DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Contrordine compagni: moltiplicatevi! La politica del figlio unico ha fatto della Cina un paese di maschi vecchi e soli. Ora il passo indietro

«Meglio dieci tombe che un bambino in
più». È uno dei tanti slogan che hanno accompagnato
la politica del figlio unico varata
nel 1978 da Deng Xiaoping per frenare
il boom demografico cinese. In trent’anni
l’applicazione della legge è stata sostenuta
con ogni tipo di mezzo: multe e distruzione
della casa per i trasgressori, sterilizzazioni
forzate, aborti coercitivi fino al nono mese
di gravidanza ecc. (per un’analisi dettagliata
si può leggere il libro Strage di Innocenti,
La politica del figlio unico in Cina - Guerini e
Associati - autore Harry Wu, animatore della
Fondazione Laogai). [1]
L’idea di contenere l’incremento demografico
nacque quando il censimento del
1953 rivelò che la popolazione cinese toccava
i 600 milioni. Marco Del Corona: «L’economista
Ma Yinchu, studi a Yale e accesso
a Mao Zedong, tentò di sensibilizzare
il leader sulla necessità di frenare le
nascite. La sua previsione (un miliardo e
mezzo di cinesi in mezzo secolo) non era
poi così fuori misura, visto che la popolazione
raggiunse il miliardo nell’81. Tra fine
anni Settanta e primi Ottanta, Deng
Xiaoping impose la politica del figlio unico,
che tuttavia prevede eccezioni, dalle
minoranze etniche alle coppie di figli unici,
da chi svolge mestieri pericolosi alle famiglie
rurali cui il primo parto abbia dato
una femmina». In trent’anni le restrizioni
avrebbero fatto nascere 300-400 milioni di
cinesi in meno. [2]
«C’è uno stretto legame tra demografia e
clima, noi puntiamo allo sviluppo coordinato
e sostenibile di economia, società, risorse
e ambiente», ha detto il viceministro cinese
Zhao Baige al recente vertice Onu sul
clima di Copenaghen. [3] Presto però le cose
potrebbero cambiare: la Cina si avvia a
diventare un paese con troppi vecchi e
troppi uomini, dunque più povero. Nel
2050 tre cinesi su dieci (parliamo di 400 milioni
di persone) avranno più di 60 anni e
saranno privi di pensione e assistenza sanitaria,
ha stimato il 14 dicembre un rapporto
dell’ufficio statistiche di Pechino. [4]
Nell’82 i cinesi sopra i 65 anni erano il
4,9%, nel 2005 il 7,6%, nel 2026 dovrebbero
arrivare al 28,4%. [2] Massimo Livi Bacci:
«È vero che verso quella data la quota degli
anziani in Europa sarà intorno al 30 per
cento, ma quel che da noi si sarà compiuto
gradualmente, nel corso di oltre un secolo,
in Cina viene compresso in pochi decenni:
poco tempo per metabolizzare un cambiamento
di tal fatta. In Cina, nelle aree rurali
(che comprendono il 70 per cento della
popolazione) il sistema sanitario cooperativo
basato su una rete di presidi gratuiti si
è disintegrato con le riforme economiche
degli anni ’80, ed i costi delle cure mediche
sono diventati insostenibili per gran parte
della popolazione anziana». [5]
In Cina solo 15 anziani su 100 possono
contare su una pensione. Silvia Guidi: «Le
case di riposo cinesi possono ospitare solo
1,5 milioni di persone, a fronte di una
domanda di 7 milioni di posti. Prima degli
anni Novanta, i pensionati ritiravano il denaro
dalle aziende dove avevano lavorato.
Ma poi, con l’economia di mercato, alcune
aziende hanno chiuso, altre si sono fuse o
si sono trasformate, e non sono state in
grado di sostenere più a lungo i pagamenti
delle pensioni. Per questo nel 1991 Pechino
ha deciso di creare un sistema di assicurazione
di base per gli anziani che
avrebbe integrato programmi d’assistenza
sociale comune con i contributi dei privati.
Parecchio ha fatto anche la corruzione.
I fondi per gli anziani hanno subito un saccheggio
sistematico: negli ultimi anni oltre
700 milioni di euro sono stati rubati ai
pensionati dalle autorità». [6]
Mancando un sistema pensionistico, gli
anziani cinesi si mantengono lavorando o
col sostegno dei familiari o con i risparmi
accumulati. Livi Bacci: «Da un’indagine
del 2004 risulta che dei 155 milioni di persone
con più di 60 anni, 34 milioni avevano
come risorsa principale il lavoro, 41 milioni
una pensione, ed i residui 80 milioni un
trasferimento privato. Tradizionalmente il
sostegno degli anziani ricadeva sui figli
maschi, ma coloro che supereranno i 60 anni
a partire dal 2020, di figli maschi ne
avranno avuto uno oppure nessuno». [5]
Ciò detto, si capisce perché se normalmente
il rapporto fra maschi e femmine
dovrebbe essere di 107 a 100, in Cina la
proporzione è saltata: nel 1982 era di 108,5,
nel 2000 era salita a 117. [2]
Nella provincia di Hainan (la più meri-
dionale della Repubblica popolare) oggi si
arriva a 135 maschi ogni 100 femmine. A
Lianyungang, una città del Jiangsu, regione
costiera a nord di Shanghai, si è toccato
il record di 160 contro 100. Yuan Xin, direttore
dell’Istituto statale della popolazione:
«Poco meno di 40 milioni di femmine
sono state eliminate con l’aborto, o appena
nate». Più che di legge del “figlio
unico”, sarebbe insomma corretto parlare
di legge del “maschio unico”. Fatta una
media di 121 maschi ogni 100 femmine, secondo
le proiezioni dell’istituto per la pianificazione
familiare nel 2020 gli uomini in
età da matrimonio (20-45 anni) saranno 30
milioni più delle donne, nel 2030 il deficit
sarà di almeno 46 milioni. [7]
Gli studiosi spiegano che se lo squilibrio
coinvolge una o due generazioni la situazione
si può raddrizzare, oltre no. Del Corona:
«Milioni di giovani maschi senza
donne spaventano: disordini sociali, l’armonia
teorizzata dal presidente Hu Jintao
ne verrebbe travolta, e con essa il miracolo
economico. Un ratto delle Sabine made
in China è una storia che a Pechino non
vorrebbero rivivere». [8] La prospettiva di
un’ingovernabile nazione di maschi, vecchi
e soli, ha costretto i vertici del Partito
comunista ad annunciare la marcia indietro.
Il consigliere presidenziale Hu Angang:
«La norma sarà adeguata con il dodicesimo
piano quinquennale 2011-2015.
L’obiettivo della legge “un bambino per
coppia” è stato raggiunto. La nuova politica
demografica terrà conto della necessità
di “due bambini per coppia”». [4]
Tra gli esperti non mancano i contrari all’abbandono
della legge sul figlio unico: il
paese infatti cresce ancora ad un ritmo di
8-10 milioni di persone all’anno. [9] L’economista
Cheng Enfu, presidente dell’Istituto
di ricerca sul marxismo all’Accademia
di Scienze sociali: «Bisogna insistere
ed essere più severi». L’ex viceministro
Wang Guoqiangha ha calcolato che solo il
36% dei cinesi è effettivamente vincolato
al figlio unico. Del Corona: «Gli escamotage
non mancano. I ricchi delle città pagano
le multe e figliano senza troppi patemi,
sborsando dai 247 mila renminbi di Pechino
(circa 25 mila euro) ai 160 mila di Shanghai
». [2]
Anche nelle campagne la politica non
funziona già da alcuni anni: con mille espedienti
i contadini arrivano da avere tre o
quattro figli. [10] Francesco Sisci: «Il secondo
o terzo figlio spesso vengono registrati
a nome di parenti, senza eredi». [11]
Che la composizione demografica del Paese
stia mutando è però innegabile. A
Shanghai, dove tre abitanti su dieci hanno
più di 65 anni e c’è meno di un figlio per
famiglia, la politica del figlio unico è già
stata abbandonata. Risultato: si prevede
che nel 2010 nasceranno 165 mila bambini,
pochi più di quest’anno e meno che nel
2008. Feng Juying, capo dell’ufficio di pianificazione
familiare: «La gente non ha
soldi per due bambini. Mancano sicurezza
sociale, asili e scuole, case adeguate. Chi
per la prima volta ha conquistato uno
standard di vita sostenibile, non vuole più
fare rinunce». [4]
La secolare idea che la prosperità si misura
anche con il numero dei figli è stata
sostituita in fretta dai costumi occidentali:
il figlio unico è diventato una scelta, non
un’imposizione, e ci sono molti giovani che
proprio non ne vogliono. [10] Di questo
passo, nel 2030 la popolazione cinese dovrebbe
cominciare a diminuire. Ancora
prima, in un anno tra il 2025 e il 2028, la Cina
sarà superata dall’India nella classifica
mondiale della popolazione. [5]
Dei quattro Paesi del “Bric” (Brasile,
Russia, India, Cina, gli stati emergenti), solo
l’India continua a fronteggiare l’emergenza
demografica in termini di contenimento.
Dall’indipendenza, nel 1947, la popolazione
è triplicata arrivando a un miliardo
e 200 milioni, con un aumento medio
di 18 milioni di abitanti all’anno. Risultato:
a New Delhi pensano di cominciare con il
controllo delle nascite. Alessandra Muglia:
«L’idea di premiare con dei bonus il rinvio
della maternità nasce da un progetto pilota
avviato nel distretto di Satara, nello Stato
del Maharashtra: le autorità hanno dato
una ricompensa di 5 mila rupie (poco più
di 72 euro) alle donne che rinviano la gravidanza
di due anni» (nelle aree rurali una
buona paga giornaliera sfiora a malapena
le 70 rupie, più o meno un euro). [12]
C’è chi auspica la linea dura: il ministro
della Sanità dello Stato del Karnataka, 64
milioni di abitanti, nella giornata mondiale
della popolazione ha proposto di mettere
in prigione le coppie con più di due figli.
Più soft l’idea del ministro del Welfare
indiano Ghulam Nabi Azad, che contro
l’alta natalità propone l’aumento dei programmi
televisivi notturni. Primo obiettivo
della sua campagna, portare l’elettricità
in tutti i villaggi: «Dove non c’è elettricità,
non c’è altro da fare che procreare.
Se portiamo la corrente elettrica in ogni
villaggio, la gente guarderà la tv fino a tarda
notte e poi si addormenterà». [12]

Note: [1] Federica Bianchi, L’espresso 10/9/2009; [2] Marco del Corona, Corriere della Sera
25/6/2009; [3] La Stampa 12/12/2009; [4] Giampaolo Visetti, la Repubblica 15/12/2009; [5] Massimo Livi
Bacci, la Repubblica 28/8/2007; [6] Silvia Guidi, Libero 14/2/2007; [7] Marco Del Corona, Corriere della
Sera 26/8/2007; Giampaolo Visetti, la Repubblica 15/12/2009; [8] Marco Del Corona, Corriere della
Sera 26/8/2007; [9] Antonio Gimini, Il Messaggero 22/6/2009; [10] Francesco Sisci, La Stampa 25/7/2009;
[11] Francesco Sisci, La Stampa 14/5/2007; [12] Alessandra Muglia, Corriere della Sera 3/8/2009