“Contraccezione e aborto dovrebbero essere alla base delle politiche che mirano a combattere il surriscaldamento globale”. Fare più di due figli è “irresponsabile” e “anti ecologico”. Così parlava sul Times il consulente ambientale del governo britannico e presidente della commissione allo Sviluppo sostenibile, Jonathon Porritt. Dal momento che ogni nuovo nato in Gran Bretagna brucerà nella sua vita tanto carbone quanto un’area boschiva grande come Trafalgar Square, se non vogliamo morire arrostiti nel giro di pochi decenni dovremmo cominciare a prendere seriamente in considerazione le politiche di pianificazione familiare (quelle ad esempio perseguite dalle Ong appena finanziate dal presidente americano Barack Obama).
Per Porritt bisogna fermare “le teeneger che rimangono incinte e le donne che diventano madri senza volerlo veramente”, colpevoli di mettere al mondo figli che consumeranno (ed emetteranno) gas serra contribuendo all’invivibilità del nostro pianeta. Così, dopo anni di allarmismi e catastrofismi vari, tasse sulle emissioni gassose delle mucche e attacchi alle industrie di tutto il mondo, si è arrivati ad ammettere chi è il vero nemico da combattere e abbattere: non la CO2, non i gas serra, ma l’uomo.
Destino vuole che all’indomani delle dichiarazioni di Porritt, cioè oggi, in Italia esca il libro “I padroni del pianeta”, edito da Piemme e scritto da Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, nel quale i due autori provano a dimostrare l’infondatezza degli allarmi quotidianamente lanciati sulla scarsa disponibilità delle risorse sulla Terra e di come queste siano destinate a finire nel volgere di pochi anni. Ben supportato da cifre ed esemplificazioni storiche, “I padroni del pianeta” spiega come l’allarme della fine delle risorse sia un ritornello che viene ripetuto da decenni, tanto che secondo diverse previsioni dovrebbero già essere finite da un pezzo. La storia però dimostra come “la disponibilità di risorse aumenta con l’aumentare del consumo”, in quanto “le risorse dipendono essenzialmente dall’ingegno e dal lavoro dell’uomo che sa usare gli elementi della natura per rispondere ai propri bisogni”.
Basta osservare la realtà per capire come nessuna cosa è “risorsa” in sé, ma solo nel momento in cui serve a qualcosa o a qualcuno. Si pensi al silicio, scrivono Cascioli e Gaspari, presente nella sabbia da sempre e solo negli ultimi anni diventato componente fondamentale dei computer. Se è quindi vero che è il lavoro dell’uomo a trasformare una materia in risorsa, è altrettanto vero che la Terra non è un sistema chiuso destinato a consumarsi più o meno lentamente, tesi invece sostenuta dal catastrofismo ambientalista sempre più convinto che l’uomo sia una malattia da curare affinché la natura torni a essere se stessa. Lungi dall’inneggiare allo spreco e all’uso irresponsabile di ciò che abbiamo (“tanto ce n’è in abbondanza”), il libro mette in guardia dalle politiche asservite all’ideologia dell’eco-economia con una serie di dati interessanti: dal 1776 al 1975, per esempio, la popolazione mondiale è aumentata di sei volte mentre la ricchezza mondiale disponibile aumentava di ottanta; tra i cinquanta paesi considerati “non sviluppati” dall’Onu, poi, ben trentasei hanno una bassa densità di popolazione, mentre la maggior parte dei più sviluppati supera i cento abitanti a chilometro quadrato.
Non è combattendo l’aumento di popolazione che si risolveranno i problemi che oggettivamente riguardano la distribuzione delle risorse. Né facendo venire sensi di colpa grazie a demagogiche operazioni mediatiche troppo simili al pagamento di un “pizzo”: la Coca Cola che annuncia la sua “neutralità idrica” versando 20 milioni di dollari nelle casse del WWF per progetti idrici durante le Olimpiadi cinesi è simile al discorso ipocrita per cui farsi una doccia troppo lunga a Milano toglie l’acqua ai bambini africani. E’ un problema posto al contrario, quello delle risorse, che rischia di portare conseguenze politiche ai limiti della fantascienza, con i governi che impongono il numero di figli che ogni coppia potrà mettere al mondo. Cosa che, con i finanziamenti di Nazioni Unite e Unione europea, da tempo succede in Cina: la politica del “figlio unico”, per cui chi fa più di un figlio perde, nel migliore dei casi, tutti i diritti civili e sociali, è stata presentata più di una volta come il contributo cinese alla riduzione di gas serra per fermare il global warming. Solo l’Amministrazione Bush ha interrotto i finanziamenti al fondo Onu che implicitamente sostiene queste politiche, proprio mentre l’Europa raddoppiava i suoi contributi.
Il filo rosso che in realtà da sempre legava crescita della popolazione, difesa dell’ambiente e risorse alimentari è stato tirato per la prima volta in modo esplicito nel 1996 a Roma dall’allora segretario all’Agricoltura di Bill Clinton, Dan Glickman, che al vertice Fao affermò che “nel 2020 saremo tre miliardi in più sulla Terra, e quindi il problema della malnutrizione, già gravissimo oggi, avrà proporzioni molto più vaste. E’ dura oggi, ma tra venticinque anni sarà un problema di dimensioni spaventose. Una soluzione passa inevitabilmente attraverso la stabilizzazione volontaria della popolazione”. Non è un caso che l’unico a criticare queste parole fu l’allora Papa Giovanni Paolo II: “Sarebbe illusorio – disse – credere che una stabilizzazione arbitraria della popolazione mondiale, o addirittura una sua diminuzione, potrebbero risolvere direttamente il problema della fame. Senza contare che spesso non sono carenze o disastri naturali a portare alla morte per fame, ma situazioni politiche. Si pensi per esempio ai paesi devastati da conflitti di ogni genere, o che sopportano il peso, talvolta soffocante del debito internazionale”. E’ un problema di educazione e di cultura, ribadì il Pontefice, portatore di quella che Cascioli e Gaspari definiscono “la novità della civiltà cristiana”, l’unico sistema culturale che “ha sprigionato tutte le energie costruttive dell’uomo” nella storia, dando al lavoro quel valore positivo che solo può trasformare le materie in risorse. In realtà la vera risorsa che si sta esaurendo, scrivono gli autori, è proprio quella che ha sempre saputo far fruttare le risorse: l’uomo. L’ideologia per cui noi siamo ospiti sgraditi su un pianeta che in nostra assenza sarebbe un Eden (goduto da chi?) è arrivata a delineare la struttura portante di tante politiche ambientali ed ecologiste dei governi mondiali.
Una “caccia all’uomo” rafforzata dalle varie conferenze dell’Onu (sull’ambiente, i diritti umani, la donna ecc.) che ha nemici chiari: “L’umanità che cresce e consuma troppo, la chiesa cattolica che si oppone ai piani di riduzione delle nascite e quella parte del mondo economico che nutre fiducia nelle capacità umane di moltiplicare le risorse”, scrive il Club di Roma, da sempre portabandiera delle politiche di controllo demografico. Idee che fino a qualche anno fa sembravano aver perso vigore, ma che oggi grazie al consenso generale sulle cause antropiche del global warming ha trovato nuova giovinezza e sostegno in molti atti e dichiarazioni di chi governa il mondo. Per questo serve “un’ecologia umana”, scrivono Cascioli e Gaspari, “un movimento della società civile che riproponga l’uomo come punto di partenza e come fine di ogni politica sociale ed economica”. Mentre per ora certa ecologia ha solo dichiarato guerra all’uomo.
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