Erano invitati tutti quelli che vogliono diventare genitori, comprese le single e le coppie gay. Gli unici non graditi erano i giornalisti: ai visitatori era garantita massima discrezione, quindi ingresso bandito a stampa e fotografi. Per confortare gli aspiranti genitori anonimi la kermesse offriva un po’ di tutto, dal medicalmente comprovato al ciarpame folle, senza dimenticare la funzione educativa dell’evento: fra i seminari ce n’era uno dall’inquietante titolo “Come rimanere incinta”, pensato per quelle generazioni di inglesi che, al contrario di quelle attuali, non hanno scoperto a cinque anni sui banchi di scuola come funziona la cosa nei dettagli.
Quello della fertilità in Gran Bretagna è un business enorme: per la fecondazione in vitro si spendono almeno 500 milioni di sterline l’anno e le richieste (quasi 40 mila l’anno) sono in crescita. E la concorrenza estera è spietata. C’erano biondone americane che declamavano i “risultati sorprendenti” delle cliniche di oltreoceano (“Ma se non posso nemmeno bere – chiedeva un’aspirante mamma – a Las Vegas che ci vengo a fare?”) e le pr delle cliniche spagnole che raccontavano come un sacco di inglesi volano in Spagna per fare un bambino. Fra loro una su dieci è single e tantissime sono quarantenni con corpo scolpito e baby fidanzati al seguito, che si accorgono troppo tardi che il treno è passato. “Venite qui – dicono dall’estero –, c’è poca coda e abbiamo una gran scorta di donatrici di ovuli”. Con grande rabbia di Lisa Jardine, il capo dell’Authority britannica in materia, che spinge perché in Gran Bretagna gli ovuli diventino a pagamento, così almeno tutto il business rientra nel pil.
Le cliniche inglesi distribuivano agguerrite quintali di depliant sulle ultime tecniche “a riuscita comprovata” (tipo “Con noi bambino pressoché garantito”), anche perché adesso il sistema sanitario stilerà una hit-parade delle cliniche in base alla percentuale di successo, quindi più sono i clienti e meglio è. Una battaglia aperta sulla credibilità, visto che ultimamente sono saltati fuori un po’ di pasticci: c’è chi è bianco da mille generazioni e si è trovato un figlio nero, chi aveva riposto ogni sua speranza in quell’ultimo embrione, poi impiantato nell’utero di un’altra.
Chi vuole avere figli a tutti costi e non ci riesce vive con uno stress pazzesco. Anche perché a leggere i giornali si scopre che fai fatica a rimanere incinta se sei soprappeso, se bevi un bicchiere di vino (secondo Harvard basta una bottiglia in due alla settimana e già c’è il 26 per cento di possibilità in meno di rimanere incinta), ma anche se passi troppo tempo in palestra (uno studio norvegese dice che l’allenamento da wonderwoman triplica le possibilità di avere problemi a diventar mamme). E chi è andato al Fertility Show per tranquillizzarsi ne è uscito con la testa piena di dispendiosissimi rimedi e allarmi sull’orologio biologico.
Per le femmine fra gli stand era possibile fare in diretta uno dei test sulla scadenza dei propri ovuli, quegli “eggtimer” che fanno tanto tavolo della cucina. Ai maschi per 100 sterline era offerto in un ora un test sulla velocità e l’efficienza degli spermatozooi. Perché, si ripeteva alla fiera, nel 50 per cento dei casi il fatto che il bimbo non arrivi dipende da lui, ma la questione è virilmente considerata un tabù assoluto. Così al massimo, per chi preferisce evitare l’argomento con il proprio uomo e arrangiarsi alla chetichella, erano in vendita bottigliette di gel miracoloso (per lei) che promettono di aiutare (lui) a raggiungere lo scopo. Tutto nonostante il fatto che gli scienziati – gli ultimi sono stati gli australiani – ripetano alla nausea che il metodo sinora rivelatosi più efficace resta soltanto uno: “applicarsi” almeno una volta al giorno.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO