di Bernardo Cervellera
Tratto da Avvenire del 24 novembre 2009
Tre anni di prigione perché ha mostrato solidarietà alle famiglie dei terremotati del Sichuan.
È successo a Huang Qi, un attivista per i diritti umani, arrestato nel giugno 2008 dopo aver incontrato alcune famiglie i cui figli erano rimasti uccisi sotto le scuole a causa del sisma. Il tribunale di Chengdu lo ha condannato per «possesso di segreti di Stato», dando a intendere che abbia cospirato contro il suo Paese, la Cina. In realtà, Huang cercava di aiutare chi è stato colpito dal terremoto a chiedere che si indaghi e si proceda con i risarcimenti, dopo il crollo di quasi 8mila edifici, che hanno ucciso oltre 5. 500 ragazzi. Il sospetto dei genitori è che gli isitituti – caduti come 'budini di tofu' – siano stati costruiti senza rispettare gli standard di sicurezza, perfino con la sabbia, senza cemento. Il governo all’inizio aveva promesso un’inchiesta. Dopo che le prime perizie avevano confermato le ipotesi peggiori, la autorità hanno bloccato tutto e proibito ogni ulteriore indagine. L’incontro di Huang con le famiglie delle vittime era «contro lo Stato»? Sì, ma solo perché lo Stato è implicato nella 'disinvolta' costruzione delle scuole. Il problema della Cina è proprio dovuto al fatto che lo Stato, essendo totalitario, è coinvolto nella politica come nell’economia, nell’istruzione quanto nella religione. Le difficoltà che si registrano a tutti questi livelli lo vedono parte in causa. Ogni azioni o gesto di critica, qualunque 'normale' richiesta di giustizia (come quelle sulle violazioni delle norme in materia di sicurezza o di tutela dell’ambiente) viene subito recepito come un attentato contro l’ordine costituito. In questo modo, sollecitare che si faccia luce sul crollo degli edifici pubblici appare una sfida allo Stato stesso; una Messa celebrata in luoghi non registrati è bollata come un attentato all’ordine pubblico; un articolo pubblicato su Internet che osi parlare (solo parlare) di democrazia è accusato di voler «sovvertire il governo e abbattere il sistema socialista». È quanto è avvenuto con Liu Xiaobo, professore universitario, leader di Tiananmen e probabile autore della Carta 08, il documento pubblicato lo scorso anno per chiedere il rispetto dei diritti umani in Cina. È da notare che Pechino, nel ’98, ha già sottoscritto le Convenzioni Onu sui diritti umani e civili, ma non ha ancora fatto alcun passo per difendere tali diritti nella sua legislazione. Le richieste di Liu Xiaobo e degli altri attivisti di Carta 08, in linea di principio, si muovono all’interno del sistema politico nazionale, ma il passato e il presente totalitario considerano le legittime rivendicazioni una grande minaccia. In Cina, vi sono decine di dissidenti condannati a 10-15 anni di prigione per «sovversione». E hanno solo chiesto di poter dibattere in pubblico le proprie idee. Dieci anni fa Pechino ha incluso nella Costituzione un nuovo paragrafo, in cui si afferma che la Repubblica popolare governa la nazione «secondo la legge» e che è un Paese «sotto lo Stato di diritto». Nel 2004, nella Costituzione è stato aggiunto anche che «lo Stato rispetta e garantisce i diritti umani». Grazie a questi spiragli, numerosi avvocati hanno cominciato a difendere contadini e cittadini espropriati delle terre e delle case; fedeli perseguitati per la loro fede; operai defraudati dai loro datori di lavoro; persone ammalatesi per l’inquinamento dovuto alle fabbriche o avvelenate da cibi adulterati. Quegli avvocati sono divenuti, di fatto, attivisti per i diritti umani: sostengono chi ha subito ingiustizie spesso senza pretendere compenso, appellandosi alle (poche) leggi esistenti. La risposta del governo è stata una serie di arresti e la minaccia da parte dell’Ordine di ritirare l’abilitazione a chiunque accetti di patrocinare queste cause. Pechino pensa che imbavagliando e arrestando si mantenga la stabilità. Ma la crescita esponenziale di rivolte, sit-in e manifestazioni (più di 300 al giorno) per problemi legati alla vita quotidiana mostra che proprio la via della repressione genera sempre maggiore instabilità.