DI S TEFANO V ECCHIA
F inalmente un Natale senza violenza, quello appena trascorso nello Stato orientale indiano dell’Orissa, il terzo consecutivo sotto la pressione del fondamentalismo induista, il primo relativamente tranquillo. Almeno, seppure in aree protette e sovente lontano dalle loro casa, una venuta del Signore non accompagnata da morti e devastazioni.
Le minacce del gruppo M2, affiliato alla federazione dei movimenti induisti più radicali, sono risultate priva di fondamento in un territorio fortemente presidiato dalla polizia, ed è per fortuna caduto nel vuoto l’invito a una serrata il 24 e 25 dicembre nel distretto del Kandhamal, al centro delle violenze dello scorso anno.
L’M2, sigla relativamente nuova nella galassia radicale, aveva già organizzato con successo due giorni di sciopero ed è esemplare dell’attività di movimenti che, con il pretesto religioso, di fatto si trasformano in milizie private. Sovente si pongono al soldo di interessi i quali non tollerano una presenza cristiana sui territori che vorrebbero controllare – risorse, terreni e popolazione insieme. E ciò facendo leva su antichi privilegi di casta e sull’appoggio politico di partiti a loro volta espressione di movimenti da tempo fuorilegge o al limite della legalità per la loro propaganda violenta e xenofoba.
Se un segnale positivo doveva esservi, è arrivato a pochi giorni dal Natale. « L’arresto nel distretto di Kandhamal di Gururam Patra, segretario generale del Bharatiya Janata Party ( Bjp), ritenuto corresponsabile delle violenze peggiori, ha messo in subbuglio gli ambienti radicali, ma anche acceso la speranza nei cristiani » , dice Augustine Singh, consulente delle vittime della violenza.
« Quest’anno abbiamo avuto celebrazioni in tutte le 14 parrocchie del Kandhamal, salvo una – spiega padre Mritunjay Digal, sacerdote dell’arcidiocesi di CuttackBhubaneswar –. Una situazione assai migliore rispetto a un anno fa, e questo nonostante le minacce » . Padre Manoj Nayak coordina il programma di assistenza ai profughi dell’arcidiocesi e proviene dallo stesso villaggio dove un altro sacerdote, padre Bernard Digal, venne massacrato con altri sette cristiani e anche suo padre ha rischiato di essere trucidato. Rientrato al villaggio in occasione del Natale, ha potuto verificare di persona i piccoli segnali di pace e di riconciliazione che vanno facendosi strada nella paura. Nei centri maggiori, dove la ' presa' dei violenti e dei facinorosi è meno forte, la distensione è ancora più visibile. Per fare un esempio, la maggioranza dei 2.000 partecipanti alla celebrazione della Giornata internazionale per i diritti umani organizzata il 10 dicembre dall’arcidiocesi era composta da non cristiani.
È lo stesso padre Manoj a delineare, tuttavia, una situazione di insicurezza per diversi aspetti ancora drammatica, che solo un ottimismo che unisce fede e impegno arriva a indicare come ' normale'. « A Natale abbiamo vissuto una situazione di apparente serenità – racconta il sacerdote di origine tribale – senza fatti particolari » . Tuttavia, sui mass media si sono rincorse voci, probabilmente diffuse ad arte, per creare paura e ansia tra la gente. « Minacce rimaste sulla carta – dice il sacerdote – ma che non hanno certamente alleggerito la pressione su quanti sono chiamati a testimoniare nei processi contro i presunti responsabili delle violenze e per quanti, nei villaggi più remoti, subiscono quasi quotidianamente le intimidazioni perché si convertano all’induismo o se ne vadano per sempre » .
Una situazione che non va generalizzata, ma che certo è da affrontare con gli strumenti della politica, dell’ordine pubblico ma anche della volontà di convivenza. « A esclusione dei fondamentalisti, la maggior parte dei non cristiani vedono nel Natale una grande celebrazione dei fedeli in tutto il mondo e, per essi, un’occasione comunque di gioia e di rinnovato impegno di pace » .
Ma quali sono i problemi che, in prospettiva, i cristiani dell’Orissa si troveranno davanti il prossimo anno? Risponde Ajay Kumar Singh, coordinatore delle attività di emergenza e assistenza della Chiesa locale per il Kandhamal: « In sintesi, un mix di problemi pratici, diciamo comuni, e di altri legati alla situazione creatasi negli ultimi due anni. Le pressioni sui testimoni nei processi contro organizzatori e esecutori delle violenze dello scorso anno, la scarsità di cibo, la difficoltà nel reperire vestiario adeguato ad affrontare il clima invernale, la continua lotta della gente per ottenere giustizia... Quanto è successo non va dimenticato ma superato, come vanno superate povertà diffusa e antiche discriminazioni » .
Avvenire 29 dic. 2009