DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Trovata una nuova prova dell’esistenza di Dio. Il filosofo Spaemann, consigliere del Papa, lancia un’ipotesi interessante

Roma. “Una dimostrazione di Dio che
sia, per così dire, Nietzsche-resistente, una
dimostrazione di Dio a partire dalla grammatica,
più esattamente dal cosiddetto ‘futurum
exactum’ (il futuro anteriore)”. E’
con questa interessante provocazione intellettuale
che il filosofo tedesco Robert
Spaemann interverrà giovedì al convegno
“Dio oggi”, organizzato a Roma dalla Cei.
“Una nuova prova dell’esistenza di Dio”
da parte di uno dei massimi critici cattolici
della modernità, rubricato fra i “consiglieri
del Papa” Benedetto XVI, con il
quale Spaemann ha studiato. Nato a Berlino
nel 1927 e capostipite di una generazione
di pensatori tedeschi sopravvissuta
al nazionalsocialismo, autore di importanti
saggi come “Persone” e “Natura e ragione”,
Spaemann è anche noto come “l’Emmanuel
Lévinas cattolico”. A lui si devono
alcune fra le più radicali sentenze del
pensiero contemporaneo, a cominciare
dalla celebre tesi secondo cui “non c’è etica
senza metafisica”. Erede della prestigiosa
cattedra che fu di Hans Georg Gadamer,
professore emerito a Monaco e visiting
professor in numerose università del
mondo, Robert Spaemann nella sua conferenza
sosterrà che dire di qualcosa che
“è”, ed è “adesso”, equivale a dire nel futuro
che quella cosa “è stata”. “In questo
senso ogni verità è eterna”, afferma Spaemann.
“Poiché non possiamo pensare ad
alcun presente senza un relativo futurum
exactum, ci possiamo pensare presenti e
reali solo se pensiamo a Dio. Se noi oggi
siamo qui, noi domani saremo stati qui. Se
la realtà esiste, allora il futuro anteriore è
inevitabile e con esso il postulato del Dio
reale”.
L’affascinante tesi
di Robert Spaemann fa il paio con
quanto Joseph Ratzinger affermò per
la prima volta, da filosofo oltre che
da teologo, nel discorso a Subiaco
del 1° aprile 2005, nella sua ultima
conferenza pubblica prima d’essere
eletto Papa. Ovvero l’idea di vivere
“come se Dio ci fosse”, si creda o no
nella rivelazione. L’ipotesi di Spaemann
non è estranea neppure ad altri
pensatori del nostro tempo. Se
per il grande antropologo francese
Claude Levi-Strauss il fatto che l’uomo
parli più lingue era il “mystère
suprême”, il critico inglese George
Steiner è arrivato molto vicino agli
esiti metafisici di Spaemann quando
ha scritto che la traduzione è un postulato
metafisico e che “chiusa la
porta del futuro, ogni conoscenza è
inerte”. Perché secondo Steiner “è
solo con il linguaggio che l’uomo può
affrancarsi dal tempo e dalla morte”.
Il punto di partenza dell’analisi di
Spaemann, che nella sua relazione
attacca duramente anche lo scientismo
e il naturalismo contemporanei,
è l’idea che “la traccia di Dio nel
mondo da cui oggi dobbiamo prendere
le mosse, è l’uomo, siamo noi
stessi”. La personalità dell’uomo sta
e coincide con “la sua capacità di verità”.
E’ questo che viene oggi posto
in questione da biologi, teorici dell’evoluzione
e delle neuroscienze. Il
massimo ideologo del nichilismo
moderno, Friedrich Nietzsche, diceva
che non possiamo liberarci di Dio
“finché continuiamo a credere alla
grammatica”. “Il problema è che
non possiamo fare a meno di credere
alla grammatica”, replica Spaemann.
Col venir meno del pensiero
della verità viene meno anche il
pensiero della realtà. “Il nostro dire
e pensare ciò che è, è strutturato in
forma inevitabilmente temporale”.
L’inevitabilità del futuro anteriore
implica quindi l’inevitabilità di pensare
un “luogo”, come lo chiama
Spaemann, “dove tutto ciò che accade
è custodito per sempre”. Altrimenti
dovremmo accettare l’assurdo
pensiero che ciò che ora è, un giorno
non sarà più stato. “E di conseguenza
non è reale neppure adesso”.
Qualsiasi cosa ne possa nascere in
futuro, quel che è accaduto un tempo
è, e resterà sempre, vero. “Nessuna
parola pronunciata un giorno
sarà un giorno non pronunciata, nessun
dolore non sofferto, nessuna
gioia non vissuta. Il passato può diradare,
ma non si può fare in modo
che non sia stato”, dice Spaemann.
“Che esista un essere che nella nostra
lingua si chiama ‘Dio’ è una vecchia
diceria che non si riesce a mettere
a tacere”, aveva scritto Spaemann
in un suo celebre libro. “Questo
essere non fa parte di ciò che esiste
nel mondo. Dovrebbe essere
piuttosto la causa e l’origine dell’universo”.
Nietzsche aveva ragione a
scrivere che per liberarsi di Dio ci
saremmo dovuti liberare della grammatica.
Ma anche lui non poté fare a
meno di conformare i suoi pensieri
alla grammatica. Spaemann ricorda
la storiella della scritta sul muro:
“Dio è morto. Firmato: Nietzsche”,
sotto la quale qualcuno ha scritto:
“Nietzsche è morto. Firmato: Dio”.

Il Foglio 8 dic. 2009