di Renato Farina
Tratto da Il Giornale dell'1 novembre 2009
Vietato in Comune, prima durante e dopo un matrimonio, dire l’Ave Maria. O forse è vietato dirla e basta. Forse è una bestemmia contro il Dio della Santa Religione Multiculturale. Accade a Varese, ma è un sintomo, non un caso eccezionale. Un amico mi racconta, e io trascrivo. È una persona seria: è un dirigente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) di cui è presidente nella città insubrica e bossiana. Per intenderci: Peppino Falvo non è un fanatico né un bigotto. Va volentieri al matrimonio civile di una coppia di amici. Non si scandalizza. La vita è così complicata...
Dice Falvo: «Il fatto è avvenuto nel palazzo degli Estensi, sede del comune di Varese, martedì 29 settembre. Ero stato invitato al matrimonio di una coppia di carissimi amici. I nomi li dico, visto che è un atto pubblico, e anche per una ragione che si capirà poi: sono Flor de Lourdes e Alfonso Maria. La cerimonia civile era officiata - si dice così - dal consigliere comunale architetto Franco Prevosti innanzi a circa cinquanta persone di diversa nazionalità. A fine rito, quello civile è arido, ho preso la parola per innaffiare di qualche frase meno burocratica la felicità degli sposi che era di tutti noi».
Auguri, cento anni, figli eccetera. Poi pronunciare i due nomi - Lourdes e Alfonso Maria - fa scattare sui due piedi una proposta: «Che ne dite se diciamo insieme un’Ave Maria? Inizia a dire «Ave-Maria-piena». Alt! L'architetto alza la paletta del vigile urbano del politicamente corretto. Peppino dopo un mese non si dà ancora pace: «Non volevo fare un gesto premeditato o provocatorio (come se dire l’Ave Maria fosse una provocazione poi...), ma l’ho fatto perché era così naturale ispirandomi al nome degli sposi e per dare una nota spirituale che conosco di loro gradimento. Il celebrante mi ha immediatamente interrotto, proibendo la preghiera ed eccependone l’inopportunità in quel luogo. Siamo usciti tutti dall’aula attoniti e umiliati e con un senso di colpa come quello di chi abbia voluto in qualche modo tentare di profanare un luogo che non appartiene alla civiltà del nostro Paese ma a chissà quale ideologia. Difficile spiegare l’accaduto ai partecipanti alla cerimonia, specialmente a coloro che non comprendono l’italiano. Tutti, anche gli stranieri, abbiamo recepito come incomprensibile un tale divieto sapendo esservi in Italia e a Varese una maggioranza di religione cattolica».
Falvo si pone degli interrogativi che sono anche i miei. «Per quale motivo una preghiera semplice e popolare risulta indecente per un’aula comunale? Perché solo la nostra fede è così scandalosa? Perché le altre religioni, in particolare quella musulmana, vengono rispettate, vedi per esempio il velo non integrale delle donne, i copricapo dei musulmani, le frequenti prostrazioni in luoghi pubblici (piazze, strade, luoghi di passaggio pubblico) rivolti alla Mecca creando talvolta notevole intralcio e disturbo per le invocazioni ad alta voce e le difficoltà di transito dei passanti? Perché i musulmani si permettono di distruggere le nostre immagini e noi invece dobbiamo rispettare le loro? Perché una pacifica manifestazione del sentimento religioso come la preghiera dell’Ave Maria durante un matrimonio suscita scandalo in un luogo pubblico?».
Aspettiamo un chiarimento, una paroletta ufficiale o anche ufficiosa. Qualche cavillo si troverà per giustificare quello che a me sembra un furto di identità, un’estirpazione di radici, un sequestro del sentimento cristiano del nostro popolo. A chi fa male, a chi dà fastidio una preghiera cristiana?
Una ben strana idea di laicità questa. Non è stato un errore, ma dev’essere proprio un metodo. Di certo un costume Franco Prevosti è presidente della Commissione cultura, ed è del Popolo della libertà. Ci possono essere tante idee diverse in questo partitone. Ma che idea di laicità è questa? Una volta peraltro Prevosti, che è un uomo sicuramente di forti convinzioni, ha rotto la laicità della cerimonia quando si è fatto festeggiare lui più degli sposi. Trascrivo da un sito internet varesino: «Angela e Athos non lo sapevano quando hanno varcato il portone di Palazzo Estense ieri mattina, sabato 13 giugno, ma hanno scoperto di partecipare a un piccolo-grande record quando hanno visto spuntare fotografi e curiosi. Già, perché la coppia che ieri si è sposata nella bella sala del Comune di Varese dedicata alle cerimonie, è stata la trecentesima che Franco Prevosti ha unito in matrimonio. Un risultato tanto curioso quanto sensazionale per il consigliere comunale varesino, «specializzato» in fiori d’arancio dal 2006 in avanti.
Qualcuno, scherzando, ha accostato il cognome «clericale» del consigliere all’attività matrimoniale; di certo l’architetto Prevosti ci ha preso gusto, surclassando il sindaco Fontana e gli altri consiglieri nel numero di «sì» tanto da meritarsi una torta (quasi) nuziale per festeggiare l’evento.
Vorremmo capire: è una questione di eleganza? Una torta nuziale per il celebrante va bene, è laica, e una preghiera squalifica e abbrutisce? Non è un calcolo, ovvio, ma uno stato del pensiero pubblico, uno stato d’animo, la paura presente in tutti di schiacciare i piedi a qualche imam o a qualche corifeo del laicismo. Risultato alla lunga sarà l’annullamento di ogni memoria che non sia la classifica del campionato. Noi invece siamo orgogliosi della nostra origine, dei nostri canti, del nostro nome e cognome.