DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L'alibi perfetto è su Facebook. Grazie a un aggiornamento di status, un adolescente statunitense è riuscito a dimostrare di non essere stato l'autore

MILANO - «Dove sono i miei pancake?». È bastato questo banale aggiornamento di status su Facebook per scagionare un adolescente di New York che era stato accusato di un furto in un appartamento di Brooklyn. È la prima volta che un post pubblicato sul social network più famoso del mondo viene riconosciuto come alibi all'interno di un procedimento giudiziario.

ALIBI - Rodney Bradford, questo il nome dell'indiziato, è riuscito infatti a dimostrare che al momento del furto si trovava nella propria abitazione di Harlem (in un altro quartiere di New York, quindi). Mentre navigava online, ha avuto la buona idea di aggiornare il proprio status su Facebook che, come è noto, pubblica sempre la data e l'orario esatto di ogni contenuto inserito. L'avvocato difensore di Bradford ha presentato questa prova a discolpa del proprio assistito. Dopo una verifica incrociata con Facebook (da cui è arrivata la conferma che l'aggiornamento era avvenuto proprio all'indirizzo di Harlem), il giudice ha deciso di considerarlo un alibi affidabile.

PRECEDENTE - «È la prima volta che un aggiornamento di Facebook viene considerarato un alibi. In futuro ci saranno sempre più casi simili, considerata la diffusione dei social network», ha spiegato al New York Times un esperto di giurisprudenza online. Ma c'è anche chi non si dice d'accordo con la decisione del giudice. «Chiunque fosse stato a conoscenza dello username e della password avrebbe potuto inserire quell'informazione», ha sottolineato Joseph A. Pollini, docente di Giustizia Criminale al John Jay College, secondo cui i giudici dovrebbero essere più prudenti nell’utilizzo di simili informazioni: «In fondo i ragazzini sono bravissimi a utilizzare internet».


ALTRI CASI - Ad ogni modo, non è la prima volta che Facebook entra nelle aule dei tribunali. Clamoroso il caso del ladro che ha avuto la maldestra idea di controllare il proprio profilo (senza poi disconnettersi) durante un furto in un'abitazione: quanto è bastato per incastrarlo e mandarlo in prigione . Moltissimi poi i casi di tradimenti scoperti attraverso Facebook, utilizzati come prova durante le cause di separazione.

Nicola Bruno
Corriere dela sera 12 novembre 2009