DI L UCIA C APUZZI
A nche quest’anno, a Ciudad Juarez, la vigilia di Natale si concluderà senza la tradizionale messa di mezzanotte. Tutte le celebrazioni religiose sono state anticipate al pomeriggio. Perché, nella città più pericolosa del Messico, uscire la notte per recarsi in Chiesa può costare la vita. Sia ai fedeli, sia ai sacerdoti. Ora, però, le funzioni notturne sono state ora sospese anche in quasi tutti gli Stati norteñi. Segno che Juarez – dove negli ultimi dodici mesi sono state massacrate 2.500 persone – non rappresenta più una drammatica eccezione.
L’intera zona settentrionale del Paese è terreno di guerra tra narcotrafficanti e forze di sicurezza. A farne le spese sono, sempre più spesso, anche le istituzioni religiose. I casi di chiese svaligiate, bruciate, assaltate sono all’ordine del giorno. « L’insicurezza è arrivata a un punto tale che siamo costretti a tenere chiuse le porte delle chiese per proteggere le persone che sono dentro » , afferma con amarezza Hesiquio Trevizo, sacerdote e portavoce della Diocesi di Juarez. Per accedere alle strutture si bussa a un ingresso laterale e si attende che un portiere – dopo aver osservato con attenzione dallo spioncino – consenta l’accesso.
La maggior parte degli edifici religiosi è stata costretta a blindarsi con recinti di filo spinato o barriere elettrificate. I sistemi di allarme sono una consuetudine all’interno delle chiese. A Queretaro o Guanajuaco, nemmeno questi ultimi sono riusciti a tener lontano i malviventi legati ai cartelli. I delinquenti si introducevano a tutte le ore per rubare statue, oggetti sacri e soprattutto la cassetta delle elemosine. Chi si opponeva veniva malmenato o, peggio, ucciso. Per questo, i parroci sono stati obbligati a tenere chiusi gli edifici durante il giorno e ad aprirli – con le dovute precauzioni – solo durante le celebrazioni. « Non era mai accaduta una cosa del genere – dice con la voce sgomenta Alina, una delle tante fedeli di Guanajuaco –. Persino i narcos, prima, avevano un minimo di rispetto per la casa di Dio. Qui siamo quasi tutti cattolici » . In Messico circa il 90 per cento della popolazione si dichiara cattolica. Le chiese sparse per la nazione sono oltre novemila, i sacerdoti quasi il doppio. « Se profanano anche gli edifici religiosi significa che ormai abbiamo oltrepassato ogni misura » , aggiunge Alina. Ora « siamo diventati cappellani di guerra – racconta don Trevizo –.
Lavoriamo a pieno ritmo per dar sepoltura cristiana ai troppi morti. Alcuni sacerdoti celebrano anche cinque funerali al giorno » . L’impegno in favore delle vittime della violenza e contro la criminalità provoca l’odio dei narcos nei confronti dei religiosi. In ben nove Stati del Paese, secondo quanto denunciato dalla Conferenza episcopale messicana, i sacerdoti subiscono minacce continue.
Soprattutto da parte dei feroci sicari “Los Zetas”, squadroni della morte a servizio del cartello del Golfo. « I sacerdoti denunciano quel che accade nel Paese. I narcos vorrebbero ridurci al silenzio » , spiega Martin Corral, della Conferenza episcopale messicana. Il lavoro della Chiesa, però, nonostante i pericoli e le intimidazioni, va avanti.
Avvenire 20 dic 2009