Secondo il recente report del Pew Forum on Religion & Public life dedicato agli spostamenti di fedeli da una religione all’altra negli Stati Uniti “la maggior parte di coloro che cambiano religione lo fa prima di compiere 24 anni e lo fa più volte”. E’ senz’altro conoscendo l’effervescenza di questo “mercato delle conversioni” che Timothy Dolan, 59 anni, di Saint Louis (Missouri), dal 23 febbraio arcivescovo di New York, ha ideato il proprio programma di governo. “Il mio obiettivo primario è uno – ha detto – incontrare people, people, e ancora people”. Insomma non un programma d’élite. Piuttosto una discesa in piazza con lo scopo dichiarato di catturare alla fede più gente possibile.
La piazza sono i luoghi che tutti frequentano, la tv, la radio, i giornali, il web. E Dolan, sui media, ci sta non per modo di dire. Quando parla in tv o in radio, risponde in diretta alle domande della gente. Senza filtri e senza veli. Su qualsiasi argomento. Una metodologia di comunicazione di sé e della fede senz’altro diversa da quella tramite la quale, ad esempio in Italia, i vescovi spesso intendono proporre se stessi e il Vangelo. E il convegno su Dio organizzato dalla Conferenza episcopale italiana due settimane fa un po’ lo dice. Certo, non è per forza di cose vero quanto l’altro ieri scriveva Il Secolo d’Italia: il convegno ha mostrato “una deriva elitaria”. Ma è pur evidente la differenza che c’è tra passare una giornata a Roma ad ascoltare erudite disquisizioni davanti a un pubblico di addetti ai lavori e trascorrere qualche minuto immersi nelle evoluzioni in tv e in radio dell’arcivescovo americano.
“Il mondo ha bisogno di eroi”. E’ il titolo del trailer che il sito web dell’arcidiocesi di New York lancia in tutta evidenza sulla propria home page. “E cioè di preti”, recita il video il cui scopo è dichiarato fin dall’inizio: invogliare le nuove generazioni a cedere, a rispondere a una eventuale chiamata di Dio. Il filmato mostra un prete che benedice la salma di un marine di ritorno da una qualche guerra lontana. La bandiera americana piegata accanto a quella della diocesi. E poi una voce in sottofondo che dice: “Preghiamo”. Ed ecco Dolan che mentre passa una musica che ricorda la base ideata da Randy Edelman per L’ultimo dei Mohicani, è intento a ordinare cinque nuovi preti nella cattedrale della città: “Preghiamo che questi cinque nostri fratelli, Anthony, Christopher, Vincente, Jacob e Louis sappiano portare a compimento la missione che Dio ha affidato loro chiamandoli al sacerdozio”. I nomi sono pronunciati lentamente, come fosse l’adunata prima di un’epica battaglia.
Il trailer è un esempio, uno dei tanti, che mostra la modalità d’azione di Dolan. E, soprattutto, la sua idea di comunicazione della fede: questa è messa in commercio, on the market, proposta al pubblico che deve giudicare come giudicherebbe un qualsiasi altro tipo di merce. E anche il punto di vista della diocesi su vari argomenti, dal matrimonio tra gay al precetto della messa domenicale, dalla solidarietà natalizia alle esequie funebri concesse a Ted Kennedy dall’arcivescovo di Boston, è offerto con la stessa naturalezza con la quale Obama difenderebbe le proprie idee al Daily Show con Jon Stewart. “Carissima Rossana, sono arrivato a New York da due settimane ma questa è già casa mia”, ha detto Dolan a Good Day New York, il programma della Fox condotto da Rossana Scotto. Poi si è alzato dalla sedia, ha abbracciato la giovane conduttrice e ha risposto a qualsiasi domanda gli venisse posta.
Domande serie, ma anche leggere. Come questa: “Cosa ha pensato prima di entrare nella cattedrale di New York dopo la nomina?”. Risposta: “Beh, che forse mi converrebbe continuare a pagare le tasse a Milwaukee: a New York sono più alte”. Dolan è molto ascoltato in radio. Il programma A Conversation with the Archbishop all’interno del Catholic Channel della rete Sirius ha picchi di ascolti da record. Del resto il vescovo a cui Dolan ha dichiarato di rifarsi una volta arrivato a New York non è uno qualsiasi, bensì quel Fulton Sheen, arcivescovo ausiliare della città negli anni Sessanta, che “portò Cristo in tv”. The Catholic Hour, il programma radiofonico che Sheen condusse per 22 anni, aveva quattro milioni di ascoltatori. E quando iniziò la serie televisiva Life is Worth Living, si stimò avesse un pubblico di trenta milioni di telespettatori.
E’ sul blog, The Gospel In the Digital Age, che Dolan sa essere più piccante che altrove. Circa un mese fa ne ha dette quattro al New York Times che non gli aveva pubblicato un articolo che iniziava così: “L’anticattolicesimo è diventato un nuovo passatempo nazionale”. E chi, secondo Dolan, lo pratica più di altri? Anzitutto il giornale della città. Quel New York Times che il 14 ottobre ha denunciato 40 casi di abusi sessuali su bambini avvenuti in una piccola comunità ebraica di Brooklyn. Ma, scrive Dolan, dall’articolo “non emerge lo stesso atteggiamento assunto in passato nei confronti della chiesa cattolica”. Dolan spiega di non avere né l’intenzione né il diritto di criticare la comunità ebraica, ma denuncia “questo tipo d’indignazione selettiva”. E poi un altro caso: il 25 ottobre la celebre columnist Maureen Dowd “senza cognizione di causa”, scrive Dolan, accusa la chiesa per la sua posizione sui preservativi: “Noi cattolici accogliamo le critiche e ce le aspettiamo. Ma chiediamo siano cortesi, razionali e corrette”.
Dice al Foglio John L. Allen Jr., corrispondente del settimanale National Catholic Reporter e vaticanista per la Cnn, che la capacità comunicativa di Dolan ha radici lontane: “Il fratello Bob è stato per anni una personalità di spicco di una radio di Milwaukee, la città nella quale Dolan è stato arcivescovo prima di New York. E attualmente Bob dirige una agenzia di produzione televisiva. Una certa conoscenza dei media si trova nel dna della famiglia Dolan. Credo però che Dolan sia un’eccezione nel panorama dell’episcopato statunitense. Non sono molti coloro che sanno usare e che usano i media come lui”. E ancora: “L’episcopato americano è molto variegato: ne abbiamo avuto un esempio nella polemica creatasi attorno alle dichiarazioni di monsignor Raymond Burke, prefetto del tribunale della Segnatura Apostolica, e al cardinale arcivescovo di Boston Sean O’Malley sull’opportunità di concedere le esequie funebri a Ted Kennedy. E altri esempi vengono ogni volta che si parla di concedere o no l’eucaristia a quei politici che si macchiano di colpe gravi. Su questi temi credo che la maggioranza dei vescovi degli Stati Uniti segua una linea morbida, pastorale, mentre una minoranza che tuttavia si fa molto sentire è un po’ più dura e battagliera”.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
di Paolo Rodari