DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La tentazione di Ario nella predicazione

Può capitare di tutto partecipando alla Messa del Santo Natale.
Persino di dover ascoltare un’omelia impregnata di una delle più antiche ed insidiose eresie cristiane: quella ariana.
Mi è personalmente accaduto durante la partecipazione alla Messa natalizia in una chiesa francescana.
Il Padre celebrante, persona di una certa età, è riuscito a far rivivere la vecchia tentazione di Ario tra lo sbigottimento di pochi e l’assoluta indifferenza dei più.
E’ uscita, infatti, dalla bocca di quel frate l’immagine di Cristo «emissario di Dio» mandato sulla terra per «raccontare» chi fosse il Padre Eterno. Un uomo inviato per mostrare agli uomini, «come fa un pittore», l’immagine di Dio. E così, per il reverendo Padre, «ogni volta che Gesù compiva miracoli, mostrava come Dio li compie nella nostra vita», e «ogni volta che Gesù amava, perdonava o piangeva, indicava, in realtà, agli uomini come ama, perdona o piange Colui che lo aveva mandato». Con simili ragionamenti è continuato il sermone fino all’apoteosi conclusiva: «Dio attraverso il Suo emissario non è venuto a sconfiggere la sofferenza e la morte ma a condividere pienamente l’esperienza umana».
Purtroppo non si tratta di frasi estrapolate dal contesto. La predica trasudava arianesimo ad ogni parola.
Per l’antico monaco libico del IV secolo, infatti, Gesù Cristo era una sorta di semidio, non identificabile con Dio stesso. Una semplice «creatura umana in cui Dio si è manifestato», per dirla con le parole del summenzionato Padre francescano.
Questa eresia colpisce davvero al cuore l’essenza stessa del cristianesimo. Ed è tutt’altro che debellata.
Un uomo che ha insistito e continua ad insistere strenuamente nel denunciare il rischio di un moderno arianesimo è Papa Benedetto XVI. Lo ha fatto, ad esempio, all’Udienza Generale del 20 giugno 2007 ricordando la figura di Sant’Atanasio come «il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura “media” tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi». E una settimana dopo ha ribadito che la «negazione della vera divinità di Gesù», cioè il cuore dell’eresia ariana, «è ancora oggi una tentazione per i cristiani», al punto da rendere necessaria una «catechesi integrale».
Anche prima di salire al Soglio Pontificio, Benedetto XVI non ha mai smesso di denunciare il pericolo della tentazione ariana tra i cristiani d’oggi. Ricordo il famoso “dossier Tamayo”. Il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, non esitò, infatti, a condannare il libro intitolato “Dios y Jesús” del teologo spagnolo Juan José Tamayo (collaboratore, guarda caso, del quotidiano El País) accusato proprio di arianesimo a causa della sua teoria negazionista della divinità di Cristo.
Anche il Segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone, in un’intervista concessa al quotidiano cileno El Mercurio, non ha usato mezzi termini per denunciare i pericoli della «tentazione ariana».
Bertone, in quell’intervista, ha riconosciuto, infatti, che «uno dei problemi principali del nostro tempo è il problema della cristologia», proprio per l’errore che si corre nel considerare Cristo solo come «un grand’uomo». Il porporato ha anche rilevato che sintomi dell’eresia ariana si sono rinvenuti, ad esempio, nel sostegno ricevuto da “Il Codice da Vinci” di Dan Brown, nonostante la sua trama si basi su «invenzioni romanzate assolutamente vergognose».
Ciò che preoccupa davvero Bertone, però, è il rischio di quell’eresia «nell’elaborazione di una certa teologia che arriva a mettere in discussione la divinità e l’unicità salvifica di Cristo, unico Salvatore». «Questa riduzione cristologia» secondo il cardinale «tradisce la fede della Chiesa nascente e dei grandi concili cristologici, di Nicea, Costantinopoli e Calcedonia» ed «è un autentico tradimento ed uno smentire la fede dei nostri padri».
Il rischio della deriva ariana della fede è stato lucidamente evidenziato anche da un genio del pensiero cristiano: Don Luigi Giussani. «Si diffonde della Chiesa»sosteneva il prete fondatore di CL «la tendenza a considerare il cristianesimo, l’incarnazione di Cristo, non come un Fatto, qual è, assolutamente nuovo e permanente nella storia, ma semplicemente come un’esperienza superiore del fenomeno religioso in genere. Cristo diventa così nient’altro che un grande maestro di umanità; e l’eucaristia non è più la permanenza reale di Cristo, ma il pane è la parola Dio e il Vino la fraternità, come qualcuno ha scritto».
E’ stato sorprendente verificare come il fumo velenoso di quell’eresia sia capace di riapparire dopo mille e settecento anni proprio durante la celebrazione eucaristica del Santo Natale in cui si fa memoria di quel mistero tremendo su cui si fonda il cristianesimo: verbum caro factum est.

Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto

Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it