giovedì 12 novembre 2009
“Amare significa voler conoscere e il desiderio e la ricerca della conoscenza sono una spinta interna dell’amore come tale”. [Benedetto XVI]
Riprendo il ragionamento, cercando di collocare al suo interno la dimensione dello studio, tipica della condizione giovanile.
Dice un testo di Virgilio:
Sicelides Musae, paulo maiora canamus!
non omnis arbusta iuuant humilesque myricae
si canimus siluas, siluae sint consule dignae.
(Virgilio, Bucolicon IV, v. 1-3)
Che tradotto significa:
O muse siciliane, cantiamo cose un po’ più elevate, non a tutti piacciono gli alberelli e le umili tamerici; se cantiamo le selve, siano le selve degne di un console.
E’ quello che mi verrebbe da dire per spiegare perché dobbiamo studiare: cantiamo cose un po’ più elevate, non accontentiamoci degli alberelli, passiamo alle selve!
Dobbiamo andare in profondità, poiché il tempo passa, si diventa più grandi e bisogna camminare, non si può rimanere sempre allo stesso punto.
Noi non possiamo vivere inutilmente: quindi occorre costruire, diventare protagonisti di sé, non lasciarsi dettare dagli altri la propria strada. Il tempo che condividiamo a scuola è un’occasione per questa avventura, per questa scoperta di sé: ma occorre non accontentarsi delle umili tamerici, occorre desiderare le cime degli alti cipressi. La letteratura, la poesia, per esempio, ci fanno inoltrare nella selva dei cipressi.
Occorre però amare ciò che si fa, scegliere di farlo, capirne lo scopo grande e farlo bene: occorre smettere di pensare che l’ideale del tempo a scuola sia fare il meno possibile.
E questa è una responsabilità di tutti e innanzitutto della nostra intelligenza.
“Quanto poco sappiamo di ciò che è realmente una vita umana! La nostra. Giudicarci su quello che chiamiamo i nostri atti è vano, forse, quanto giudicarci sui nostri sogni. Iddio sceglie, secondo la sua giustizia, in questo mucchio di cose oscure; e quella che eleva verso il Padre nel gesto dell’ostensione, brilla di colpo, splende come un sole.” (G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna).
Quanto poco sappiamo di ciò che è realmente una vita umana! La nostra. Vogliamo camminare insieme per saperne qualcosa di più, imparando gli uni dagli altri, o preferiamo far passare il tempo prendendoci in giro a vicenda e ritrovandoci alla fine più piccoli delle umili tamerici? La scelta dipende da ognuno di noi, nella certezza che la vita dispensa felicità a piene mani per chi umilmente la cerca nelle cose di tutti i giorni.
Dice Alda Merini:
Ah se almeno potessi
suscitare l’amore
come pendio sicuro al mio destino!
E adagiare il respiro
fitto dentro le foglie
e ritogliere il senso alla natura!
O se solo potessi
toccar con dita tremule la luce
quella gagliarda che ci sboccia in seno,
corpo astrale del nostro viver solo
pur rimanendo pietra, inizio, sponda
tangibile agli dèi…
e violare i più chiusi paradisi
solo con la sostanza dell’affetto.
Continuo ad avere in mente questa poesia. Essa descrive e riassume bene una nota che mi sembra emergere con forza nella vostra e mia esperienza: l’esaltazione dell’affetto come modalità di affronto della realtà. Noi pensiamo, consideriamo scontato e naturale, che la forza affettiva, quella bontà con cui fondamentalmente ci poniamo nei confronti di persone e cose, sia capace di orientare il vissuto della nostra realtà secondo l’aspettativa e la naturalezza dei desideri e percepiamo con un profondo senso di mortificazione e di ingiustizia l’accorgerci che l’affetto non è spesso sufficiente a modificare e sostenere questo stesso vissuto: esso è tortuoso, ambiguo, labirintico. Potesse la sostanza dell’affetto violare i più chiusi paradisi! Ma quante volte ci accorgiamo che non può e non ne capiamo la ragione, ci sentiamo traditi nel profondo delle esigenze più profonde della nostra umanità!
La realtà è un mistero dalle molte sfaccettature: affetto, intelligenza, ragione, libertà, volontà. Studiare significa camminare dentro questo mistero, conoscerlo un po’ di più. C’è un impegno che urge: quello nei confronti di se stessi e delle propria vita, come ricorda Agostino:
“Se ignoranza e debolezza sono naturali, proprio di lì l’anima inizia a progredire e ad avanzare alla conoscenza ed alla quiete, fino a che in lei non sia perfetta la beatitudine. Ma se essa trascurerà di propria scelta, pur essendogliene stata concessa la possibilità, il progresso nelle conoscenze più alte e nella pietà, viene precipitata giustamente in ignoranza e debolezza più gravi, che sono già effetti della pena. …Infatti non viene all’anima imputato a colpa il fatto che per natura non sa e per natura non può, ma che non si è applicata a sapere e che non ha posto l’impegno ad acquistare la capacità di agire secondo ragione” (Agostino, Il libero arbitrio).
A scuola bisogna andarci con questa convinzione, con questo protagonismo: “Nella classe del signor Bernard i ragazzi sentivano di esistere... li si giudicava degni di scoprire il mondo”. (A. CAMUS, Il primo uomo).
La frase citata dovrebbe descrivere il modo in cui a scuola vi si guarda: non so se lo riconoscete come adeguato a giudicare il vostro contesto scolastico.
La mia programmazione si basa su tre parole: io, tu, noi. Dico: “Desidero che scopriate la profondità del vostro “io” e che impariate a riconoscere che esso è sempre relazione con un “tu”. Vorrei che infine potessimo dire “noi”, una comunione profonda, essere l’uno parte dell’altro, abolire l’estraneità. In questo sta la felicità. A livello scolastico questo significa ascolto e rispetto”.
“Voi siete in un’età nella quale, impazienti dell’avvenire, ciascuno se lo figura a sua guisa. Quali sono i vostri sogni? Che cosa desiderate voi? Fare l’ingegnere? È giusto: ciò deve servire alla vostra vita materiale. Ma e poi? Oltre la carne vi è in voi l’intelligenza, il cuore, la fantasia, che vogliono essere soddisfatte. Oltre l’ingegnere vi è in voi il cittadino, lo scienziato, l’artista... La letteratura non è un fatto artificiale: essa ha sede al di dentro di voi. La letteratura è il culto della scienza, l’entusiasmo dell’arte, l’amore di ciò che è nobile, gentile, bello e vi educa ad operare....per nobilitare la vostra intelligenza. (...) Prima di essere ingegnere voi siete uomini”. (F. DE SANCTIS, Ai miei giovani, Prolusione letta nell’Istituto Politecnico di Zurigo, 1856)
Non dico altro, perché è sufficientemente chiaro.
Autore: Lusso, Matteo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it