del New York Times David Brooks. I suoi discorsi sono teologici perché
“affrontano il cuore della lotta della natura umana, tra il bene e il male
Barack Obama non è né bushiano né
nixoniano, non è né integralmente
idealista né perfettamente realista. Il quarantaquattresimo
presidente degli Stati
Uniti ha una sua specificità politica e filosofica,
anche generazionale, che sfugge alle
categorie del recente passato, ma che
ha radici ben salde nella tradizione politica
americana. “E’ un realista cristiano”,
ha scritto l’editorialista del New York Times
David Brooks, fine osservatore della
società e della politica del suo paese. Il
suo pensatore di riferimento, ha detto
Obama a Brooks due anni fa, è il teologo
protestante Reinhold Niebuhr, studioso
della relazione tra politica e fede cristiana,
teorico moderno del concetto di guerra
giusta (“ci serviamo sempre del male
per prevenire un male più grande”) e ispiratore
di Martin Luther King.
La politica estera di Obama, ha scritto
Brooks, non è guidata dalla cultura antagonista
del Sessantotto e non è influenzata
dalla tragedia del Vietnam. Obama si
ispira a quel liberalismo della Guerra
fredda che nell’ultimo quarantennio la sinistra
americana ha scelto di trascurare.
Dopo il Vietnam, a sinistra è diventato
sconveniente parlare di “evil”, del “male”.
I liberal hanno cominciato a “credere nell’intrinseca
bontà dell’uomo e nelle infinite
possibilità della trattativa. Alcuni hanno
pensato che la causa delle guerre fossero
i programmi militari e si sono impegnati
a ridurre le armi. Altri hanno costruito
la loro politica estera in opposizione
a qualsiasi cosa facesse Bush. Se Bush
era un idealista impegnato nella ricostruzione
delle nazioni, loro diventavano realisti
nixoniani”.
Barack Obama non è così. Anche per la
sua esperienza personale di intellettuale
di colore, secondo Brooks, riconosce l’esistenza
del male, “conosce fin da giovane il
cristianesimo profetico, la tendenza umana
verso la corruzione, la tragica sensibilità
di Abramo Lincoln e il pessimismo
guardingo di Niebuhr”. Obama ha detto a
Brooks che dal teologo cristiano ha tratto
l’idea che nel mondo “esistono il male, gli
stenti e il dolore”, ma anche la consapevolezza
che “dobbiamo essere composti e
umili nel pensare che possiamo eliminare
queste cose, senza però usarle come scusa
per giustificare cinismo e inattività”.
Con questo bagaglio filosofico sulle
spalle, Obama ha ridato vita a quel realismo
cristiano che ai tempi della Guerra
fredda aveva fornito supporto morale al
pensiero liberal e di sinistra e che, paradossalmente,
negli anni di Reagan e Bush
è stato mantenuto vivo dal movimento neoconservatore.
Il discorso sull’Afghanistan
a West Point di due settimane fa, ma soprattutto
quello pronunciato alla premiazione
del Nobel per la pace a Oslo mercoledì
scorso, secondo Brooks segnalano in
modo plastico la particolarità del pensiero
di Obama, quella di un politico intento
a trovare una soluzione al paradosso della
guerra, ritenuta giustamente una follia ma
anche necessaria. Quando nel 2002, Obama
ha fatto un discorso contro la guerra in
Iraq, ha parlato da “cold war liberal”. Non
ha criticato la guerra in sé, ma soltanto
quella che considerava “stupida” e per
questo allora è stato fischiato. “Altri esponenti
del Partito democratico sanno essere
inflessibili in modo laico – ha scritto
Brooks – I discorsi di Obama invece sono
ampiamente teologici”, perché affrontano
il cuore della lotta della natura umana,
quella tra il bene e il male.
La dottrina Obama, secondo Brooks, ormai
è chiara, malgrado qualche passo falso
iniziale, quando ha valutato male la
portata delle proteste di piazza di Teheran.
L’America di Obama vuole mantenere
il ruolo storico di strumento per la diffusione
della democrazia, della ricchezza
e della salvaguardia dei diritti umani, ma
ha anche un interesse strategico a non allontanarsi
da certe regole di condotta.
Obama sente il dovere morale di promuovere
la libertà, ma come diceva Niebuhr
“sorvegliando i nostri eccessi”, in modo
umile, senza essere travolti dal fervore,
dai toni eccitati e grandiosi.
Il Foglio 16 dic 2009
TRA BELLEZZA E ANTICRISTO
Un genio russo contro Marx
C'è stato un genio del pensiero, che ebbe anche una grande vita. Poeta, scrittore, filosofo, critico letterario, Vladimir Sergeevic Solov'ev è una delle menti più grandi della Russia. Poco considerato in Italia, Giovanni Paolo II lo ha citato nella fondamentale enciclica "Fides et ratio"…
C'è stato un genio del pensiero, che ebbe anche una grande vita. Un russo, e dunque orientale, ma anche capace di amare Petrarca e l'Occidente. A Mosca e a San Pietroburgo viene ristudiato, guardato come il gigante che è. Pensano: se invece di aver seguito l'ideologia di Lenin avessimo ascoltato la sua profezia... Da noi? Il lavoro è lungo. Difficile toglierlo dalla nebbia. Da questa caligine infame che impedisce anche solo di accostarsi ad un pensiero su cui potrebbe addirittura ripartire l'idea stessa di pace, di convivenza sociale, di bellezza. Non ne ho ancora pronunciato il nome, ma tanto so che dice poco. Vladimir Sergeevic Solov'ev (18531900). Io lo pronuncio "Soloviòff" alla francese, ma forse mi sbaglio. Tanto, chi ne ha mai udito il nome alla radio o in tivù. Una volta c'è stata un'intervista al più grande studioso di questo filosofo-teologo-poeta, e cioè Adriano Dell'Asta. Questo professore, solitario o quasi, sta traducendo l'opera intera di Solov'ev per la "Casa di Matriona" di Russia Cristiana (www.russiacristiana.org). Presso Edilibri (13 Euro, 124 pagine) è uscito da poco "Sulla bellezza nella natura, nell'arte, nell'uomo". Chi ne ha parlato?
L'IDEA CENTRALE DELL'OPERA
Il problema della nostra cultura è questo: anche chi non vuole restare prigioniero dell'egemonia marxista, e ci lotta contro, però accetta l'agenda della sinistra o pseudo tale. Per cui diventa un dovere scrivere su Marx e i marxisti, pro o contro, ma sempre dentro questa attrazione fatale. Marx o comunque quelli intorno a lui. Ecco. Prescindiamone. Cominciamo oggi a scrivere di alcuni filosofi che non hanno nulla a che fare con il Karl di Treviri o con la sua discendenza. Lo conoscevano, ma non pareva loro abbastanza interessante da confutarlo. Alcuni hanno sperimento più che il marxismo, la sua traduzione in Gulag o in minacce fisiche. Nomi? Berdjaev, Florenskij, Bulgakov, Newman, Rosmini, Eliot, Grossman, Solzenicyn, Guareschi, Bacchelli, Chesterton, Spirito, Eliade, Merton, Pound, Del Noce, Balthasar, Giussani... Qualcuno si scandalizzerà della lista. Amen. Altri nomi suggeriteli voi... Solov'ev è unanimemente riconosciuto come il massimo filosofo russo di sempre. Qual è la sua idea centrale? Io la traduco da ignorante così: la possibilità di sperimentare oggi, adesso, la «divino-umanità», la «uni-totalità». Insomma: ciascun io può attingere la verità e la bellezza. L'Essere non è un'idea. L'Essere non è materia. L'Essere è il permanere nell'effimero dell'eterno. E questo è reso possibile dall'Avvenimento dell'Incarnazione di Dio. Non sentite odore di sacrestia per favore. La questione dell'Incarnazione di Dio aveva affaticato i concetti di Hegel, che toglie ogni peso alla materia. Al contrario i materialisti e i positivisti, ma anche gli empiristi americani, hanno rinunciato al primato e alla indefettibilità di qualcosa che precede la materia e la partecipa di sé. In Solov'ev, Dio permette la differenza, perché in se stesso è tale: unione di differenze (non di diversità). Ma qui il discorso si farebbe troppo complicato. Resta però vera per lui l'affermazione del suo amico Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo». L'arte è il luogo dove questo accade. Essa è fusione di principio spirituale e di fenomeno materiale. Ho scritto fusione ma sarei corretto da Dell'Asta (e Solov'ev): è «compenetrazione reciproca». La bellezza sulla scena di questo mondo non è l'incarnazione momentanea dell'eterna idea, che poi procede oltre (Hegel). No: si regalano reciprocamente immortalità. Ecco: l'istante che stiamo vivendo, contemplando un bel volto (Solov'ev va oltre l'arte nella considerazione del bello) o un quadro o un gesto magnifico, o l'azzurrità nascosta in un dovere quotidiano, sono esperienza della «divino-umanità», l'eterno e il tempo si regalano reciprocamente immortalità.
SULLA SCORTA DI SAN TOMMASO
Insomma: il finito in cui a volte ci pare di soffocare ha un punto di fuga nell'infinito. E questo è possibile perché c'è stato e c'è Cristo. E il cristianesimo è Cristo stesso, non un ammasso di idee. Mi scuso di aver ridotto a poltiglia un pensatore immenso. Ha influenzato in modo decisivo il simbolismo, ma anche Pasternak. Intanto provvedo subito a certificarne la grandezza con un timbro d'autore. Hans Urs von Balthasar, che è stato maestro di Wojtyla e Ratzinger, ed è considerato «l'uomo più colto» del '900, scrisse di questo russo: «Accanto a Tommaso d'Aquino, è il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero», la sua è «la più universale creazione speculativa dell'epoca moderna». Mi appoggio, oltre che alle mie modeste letture, alla sintesi che di lui ci offrono Dell'Asta nella sua brillante introduzione, Balthasar e Giacomo Biffi. Il cardinale di Bologna dedica a Solov'ev un corposo saggio in "Pinocchio, Peppone e l'Anticristo" (Cantagalli, 256 pagine, euro 14,90). L'Anticristo si riferisce al titolo dell'ultima opera del russo, la più famosa e citata spesso a sproposito. "Il racconto dell'Anticristo" è profetico. Il pensiero laico-massonico a fine Ottocento era giunto a questa previsione certa sul Novecento. Victor Hugo: «Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice», come s'è visto. Solov'ev, che passava per un matto troppo religioso, aveva intuito che ci sarebbero state grandi guerre devastatrice, orrori immani. Poi sarebbero subentrati gli Stati Uniti d'Europa. Bello? Mica tanto. Scrive Solov'ev, profetico come Cassandra: «Ma… i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell'uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l'addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico».
LA SUA PROFEZIA SUL MATERIALISMO
È andata proprio così. La famosa fine delle ideologie. Ma che cosa accade? Non torna la fede, bensì l'incredulità, il relativismo. «La dittatura del relativismo» di cui parla Ratzinger. Il vuoto non può durare però. Solov'ev non teme tanto l'invasione islamica - uno è genio e profeta ma qualcosa sfugge sempre quanto un pericolo verificabile. L'avvento di un impero spiritualista. Prima gli Stati uniti d'Europa, quindi la presidenza di un impero mondiale dove a dominare è il pensiero umanista. Proprio così, per Solov'ev il pericolo sarebbe stato questo: la sparizione della drammaticità della scelta tra Dio e la sua negazione. Tutto diventa uguale. L'Anticristo è per lui un «convinto spiritualista». Un filantropo ascetico e generoso.
«L'ANTICRISTO SARÀ VEGETARIANO»
«Dava altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza». Stimava Cristo, lo aveva studiato benissimo, il Signor Anticristo. Non sopportava però la sua unicità, il fatto che fosse risorto. Ripete: «È marcito, è marcito nel sepolcro». L'Anticristo sarà pacifista, probabilmente indossando un saio arcobaleno (questa è una mia aggiunta). Si professa superiore per questo a Cristo: «Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace». In realtà, dice Solov'ev, c'è «la pace buona, la pace cristiana, basata sulla... separazione tra il bene e il male, la verità e la menzogna; e la pace cattiva, la pace del mondo, fondata sulla mescolanza o unione esteriore di ciò che è interiormente in guerra con se stesso». Il pacifismo in realtà lascia che vinca la vera orribile guerra che distrugge la drammaticità che è l'essere uomini. Tutto diventa uguale. È scrive Biffi - «la resa sociale alla prevaricazione, un abbandono dei piccoli alla mercé dei prepotenti». Oltre che pacifista, l'Anticristo sarà animalista, «personalmente vegetariano». Soprattutto ecumenico. Capace di dialogo con tutti, «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». La speranza però è che un gruppo di ortodossi, protestanti e cattolici resistano. L'Anticristo vuole offrire loro istituti biblici, possibilità di predicazione di valori, eccetera. Ma loro sono scontenti. E alla domanda che cosa ci sia di più prezioso nel cristianesimo, a nome di questo piccolo gregge, l'ortodosso risponde: «Cristo stesso». Insomma il cristianesimo come fatto accaduto, non come una grande idea.
Solov'ev aveva doti intellettuali strabilianti ed ebbe una vita avventurosa. A nove anni ebbe una visione della "Sofia", la Sapienza divina (ne ebbe altre due nel corso degli anni). Divenne poi ferocemente ateo, durante l'adolescenza e la prima giovinezza lesse tutta la filosofia occidentale (tutta!) e nelle lingue originali: greco, latino, tedesco, italiano, francese, inglese. Passò dal materialismo al kantismo, infine a Schopenhauer, che lo getta in un pessimismo totale. Per dirla con Novalis comprese che «la filosofia è nostalgia, il desiderio di trovarsi dappertutto come a casa propria». Ma questa casa non c'è. Si innamorava continuamente e perdutamente. Aveva 19 anni quando si stava recando in treno da Mosca a Charkov, per l'appuntamento con una cugina in cui vedeva un po' la «donna», come Leopardi, la Bellezza, in fondo la prefigurazione di Dio, ma sapeva che non era Dio. Attraversando spericolatamente il passaggio da un vagone all'altro, svenne. Fu salvato da una ragazza che si sporse e lo afferrò. Rinviene e vede in quel volto trasfigurato dall'amore per lui che pure non conosceva, il segno che Schopenhauer aveva torto, in quel volto c'era qualcosa che nessuna filosofia poteva rinchiudere. Ritrova la fede. Aveva un temperamento che lo rendeva propenso a gesti di sacrificio estremo. Studiava i problemi sociali, aveva soluzioni interessantissime (qui non si può scrivere tutto). Di certo praticava la sua filosofia. Se vedeva un povero, in pieno inverno, lui gli cedeva le scarpe e il cappotto. E dire che lui stesso aveva scarsi mezzi. Incontrava di giorno moltissime persone, al servizio dell'unificazione del genere umano e della pace tra i popoli. Di notte studiava e scriveva. Si batté contro la pena di morte, in un tempo in cui per questo si veniva messi al bando in Russia dallo zar. Ma nel contempo si opponeva ad ateismo e nichilismo, per cui era espulso anche dai circoli anti-zaristi. Divenne amico di Dostoevskij, Tolstoj andava alle sue conferenze. Scrisse le sue opere decisive e non aveva che 25 anni ("Principi filosofici del sapere integrale", "Lezioni sulla Divino-umanità").
INNAMORATO INFELICE TRA SOFIA E SAIMA
Si innamorò ancora e definitivamente di una ragazza, che si chiamava Sofia, ma fu una storia che si concluse male. A lei dedicò scritti potentissimi sul "Significato dell'amore" (molto della sua idea erotica sul rapporto uomo-donna è trasfusa nelle riflessioni di Wojtyla, Scola e il Ratzinger dell'enciclica "Deus caritas est"). Ebbe visioni demoniache. Riconobbe la realtà della magia che non ha nulla a che fare con i «ciarlatan» che se ne sono appropriati. Si nutre quasi soltanto di tè e di legumi. Restava incantato per la bellezza del cosmo, delle persone, dell'arte. Della natura. Fino all'equivoco. Scrisse versi per "Saima", e ciò diffuse la diceria di una sua passione per una ragazza finlandese. Invece si era innamorato, letteralmente innamorato, di un lago in cui vedeva il segno fisico di Dio.
I TRE CAPISALDI DELLA CONVIVENZA
I viaggi lo spossano, ma deve farli per imparare, elabora la sua filosofia morale, traduce Platone e Petrarca in russo, è debole, sempre più debole. Riceve l'eucarestia da un sacerdote cattolico. Ed infine da un prete ortodosso. Sente l'alito della «pallida morte». Chiede che gli venga impedito di addormentarsi per non cessare di pregare. Muore il 31 luglio del 1900, a 47 anni. Per finire propongo i princìpi della grande costruzione morale di Solov'ev. Secondo lui ci sono tre postulati etici ricavabili dalla nostra esperienza originaria. Ciascun uomo leale con se stesso può scoprirli in sé. Su questa base è possibile convivere, pacificamente, salvo la nostra capacità di sbagliare, ma poi di riprenderci. Sono il pudore, la pietà verso gli altri, il sentimento religioso. Li scrive in francese: la pudeur, la pitié, la piété. Non sono esattamente questi tre punti i più trascurati di tutti, addirittura resi ridicoli? La licenziosità, la crudeltà, la miscredenza persino ammantata di spiritualismo hanno dominato finora il ventesimo secolo. Il ventunesimo secolo non pare meglio avviato...
OPERE Leggere Solov'ev in Italia non è semplice. Marietti ha pubblicato "I racconti dell'Anticristo". L'associazione "Russia cristiana", con l'attività del prof. Adriano Dell'Asta, sta curando l'opera del filosofo (edizioni La casa)
LA VITA Vladimir Sergeevic Solov'ev nasce a Mosca il 16 gennaio 1853. Poeta, scrittore, filosofo, critico letterario, è una delle menti più grandi della Russia. Poco considerato in Italia, Giovanni Paolo II lo ha citato nella fondamentale enciclica "Fides et ratio" (1997), assieme a un altro russo, Pavel Florenskij di Matriona. Di recente è uscito per Edilibri "Sulla bellezza", curato e tradotto dallo stesso Dell'Asta
di Dreyfus
LIBERO 14 gennaio 2007
Vladimir Sergeevic Solovev: un profeta inascoltato
Vladimir Sergeevic Solovev è morto cento anni fa, il 31 luglio (13 agosto, secondo il nostro calendario gregoriano) dell’anno 1900.
È morto sul limitare del secolo XX: un secolo del quale egli, con singolare acutezza, aveva preannunciato le vicissitudini e i guai; un secolo che avrebbe però tragicamente contraddetto nei fatti e nelle ideologie dominanti i suoi più rilevanti e più originali insegnamenti. È stato dunque, il suo, un magistero profetico e al tempo stesso un magistero largamente inascoltato.
Un magistero profetico
Al tempo del grande filosofo russo, la mentalità più diffusa - nell’ottimismo spensierato della "belle époque" - prevedeva per l’umanità del secolo che stava per cominciare un avvenire sereno: sotto la guida e l’ispirazione della nuova religione del progresso e della solidarietà senza motivazioni trascendenti, i popoli avrebbero conosciuto un’epoca di prosperità, di pace, di giustizia, di sicurezza. Nel ballo Excelsior - una coreografia che negli ultimi anni del secolo XIX aveva avuto uno straordinario successo (e avrebbe poi dato il nome a una serie innumerevoli di teatri, di alberghi, di cinema) - questa nuova religione aveva trovato quasi una sua liturgia. Victor Hugo aveva profetizzato:
"Questo secolo è stato grande, il prossimo secolo sarà felice".
Solovev invece non si lascia incantare da quel candore laicistico e anzi preannunzia con preveggente lucidità tutti i malanni che poi si sono avverati.
Già nel 1882, nel Secondo discorso sopra Dostoevskij, egli parrebbe aver presagito e anticipatamente condannato l’insipienza e l’atrocità del collettivismo tirannico, che qualche decennio dopo avrebbe afflitto la Russia e l’umanità:
"Il mondo - afferma - non deve essere salvato col ricorso alla forza … Ci si può figurare che gli uomini collaborino insieme a qualche grande compito, e che a esso riferiscano e sottomettano tutte le loro attività particolari; ma se questo compito è loro imposto, se esso rappresenta per loro qualcosa di fatale e di incombente, … allora, anche se tale unità abbracciasse tutta l’umanità, non sarà stata raggiunta l’umanità universale, ma si avrà solo un enorme ‘formicaio’" (Edizione ‘La Casa di Matriona’, pp. 65-66); quel ‘formicaio’ che in effetti sarebbe stato poi attuato dall’ideologia ottusa e impietosa di Lenin e di Stalin.
Nell’ultima pubblicazione - I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900 - è impressionante rilevare la chiarezza con cui Solovev prevede che il secolo XX sarà "l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni" (Edizione Marietti p. 184). Dopo di che - egli dice - tutto sarà pronto perché perda di significato "la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle antiche istituzioni monarchiche" (p. 188). Si arriverà così alla "Unione degli Stati Uniti d’Europa" (p. 195).
Soprattutto è stupefacente la perspicacia con cui descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento.
Egli la raffigura nella icona dell’Anticristo, personaggio affascinante che riuscirà a influenzare e a condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema, quasi l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli - dice Solovev - sarà un "convinto spiritualista", un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo.
Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea "honoris causa" della facoltà di Tubinga.
Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare "con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza" (p. 211).
Nei confronti di Cristo non avrà "un’ostilità di principio" (p. 190); anzi ne apprezzerà l’altissimo insegnamento. Ma non potrà sopportarne - e perciò la censurerà - la sua assoluta "unicità" (p. 190); e dunque non si rassegnerà ad ammettere e a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.
Si delinea qui, come si vede, e viene criticato, un cristianesimo dei "valori", delle "aperture" e del "dialogo", dove pare che resti poco posto alla persona del Figlio di Dio crocifisso per noi e risorto, e all’evento salvifico.
Abbiamo di che riflettere. La militanza di fede ridotta ad azione umanitaria e genericamente culturale; il messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; la Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di promozione sociale: siamo sicuri che Solovev non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto, e che non sia proprio questa oggi l’insidia più pericolosa per la "nazione santa" redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo inquietante e non dovrebbe essere eluso.
Un magistero inascoltato
Solovev ha capito come nessun altro il secolo ventesimo, ma il secolo ventesimo non ha capito lui.
Non è che gli siano mancati i riconoscimenti. La qualifica di massimo filosofo russo non gli viene di solito contestata. Von Balthasar ritiene il suo pensiero "la più universale creazione speculativa dell’epoca moderna" (Gloria III, p. 263) e arriva perfino a collocarlo sullo stesso piano di Tommaso d’Aquino.
Ma è innegabile che il secolo ventesimo, nel suo complesso, non gli ha prestato alcuna attenzione e anzi si è puntigliosamente mosso in senso opposto a quello da lui indicato.
Sono lontanissimi dalla visione solovievana della realtà gli atteggiamenti mentali oggi prevalenti, anche in molti cristiani ecclesialmente impegnati e acculturati. Tra gli altri, tanto per esemplificare:
- l’individualismo egoistico, che sta sempre più segnando di sé l’evoluzione del nostro costume e delle nostre leggi;
- il soggettivismo morale, che induce a ritenere che sia lecito e perfino lodevole assumere in campo legislativo e politico posizioni differenziati dalla norma di comportamento alla quale personalmente ci si attiene;
- il pacifismo e la non-violenza, di matrice tolstoiana, confusi con gli ideali evangelici di pace e di fraternità, così che poi si finisce coll’arrendersi alla prepotenza e si lasciano senza difesa i deboli e gli onesti;
- l’estrinsecismo teologico che, per timore di essere tacciato di integrismo, dimentica l’unità del piano di Dio, rinuncia a irradiare la verità divina in tutti i campi, abdica a ogni impegno di coerenza cristiana.
In special modo il secolo ventesimo - nei suoi percorsi e nei suoi esiti sociali, politici, culturali - ha contraddetto clamorosamente la grande costruzione morale di Solovev.
Egli aveva individuato i postulati etici fondamentali in una triplice primordiale esperienza, nativamente presente in ogni uomo: vale a dire nel pudore, nella pietà verso gli altri, nel sentimento religioso.
Ebbene, il Novecento - dopo una rivoluzione sessuale egoistica e senza saggezza - è approdato a traguardi di permissivismo, di ostentata volgarità e di pubblica spudoratezza, che sembra non aver paragoni adeguati nella vicenda umana.
È stato poi il secolo più oppressivo e più insanguinato della storia, privo di rispetto per la vita umana e privo di misericordia. Non possiamo certo dimenticare l’orrore dello sterminio degli ebrei, che non sarà mai esecrato abbastanza. Ma sarà bene ricordare che non è stato il solo: nessuno ricorda il genocidio degli Armeni a cavallo della prima guerra mondiale; nessuno commemora le decine e decine di milioni uccisi sotto il regime sovietico; nessuno si avventura a fare il conto delle vittime sacrificate inutilmente nelle varie parti del mondo all’utopia comunista.
Quanto al sentimento religioso, durante il secolo ventesimo in oriente è stato per la prima volta proposto e imposto su una vasta parte di umanità l’ateismo di stato, mentre nell’occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario, fino ad arrivare all’idea grottesca della "morte di Dio".
In conclusione, Solovev è stato indubbiamente un profeta e un maestro; ma un maestro, per così dire, inattuale. Ed è questa, paradossalmente la ragione della sua grandezza e della sua preziosità per il nostro tempo.
Verranno giorni, e anzi sono già venuti...
di Giacomo Biffi
L’Anticristo era – dice Solovev – “un convinto spiritualista”. Credeva nel bene e perfino in Dio. Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava “altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza”.
Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da partre dell’università di Tubinga.
Ma il libro che gli aveva procurato fama e consenso universali porta il titolo: “La via aperta verso la pace e la prosperità universale”, dove “si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con un’ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di principi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche”.
È vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: “Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?”. D’altronde egli “non aveva per Cristo un’ostilità di principio”. Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l’altissimo insegnamento.
Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili.
Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. “Il Cristo – affermava – col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi”.
Poi non gli andava “la sua assoluta unicità”. Egli è uno dei tanti; o meglio – diceva – è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo d’oggi.
Infine, e soprattutto, non poteva sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente ripeteva: “Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro...”.
Ma dove l’esposizione di Solovev si dimostra particolarmente originale e sorprendente – e merita la più approfondita riflessione – è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista. [...]
In questa descrizione dell’Anticristo Solovev ha avuto presente qualche bersaglio concreto? È innegabile che alluda soprattutto al “nuovo cristianesimo” di cui in quegli anni si faceva efficace banditore Lev Tolstoj. [...]
Nel suo “Vangelo” Tolstoj riduce tutto il cristianesimo alle cinque regole di comportamento che egli desume dal Discorso della Montagna:
1. Non solo non devi uccidere, ma non devi neanche adirarti contro il tuo fratello.
2. Non devi cedere alla sensualità, al punto che non devi desiderare neanche la tua propria moglie.
3. Non devi mai vincolarti con giuramento.
4. Non devi resistere al male, ma devi applicare fino in fondo e in ogni caso il principio della non-violenza.
5. Ama, aiuta, servi il tuo nemico.
Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono bensì da Cristo, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell’esistenza attuale del Figlio del Dio vivente. [...]
Certo Solovev non identifica materialmente il grande romanziere con la figura dell’Anticristo. Ma ha intuito con straordinaria chiaroveggenza che proprio il tolstojsmo sarebbe diventato lungo il secolo XX il veicolo dello svuotamento sostanziale del messaggio evangelico, sotto la formale esaltazione di un’etica e di un amore per l’umanità che si presentano come “valori” cristiani. [...]
Verranno giorni, ci dice Solovev – e anzi sono già venuti, diciamo noi – quando nella cristianità si tenderà a dissolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non nell’atto difficile, coraggioso, concreto e razionale della fede, in una serie di “valori” facilmente smerciabili sui mercati mondani.
Da questo pericolo – ci avvisa il più grande dei filosofi russi – noi dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo tolstojano ci rendesse infinitamente più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, il cristianesimo che ha al suo centro lo scandalo della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico salvatore dell’uomo, non è traducibile in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una “pietra”, come egli ha detto di sé. Su questa “pietra” o si costruisce (affidandosi) o ci si va a inzuccare (contrapponendosi): “Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà” (Mt 21, 44). [...]
È stato dunque, quello di Solovev, un magistero profetico e al tempo stesso un magistero largamente inascoltato. Noi però vogliamo riproporlo, nella speranza che la cristianità finalmente si senta interpellata e vi presti un po’ di attenzione.