DI M ASSIMILIANO C ASTELLANI
Elie Wiesel, che è stato ad Auschwitz III-Monowitz, lo stesso lager di Primo Levi, sente nostalgia per l’uomo d’argilla provvidenziale.
L a leggenda magica e spirituale del Golem insegue il popolo ebraico, lo pedina silente per le strade labirintiche dell’esoterica Praga medioevale, fino ad oggi. Il Golem nella versione fantasmagorica dell’opera di Gustav Meyrink - edita nel 1915 - è semplicemente l’ombra misteriosa che appare e scompare, ogni 33 anni, alla vista degli abitanti del ghetto praghese sconvolgendo le loro vite, e non l’uomo d’argilla creato dal Rabbi Yeuda Loew, il Maharal, che riaffiora dalle pagine de Il Golem di Elie Wiesel appena riedito dalla Giuntina. Delle tante versioni che si tramandano dalla metà del ’500 alla fine del ’700 lo scrittore rumeno, naturalizzato americano, sceglie la prima, la più antica, ovvero quella che vuole il Rabbi Loew creatore di un essere supremo, affinché proteggesse gli ebrei dalle persecuzioni. Il pregiudizio antisemita passava per un’altra leggenda metropolitana, secondo la quale gli ebrei preparavano il pane Pasquale utilizzando il sangue dei bambini cristiani rapiti. E proprio alla mezzanotte di Pasqua del 1513, il salvifico Rabbi Loew viene al mondo, mentre suo padre, il Rabbi Bezalel ben Chayyim di Worms, sta leggendo «con fervore e gioia» la storia dell’esodo dall’Egitto. Il pianto del piccolo Maharal, «appartenente alla discendenza regale di David», metterà in fuga lo straniero che stava per depositare davanti all’uscio della casa un sacco con dentro il cadavere di un bambino cristiano. Lo straniero venne così arrestato e confessò che i cittadini lo avevano pagato per compiere quell’atto criminoso e gettare fango sul popolo ebraico. Questo clima da diceria degli untori nel quale crebbe il giovane Rabbi Loew, lo portò a meditare a lungo sulla soluzione per placare la sofferenza della sua comunità. È per questo che creò il Golem, «un essere artificiale senza un’anima, una creatura d’argilla destinato a faccende terrene ed escluso dall’influsso divino», destinato però, a salvare il suo popolo. Wiesel scrive: «Non era la prima volta che veniva creato un Golem. Nel Talmùd, un saggio di nome Ravà lo aveva già fatto». E nel corso della storia abbiamo ampiamente verificato che i replicanti e le storie golemiche si sono moltiplicate. Un essere dunque arrivato dal nulla e che avrebbe risposto solo alla chiamata d’aiuto del suo creatore. «Per tutto il tempo che avremo bisogno di te, sarai indistruttibile e immortale», ricorda il Rabbi Loew a «Yossel il muto», il servitore, la sua creatura appena introdotta al mondo. Una creatura che dimorava nel tribunale rabbinico della città, lasciata in completa solitudine, incompresa e incomprensibile al popolo perché solo il suo Rabbicreatore poteva interrogarla: «È Maharal che capisce ed è il Golem che agisce.
L’intelligenza del primo alleata con i poteri occulti del secondo, arrivano sempre alla verità facendo così trionfare la giustizia». Una sfida difficile però, contrastata dal nemico numero uno, il maligno Thadeusz. Ma l’intelligenza superiore del Maharal, vissuto fino a 97 anni, riuscì sempre a trasformare il male in energia positiva, conquistando e trovando un suo alleato persino in Re Rodolfo II che era estasiato dal pensiero abissale e dalla cultura sterminata del Rabbi.
Anche se un giorno lo fece arrestare.
Incontrandolo, alla domanda dove stesse andando, il Maharal rispose candido: «Non lo so sire». Il Re sentendosi dileggiato e tradito nell’amicizia lo fece rinchiudere in prigione e stizzito chiese perché gli avesse mentito. Il Maharal pronto: «Non vi ho mentito sire. Veramente non sapevo dove stavo andando. La prova: pensavo di andare in sinagoga e sono finito in prigione…». La luce intellettuale del Rabbi e l’azione portentosa dell’uomo d’argilla in soccorso del popolo ebraico, andò avanti, ma non per molto: al decimo anno della sua creazione il Golem «tornò in polvere». Una fine avvolta nel silenzio, così come tutto era cominciato. L’atto finale avvenne nella soffitta della sinagoga per espressa e dolorosa volontà del Maharal che intimò, pena la scomunica, che nessuno sarebbe mai più dovuto entrare lì dentro. Chi l’ha fatto è andato incontro alla maledizione. Si chiude così il Golem
di Wiesel che non nasconde la sua grande nostalgia per questa assenza provvidenziale dell’uomo d’argilla. «Oggi come ieri, qualcuno deve porsi fra l’odio e noi», scrive l’autore che pubblicò Il Golem nel 1986, l’anno in cui gli venne conferito il Premio Nobel per la pace, per il suo esemplare cammino di scrittore (apice raggiunto con il romanzo L a notte) e per la grande sensibilità di uomo e di ebreo che ha sperimentato l’assurda crudeltà del lager, quello di Auschwitz III-Monowitz, lo stesso in cui venne deportato Primo Levi. A distanza di più di vent’anni dalla sua prima edizione italiana - nel 1983, sempre della Giuntina - il
G olem di Wiesel è corredato dalle illustrazioni oniriche di Mark Podwal che segue le tracce mute di Yossel, facendo uscire le lettere dell’alfabeto ebraico dai libri, dagli orologi e dalle guglie di quella Praga dove forse il Golem prima o poi tornerà ad aggirarsi nel silenzio profondo della notte.
Anzi, per molti, forse anche per Wiesel, il Golem è vivo, sta ancora nascosto nella soffitta della sinagoga di Praga: «E aspetta solo di essere chiamato».