mercoledì 25 novembre 2009
Il primo dato che salta all’occhio dopo l’incontro del Papa con una larghissima rappresentanza di artisti, avvenuto sabato scorso in Vaticano, è quello di una condivisa e sincera contentezza. Non c’è stato uno dei partecipanti che non l’abbia espressa: e la “formazione”, messa a punto, con la consueta abilità, da Gianfranco Ravasi era davvero una formazione senza etichette e senza preclusioni culturali. In una parola, senza steccati. Non era quindi un esito scontato, anche perché agli artisti si chiedeva per una volta di fare un passo indietro e di mettersi in posizione di ascolto. Per di più, chi prendeva la parola era una grande istituzione, come la Chiesa, verso la quale gran parte degli uomini di cultura da tempo guardano con sospetto e circospezione.
Dobbiamo chiederci allora cosa abbia fatto scattare questa reazione unanime e condivisa di “contentezza” per l’incontro e per le parole ascoltate. Secondo me sono entrati in gioco due fattori decisivi e forse imprevisti. Il primo è il fatto che questo incontro è stato recepito come un grande gesto di stima, in particolare da parte del Papa, verso il lavoro di chi fa cultura: l’aver pensato a una “location” straordinariamente bella e emozionante come la Sistina ha confermato subito a tutti questa impressione. In questi tempi la stima per chi fa cultura o non esiste affatto o è condizionata a logiche di schieramento ideologico e politico. Il Papa invece ha dato un segnale di apertura e di fiducia che è sembrata a tutti i presenti come l’inizio di un qualcosa di nuovo: è significativo ad esempio che un personaggio certo poco accondiscendente verso la le posizioni della Chiesa come Nanni Moretti fosse presente e abbia ritenuto utile e costruttivo sottoporre al parere di monsignor Ravasi la sceneggiatura del suo prossimo film.
Il secondo fattore è invece emerso con chiarezza dal discorso di Benedetto XVI. C’è in quel discorso una parola che ricorre ben 36 volte: ed è la parola “bellezza”. Se c’è stima per quello che gli uomini e le donne di cultura fanno, da parte del Papa ce n’è ancora di più per quello che è il loro compito: dare forma alla bellezza. Ma la bellezza non è una forma precostituita, non è un canone nel quale adagiarsi. La bellezza è un’esperienza in atto, è un fattore di movimento che introduce anche un’inquietudine: perché spalanca davanti agli uomini domande sul destino, provoca uno struggimento verso un oltre, verso un infinito. La bellezza, ha detto il Papa, «fa uscire l’uomo da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto». E per rafforzare questo suo concetto ha anche ripreso una bellissima frase di Georges Braque, il pittore che a inizio ’900 insieme a Picasso aveva fondato il cubismo: «L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura».
Generare una bellezza capace di «rimettere in marcia» l’uomo: come non essere contenti di aver un compito così? Come non cogliere con uno slancio nuovo l’importanza anche storica e concreta del proprio compito? Alla Sistina, sabato scorso, è certamente scattato qualcosa che può rimettere in movimento tante cose, lasciando indietro tutti i conservatorismi di qualsiasi colore siano. In un certo senso è finito il “veltronismo” come idea di una cultura coccolata e tutta ombelicale. Ma è stata messa in soffitta anche la cultura dell’eterna recriminazione contro la modernità. La sfida è lanciata, anche concretamente. E la Chiesa si è presa il primo rischio: la grande idea di aprire un padiglione vaticano alla prossima Biennale di Venezia, sarà la prima affascinante verifica del cammino avviato.
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