I l ministro delle Miniere del Sud Kivu, la signora Colette Mikila Embenako, sarebbe potenzialmente una delle donne e dei politici più potenti di questa regione ricchissima di materie prime: oro, wolframite, cassiterite e, soprattutto, coltan, minerale strategico nell’industria delle telecomunicazioni e militare, di cui la Repubblica Democratica del Congo possiede l’80 per cento delle riserve mondiali. Peccato che questa stessa regione ( Nord e Sud Kivu) sia oggi una delle più martoriate e devastate dell’Africa. Proprio a causa dei suoi minerali.
Da anni il Kivu subisce un saccheggio sistematico delle sue risorse. Che rappresentano oggi la principale causa della guerra e del caos che destabilizzano la regione e che continuano a provocare migliaia di morti. Cifre attendibili parlano di 5,4 milioni di persone che hanno perso la vita per cause dirette o indirette legate alla guerra; quasi due milioni di sfollati, oltre 50mila donne violentate, 7 bambini su dieci che vivono in condizioni di povertà estrema.
Il ministro Mikila Embenako guarda i dati delle esportazioni e scuote la testa. Sa benissimo anche lei che lì dentro vi sono le risposte a tante domande che interpellano i politici locali, i potenti vicini (Ruanda in primis) e la comunità internazionale; ovvero le multinazionali che (indirettamente) fruttano questi minerali, i governi occidentali che favoriscono la politica del caos in questo angolo di Africa, oltre alle Nazioni Unite, le quali solo ora, dopo dieci anni, ammettono che la loro missione (la Monuc) è stata un fallimento. Non ha portato pace e non ha nemmeno migliorato di molto la catastrofica situazione umanitaria.
Nell’ufficio diroccato di quello che dovrebbe essere il più potente dei ministeri, la signora Mikila Embenako fa scorrere i dati dell’export di minerali nei primi sei mesi del 2009. Ci sono qua e là dei cali, che la ministra giustifica « con il perdurare dell’instabilità a causa dell’operazione militare Kimya II » . Ma ci sono anche diversi ' buchi', che corrispondono a una totale mancanza di esportazioni in certi mesi. Come si spiega? « Con la frode e il contrabbando! » , reagisce prontamente il ministro. La maggior parte delle ricchezze del Kivu escono illegalmente dal Paese, soprattutto verso Ruanda e Burundi, che poi rivendono ai compratori internazionali. Che magari promuovono campagne di boicottaggio contro i ' minerali insanguinati' del Congo, ma poi si approvvigionano dai Paesi limitrofi. Un esempio per tutti è il contrabbando di oro. Per stessa ammissione di un rappre- sentante governativo, nel 2008 sono stati estratti circa 5.000 chili del prezioso metallo, venduti quasi tutti sottobanco; solo 123 chili sono stati esportati regolarmente.
Il proprietario di uno dei 17 banchi di vendita ufficiali di Bukavu, che chiede l’anonimato per ragioni di sicurezza, spiega il paradosso di un sistema di totale opacità e impunità, che pure è sotto gli occhi di tutti. « Anche la Cina – denuncia – dopo Europa e Stati Uniti si è allineata alla politica di boicottaggio formale dei minerali congolesi. Peccato che, come tutti gli altri, li compri poi indirettamente. Nel suo caso, dalla Thailandia. È una grande ipocrisia, che arricchisce molti fuori di qui, mentre chi ci perde è sempre la popolazione congolese » .
« Le ricchezze minerarie del nostro Paese – afferma monsignor Melchisedec Sikuli Paluku, arcivescovo di Butembo, e voce coraggiosa della Chiesa e della società civile congolese – sono una delle ragioni di questo conflitto senza fine, in cui gli stessi congolesi si combattano gli uni contro gli altri, fratelli contro fratelli. Spesso per interessi che stanno fuori dal nostro Paese. È una situazione di violenza, ingiustizia, sfruttamento che non possiamo più tollerare. Resta la speranza che il male non avrà l’ultima parola » .
Sta di fatto che oggi il Kivu è un buco nero di violenza, sfruttamento, traffici e giochi di potere. Al punto che a volte è difficile capire chi combatte contro chi. Anche perché in questa regione si intrecciano tre diversi tipi di conflitto: una guerra tra Stati, che chiama in causa innanzitutto il Ruanda; una guerra intercongolese, tra centro e periferia; e un conflitto di movimenti ribelli e di signori della guerra, che impongono la loro legge a livello locale e si contendono l’accesso alle miniere. Chi ne paga le conseguenze più gravi è la popolazione civile, che continua a morire e a subire violenze, saccheggi, stupri di massa.
La condizione di questa gente appare nella sua tragica evidenza lungo un sentiero sulle alte montagne nella zona di Walungu, a sud- ovest di Bukavu. Alcune famiglie stanno fuggendo dai combattimenti in corso verso Tubimdi e Burinyi. Portano con sé poche cose, caricate sulla testa, alcune mucche al seguito e qualche gallina sulle spalle dei bambini. Sono congolesi e scappano dall’esercito congolese, ma anche dalle rappresaglie dei ribelli e dalla brutalità dei militari ruandesi. Sono estremamente dignitosi e composti nella loro dolorosa rassegnazione. Fuggono e basta. Dove, non lo sanno ancora. Vanno a ingrossare la marea disperata di congolesi sfollati nella loro stessa terra.
La zona orientale del Congo è una delle più ricche del mondo per risorse naturali, ma gli appetiti delle nazioni confinanti e delle milizie locali l’hanno trasformata in campo di battaglia permanente.
DA SAPERE
QUINDICI ANNI DI COMBATTIMENTI INFINITI INUTILE PERFINO LA PRESENZA DEI CASCHI BLU
Sono ormai quindici anni che la regione del Kivu (Nord e Sud), nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, conosce una situazione di caos, guerra e violenza. Nel 1994, in seguito al genocidio del Ruanda, più di un milione di profughi hutu si riversano qui, destabilizzando la regione.
Due anni dopo, nel 1996 è sempre da qui che comincia la ribellione che porterà al potere Laurent-Désiré Kabila. Viene definita la prima guerra panafricana, che coinvolge 7 eserciti stranieri, gruppi ribelli, e migliaia di caschi blu Onu. Diverse milizie continuano oggi ad agire indisturbate, sostenute da Paesi confinanti, interessati a mantenere il caos, per meglio sfruttare le risorse minerarie. Né il governo centrale né la missione Onu riescono a riprendere il controllo. Nell’agosto 2008, una nuova escalation con protagonista il Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) di Laurent Nkunda, spalleggiato dal Ruanda. La sua cattura nel febbraio 2009 e l’accordo tra Kinshasa e Kigali, firmato a Goma in marzo, mettono provvisoriamente fine a quest’ondata di violenze che ha provocato 1 milione 800mila sfollati.
( A.Poz.)
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