Ci sono volute nove riunioni del consiglio di guerra e quasi quattro mesi di consultazioni per arrivare alla definizione di una strategia "complessiva ed estremamente utile". Barack ha davvero deciso di fare dell'Afghanistan "la guerra di Obama". Ormai tutto è pronto, "stiamo preparando un annuncio al popolo americano", dice il presidente, è questione di giorni e comunque avverrà "dopo il Ringraziamento", domani, sicuramente prima di volare a Oslo per ritirare il 10 dicembre un premio Nobel alla pace.
Gli uomini dell'amministrazione dicono che il presidente potrebbe fare passare il weekend festivo e parlare alla nazione martedì 1 dicembre. Due ipotesi. Un annuncio dallo Studio Ovale in prima serata tv darebbe l'idea della gravità della situazione ma un discorso in una sede istituzionale potrebbe essere più lungo e argomentato, come converrebbe alla decisione che (parola di Colin Powell, Segretario alla Difesa di George W. Bush) "potrà cambiare la storia dell'America". La svolta è arrivata nella seduta di lunedì sera, la prima con un invitato a sorpresa, il direttore del Bilancio Peter Orszag. La questione dei conti è decisiva, il New York Times ha calcolato il costo di un milione di dollari a soldato, un salasso per il budget Usa che solo i tassi ai minimi per la recessione continuano (per ora) a calmierare. Ma l'invio di nuove truppe è anche una decisione politica che spacca i democratici.
Secondo Karl W. Eikenberry, ambasciatore americano a Kabul, nuove truppe non servono se il governo afgano non debella prima la piaga della corruzione. Ieri il presidente Ahmid Karzai ha annunciato una grande conferenza, la prossima settimana sia McChrysall che Eikenberry testimonieranno davanti al Congresso: la trattativa si chiude. Non è un caso che l'annuncio di Obama sia avvenuto durante la visita del primo ministro indiano Manmohan Singh. La stabilizzazione della regione è una priorità degli americani, dice il presidente. Che però ricorda "gli obblighi degli alleati" e avverte che gli Usa non agiranno unilateralmente ma come "parte di una più ampia comunità internazionale". Ed è più che un accenno all'exit strategy evidentemente già offerta ai paesi Nato in cambio di un maggiore impegno sul campo.
© La Repubblica (25 novembre 2009