i concili ecumenici: qui i vescovi assieme al Papa hanno potere esecutivo. E poi c’è il Sinodo: istituito da Papa Paolo VI il 15 settembre 1965 in risposta al desiderio dei padri del Vaticano II di mantenere vivo l’autentico spirito formatosi dall’esperienza dello stesso Concilio, è in sostanza un’assemblea di rappresentanti dell’episcopato che ha il compito di aiutare, con i suoi consigli, il Papa nel governo della Chiesa universale. Un compito, dunque, prettamente consultivo.

E’ un lavoro enorme, dunque. Un lavoro sancito da un Regolamento che poco tempo fa – era il 29 settembre 2006 – Benedetto XVI ha voluto rivedere completamente: tutto comincia con la convocazione dell’assise, un annuncio che spetta al Papa. E’ lui che ha il potere di convocare il Sinodo ogni volta che lo ritiene opportuno e di designare il luogo in cui tenere le assemblee. A lui spetta stabilire, prima della celebrazione del Sinodo, le questioni da trattare; ratificare l’elezione dei membri; disporre che la materia degli argomenti sia fatta conoscere a coloro che debbono intervenire nella discussione; definire l’ordine dei lavori; presiedere il Sinodo personalmente o attraverso altri; decidere sui voti espressi; ratificare le decisioni quando, in casi determinati, abbia concesso al Sinodo potestà deliberativa; concludere, trasferire, sospendere e sciogliere il Sinodo. Il Papa può convocare il Sinodo in assemblea generale, ordinaria o straordinaria (qui vengono trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della chiesa universale), oppure in assemblea speciale (qui vengono trattati affari che riguardano direttamente una o più regioni determinate).

Il Sinodo appena conclusosi venne convocato da Giovanni Paolo II il 13 settembre del 2004: da quell’annuncio sono passati cinque anni di preparazione attraverso due documenti. Uno di consultazione sui temi da affrontare, i Lineamenta del 2006. L’altro appositamente dedicato al lavoro sinodale: l’Instrumentum laboris. Quest’ultimo è stato consegnato alle chiese africane da Benedetto XVI a Yaoundé, il 19 marzo 2009. Era diviso in cinque punti chiave.

A Roma, per i lavori, sono arrivati i vescovi eletti dalle rispettive Conferenze episcopali, i membri di nomina pontificia, gli esperti e gli uditori, i delegati fraterni delle altre confessioni cristiane presenti in Africa e gli invitati speciali che rappresentano organizzazioni internazionali. Gli esperti hanno collaborato con il segretario generale del Sinodo alla relazione conclusiva; gli uditori hanno assistito semplicemente ai lavori; i delegati fraterni e gli invitati speciali hanno fatto degli interventi concordati su temi specifici. All’inizio del Sinodo è stato il relatore generale, il cardinale Turkson, a tenere una “Relatio ante disceptationem”. Poi, dopo le varie discussioni, una “Relatio post disceptationem”, una sorta di sintesi della discussione stessa. Il Sinodo si è riunito per circa quattro settimane: durante le venti sessioni i padri sinodali hanno potuto parlare per cinque minuti ciascuno. Al termine d’ogni sessione c’è stata un’ora di discussione libera. Oggi, ad assise terminata, la palla passa al Papa: a lui tocca redigere un documento finale sulla base delle proposizioni uscite dai lavori. Tra i punti più problematici, gli odi interetnici, la sfida che portano al continente l’islam e le religioni tradizionali, la diffusione delle pratiche abortive, l’oppressione della donna, il concubinato del clero.

Il Sinodo è una macchina collaudata, fatta di persone che a esso si dedicano a tempo pieno e la cui convocazione effettiva (solitamente dura un mese) non è altro che la punta di un iceberg di un affaccendarsi di gran lunga più grande e che dura solitamente qualche anno. Un lavoro portato avanti da un ufficio ad hoc, attivo negli anni preparatori come nelle settimane di convocazione a Roma: la segreteria generale del Sinodo che ha sede nel palazzo del Bramante in via della Conciliazione. E’ oggi guidata dall’arcivescovo Nikola Eterovic. Al suo fianco il sottosegretario Fortunato Frezza, e i monsignori John Anthony Abruzzese ed Etienne Brocard. Poi l’addetto di segreteria Daniel Emilio Estivill, i reverendi Zvonimir Sersic e Ivan Ambrogio Samus e la signora Paola Toppano Volterra la quale si incarica innanzitutto dei viaggi dei padri sinodali verso Roma, del loro alloggio, dei mezzi di trasporto per raggiungere quotidianamente l’aula del Sinodo, del loro rientro. A lei sono affidate anche le pratiche di quei presuli che hanno meno disponibilità e per i quali è previsto il pagamento diretto di tutte le spese relative. Già, le spese e gli alloggi. Non sono una preoccupazione di poco conto. Molti vescovi vengono sistemati a Santa Marta, nella foresteria dove risiedono i cardinali in caso di conclave. Altri alla casa del Clero in via della Traspontina. Poi alla casa Paolo VI in viale Vaticano oppure nelle sedi romane dei rispettivi istituti di riferimento.

Gli alloggi non sono gli unici problemi tecnici di un Sinodo. Della cosa ne ha parlato anche l’Osservatore Romano in un lungo e accurato reportage: c’è da seguire la Floreria per la sistemazione dell’aula e di tutti gli altri luoghi limitrofi e nei quali si svolgono le diverse attività sinodali; con i tecnici della Radio Vaticana si deve verificare l’impianto audio; con i servizi tecnici del Governatorato è necessario predisporre il sistema elettronico di rilevazione delle presenze e di votazione, nonché il collegamento con la sezione della traduzione simultanea e la diffusione delle immagini sui monitor della sala. Con un piccolo stuolo di assistenti – trentadue giovani sacerdoti, nel Sinodo appena conclusosi prevalentemente africani – si provvede all’assistenza dei padri in aula: distribuzione delle relazioni, dei documenti e quanto è necessario in ogni momento dell’assemblea.

Durante i lavori romani le stanze riservate alla segreteria sono un continuo via vai. Enorme il materiale informatico prodotto, ma soprattutto cartaceo, realizzato attraverso un certosino lavoro di controllo e distribuzione di quanto viene dai padri e ai padri torna sotto forma di documento. Ad esempio, per fornire all’assemblea una bozza in quattro lingue del Nuntius – è il Messaggio del Sinodo – e poterne così discutere in aula, si è lavorato sino alle due del mattino dello stesso giorno in cui è stato presentato. E per dare alle stampe l’elenco provvisorio delle proposizioni si è lavorato addirittura sino alle quattro del mattino. Tutto il materiale elaborato viene poi trasmesso al centro stampa per la diffusione.

La macchina del Sinodo è anche tutta una serie di servizi appositamente allestiti fuori dall’aula dei lavori. Anche in questo caso è stato l’Osservatore a redigere un elenco completo e molto curioso: in un’aula separata e rialzata rispetto a quella del Sinodo, ad esempio, è stata allestita una cappella dove è stato custodito il Santissimo Sacramento. Sullo stesso piano, un servizio di primo soccorso, dove era possibile trovare un medico e un infermiere. I medici non erano autorizzati a prescrivere medicinali. Potevano farlo solo in casi di urgenza e di grave necessità. Così ai padri che seguono terapie farmacologiche durature, la segreteria ha consigliato di provvedere a farne scorta prima dell’inizio dei lavori. Nell’atrio dell’aula del Sinodo, quello stesso atrio dove domenica scorsa il Papa ha pranzato coi vescovi, è stato allestito una sorta di centro servizi: vi erano sportelli postali, bancari, turistici, un casellario personale, una libreria, una postazione internet, un ufficio propaganda della Radio Vaticana, punti vendita di fotografie, tra cui quello del servizio fotografico dell’Osservatore Romano affiancato da un tavolo dove ritirare copie gratuite del giornale, un servizio ristoro.

Allo sportello postale appositamente allestito, l’operazione più richiesta è stata la spedizione di raccomandate “perché – ha spiegato al giornale vaticano l’impiegato – nei paesi africani se si vuole avere sempre la possibilità di rintracciare la corrispondenza, è necessario servirsi del sistema di posta raccomandata”.
Anche lo Ior, in questi giorni di lavori, ha tenuto aperto uno sportello: qui si poteva espletare qualsiasi operazione bancaria: dal cambio, al deposito, al prelevamento, al bonifico e quant’altro. Al punto vendita della Libreria Editrice Vaticana (Lev) sono stati venduti tanti libri. Il volume più venduto – a parte quelle quattrocento copie della Bibbia acquistate, a prezzo di favore, da un delegato fraterno ortodosso – è stato un libro sul secondo sinodo africano di fronte alle sfide socio-economiche del continente, di Joseph Ndi-Okalla. Molte anche le copie vendute dell’Annuario pontificio. I titoli di altre edizioni erano venduti con il 20 per cento di sconto, quelli della Lev con il 40 per cento. Numerosi anche i doni offerti in questi giorni ai padri sinodali. Ultimo, in ordine di tempo, quello presentato dall’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del pontificio consiglio per gli operatori sanitari. Si tratta di un kit di pronto soccorso, contenente anche strumentazione medica di prima necessità, compreso un misuratore digitale per la pressione. “Un piccolo segno di solidarietà e di comunione – ha detto l’arcivescovo presentando i kit al Papa perché li benedicesse prima di donarli ai 275 padri sinodali – con le popolazioni del continente africano, anche quelle delle aree più remote”.

Tanti i servizi di contorno, dunque. Tante le cose tecniche a cui pensare: anche tutto questo, del resto, è parte della grande macchina del Sinodo.

Pubblicato sul Foglio mercoledì 28 ottobre 2009