Roma. La nuova religione catastrofista
che ha trovato in Al Gore il pontefice massimo
ha anche un custode della fede. Colui
che ha aiutato l’ex vicepresidente americano
a mettere insieme i pezzi della sua
propaganda è James Hansen, il direttore
del Goddard Institute per gli studi spaziali
della Nasa. Quinto di sette figli di un
contadino dell’Iowa, Hansen è entrato alla
Nasa grazie ai suoi studi su Venere. Negli
anni Ottanta la conversione arriva insieme
con il dono di profetare sventure:
Hansen previde il riscaldamento terrestre
diventando – soprattutto a livello mediatico
– “uno dei più eminenti climatologi”.
Hansen incarna l’ortodossia catastrofista
nella sua forma più esasperata: ammantate
di alone scientifico, le sue previsioni superano
di gran lunga quelle pur dramma
tiche di Al Gore. L’Ipcc dice che i mari saliranno
di un metro? Lui rilancia con sette.
Il mondo si aspetta che il summit sul
clima di Copenaghen salvi il mondo? Lui
si augura che fallisca perché non è sufficiente
a risolvere il problema, soprattutto
dal punto di vista economico. Sessantottenne,
da quasi trent’anni è tra i maggiori
opinion leader dell’ideologia che addossa
tutte le colpe all’uomo per i cambiamenti
climatici. Pur avendo preso diverse topiche,
la sua posizione resta salda: Hansen è
in effetti l’eminenza grigia della campagna
mediatica di Al Gore, nota perché spesso
ricca di inesattezze scientifiche (anche un
tribunale inglese ha vietato la proiezione
del suo film premio Oscar nelle scuole).
Come quelle raccontate proprio al summit
di Copenaghen: con slide e diagrammi Gore
ha infatti detto che tra sette anni i
ghiacciai del Polo nord non esisteranno
drammapiù
d’estate. Per farlo ha citato gli studi di
uno scienziato (peraltro nemmeno troppo
quotato), Wieslav Maslowski, che subito
dopo ha detto di non sapere da dove Gore
avesse tratto quelle conclusioni. Di esagerazioni
come queste James Hansen vive
da anni, tanto che il suo ex capo, lo scienziato
dell’atmosfera John S. Theon, disse
che il suo dipendente “imbarazzava la Nasa
con le sue allarmanti dichiarazioni sul
clima”. Theon, ora in pensione, si rammaricava
che Hansen non fosse mai stato
“imbavagliato” anche se violava la posizione
ufficiale della stessa Nasa: “Noi non
sappiamo abbastanza per prevedere il clima
e l’effetto dell’uomo su di esso”, ha dichiarato
Theon. Ma alla storia è passata
un’altra versione.
Hansen è stato il primo a parlare di global
warming davanti al Congresso americano,
nel 1988. Ecco perché è conosciuto
come “il padrino del riscaldamento globale”.
Da allora, con intelligenza, è riuscito a
creare una vera e propria frenesia mediatica
con allarmi spaventosi, richieste di
processi ai danni di chiunque lo criticasse
e la sua mania di persecuzione nei confronti
di Bush, colpevole di averlo zittito
(si noti che in quel periodo Hansen ha fatto
1.400 interviste per parlare del suo lavoro).
“Il clima è vicino al punto di non ritorno,
c’è spazio per effetti irreversibili”,
scriveva a gennaio 2009. Come molti altri
scienziati del suo calibro, ha da tempo
preferito l’attivismo alla ricerca silenziosa:
“E’ un attivista politico che distribuisce
paure”, ha detto il fisico e astronauta Walter
Cunningham, lamentando come la Nasa
non sia più in prima linea a cercare
prove scientifiche per calmare l’isteria ma
sia stata ormai “catturata dalla scienza politicizzata”.
Il Foglio 17 dic. 2009