DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

In Italia l’aborto chimico già uccide. Una donna morta a Roma. Ha abortito con la “fase due” della Ru486

Proprio mentre il consiglio d’amministrazione
dell’Agenzia italiana
del farmaco replicava ieri in fotocopia
la delibera di luglio con cui dava il via
libera alla pillola abortiva – e mentre
rinviava al ministero della Salute e alle
regioni il compito di stabilire con
quali modalità di ricovero, se ordinario
o in day hospital, la Ru486 possa
essere somministrata senza confliggere
con la legge 194 – la cronaca si è tragicamente
incaricata di raccontare
che cosa può concretamente comportare
un aborto chimico.
Due giorni fa, nel popolare quartiere
romano di San Basilio, una donna
romena di quarant’anni è morta per
aver tentato di abortire in casa con le
prostaglandine, farmaci in vendita come
comunissimi antiulcera ma capaci
di provocare violente contrazioni uterine
che inducono l’aborto. In seguito
all’episodio, l’assessore all’Ambiente
della regione Lazio, Filiberto Zaratti,
ha creduto di dover tuonare contro gli
ostacoli che ancora intralcerebbero
(assai debolmente, in verità) la libera
commercializzazione in Italia della
Ru486. La quale, secondo l’assessore,
potrebbe evitare fatti come quello che
è costato la vita alla donna romena
(come se nel Lazio non si potesse
abortire in ospedale con la 194). Chissà
dove vive, l’assessore Zaratti. E
chissà se qualcuno gli ha spiegato che
le prostaglandine che hanno ucciso
quella donna sono proprio le stesse,
identiche prostaglandine che bisogna
assumere nella seconda fase della
procedura con la Ru486, a tre giorni
di distanza dalla somministrazione
della prima pillola. Il mifepristone,
cioè il principio attivo della pillola
abortiva, da solo non è affatto competitivo
con i metodi tradizionali, perché
in un’alta percentuale di casi fallisce.
Il suo compito è quello di bloccare lo
sviluppo dell’embrione e di favorirne
il distacco, ma per completare l’aborto
è necessario usare proprio le prostaglandine:
sono queste che inducono
le contrazioni e l’espulsione dell’embrione.
Abortire con la Ru486 significa
abortire a domicilio con le prostaglandine,
così come ha fatto quella
sfortunata donna romena, e l’aborto
farmacologico che si reclama a gran
voce perché sarebbe “meno invasivo”
è l’aborto con le prostaglandine. Dovrebbero
saperlo coloro che vedono
nel ricovero fino al completamento
dell’aborto (prescritto dalla 194)
un’imposizione vessatoria e non uno
strumento indispensabile di tutela.

Il Foglio 3 dic. 2009