DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Agostino batte le eresie di oggi

La frequentazione di Agostino da parte di Benedetto XVI è la storia di una lunga amicizia, che risale agli anni giovanili. Coltivandola e approfondendola, egli entra in sintonia con la sua opera, ne coglie la novità, ne assapora il gusto. L’occasione di una dissertazione alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco, nell’anno accademico 1950-1951, lo sollecita a indagare e a comprendere in modo nuovo la natura sacramentale della Chiesa, partendo proprio dal pensiero cristologico ed ecclesiologico elaborato da Agostino, nella cui visione e azione nulla è separato, ma tutto tende a interagire e a comporsi in un’armonia feconda. In realtà, si nota ben presto che la dottrina di Agostino lascia nel giovane Ratzinger una traccia profonda.

Nei corsi, nei seminari e nelle conferenze da lui tenute nelle facoltà teologiche delle università tedesche (Bonn, Münster, Tübingen, Regensburg), già a partire dalla fine degli anni Cinquanta e fino all’anno della sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga (1977), Agostino rappresenta un punto di riferimento costante: uno dei fondamenti ispiratori della sua teologia, così come uno dei fari spirituali del suo magistero. Per Benedetto XVI il travagliato iter dell’esistenza di Agostino e il suo approdo alla fede è caratterizzato innanzitutto dalla «passione per la verità», come ebbe a ricordare anche nella solenne concelebrazione eucaristica agli «Orti borromaici», durante la sua visita a Pavia per venerare le spoglie di Agostino (22 aprile 2007).

Non però la verità intesa come principio filosofico astratto, ma come verità tangibile; non quindi un miraggio lontano, ma una verità incarnata. È la fede a spalancargli questo orizzonte di verità, facendogli trovare il legame costitutivo tra l’<+corsivo>intelligere<+tondo> e il credere, tra le istanze della ragione e l’autorità della fede, tra la fede pensata e la fede vissuta.

Ma, prima di tutto, è l’umiltà con cui Agostino si pone in ricerca ad aprirgli le porte del mistero di Dio, ed è a questa umiltà a cui anche ogni cristiano è chiamato: «All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere – questo è il grande passo – l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo».

Dopo il cammino di conversione e avvicinamento alla fede, Agostino ha però saputo mostrarsi umile – sottolinea il Papa – anche nel sacrificare i propri sogni (primo fra tutti, una volta diventato sacerdote, di dedicarsi alla vita contemplativa), per essere vangelo vivo in mezzo alla gente. Ai bivi della vita – dove si vorrebbe scegliere di andare da una parte, e dove Dio invece chiede di andare da un’altra – è spesso richiesto anche questo atto di umiltà.

Agostino ha saputo compierlo, mettendosi totalmente al servizio degli altri: «Sempre di nuovo essere lì per tutti, non per la propria perfezione; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita». La fede umile di Agostino si manifesta anche nel suo inesausto bisogno della misericordia di Dio. Il suo non è stato l’atteggiamento di chi ha ricevuto il dono della grazia una volta per sempre, ma di chi, al contrario, si è sentito per tutta la vita un «mendicante di Dio» (mendicus Dei) ed ha perciò continuato a cercarlo per essere da lui perdonato e soccorso. Sotto questo aspetto, dall’esperienza di Agostino viene anche una sollecitazione alla «conversione permanente», assieme alla «grazia della perseveranza, che dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore».

Infine, la passione per la verità che in Agostino trova sbocco nella fede in Cristo e nella fede della Chiesa si esprime anche in una grande passione per l’uomo. La fede non chiude le porte, non isola, non allontana la ragione e la libertà, non esclude nulla. La fede apre, dilata, orienta e guida, perché la fede nel «Dio Amore» (1Gv 4, 8.16) è tale se si manifesta come espansione d’amore, e la Chiesa è se stessa nella misura in cui sa vivere come comunità d’amore. La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est – idealmente consegnata al mondo davanti alla tomba di Agostino e a lui «largamente debitrice» –, è appunto lo specchio di questo comandamento della carità, vissuto come servizio alla verità e all’amore di Cristo.

Nel presentare Agostino, Benedetto XVI arriva al cuore del suo insegnamento e lì attinge i pensieri, le parole e gli esempi che costituiscono le linee-guida del suo magistero. Per lui, Agostino è come uno specchio che riflette anche una parte di sé. Ripercorrendo la sua opera teologica, spirituale-meditativa e culturale, si può cogliere, in realtà, il filo conduttore agostiniano che ispira e tiene insieme le varie parti della sua riflessione. Due sembrano i concetti-cardine attraverso i quali si sviluppa il pensiero di Benedetto XVI: la verità e l’unità. La verità intesa come «sinfonia», secondo un concetto antico ripreso e reso famoso da Hans Urs von Balthasar.

L’unità intesa come comunione nella verità, dove le differenze non si scompongono e autoisolano in rovinosi particolarismi, ma si saldano in una reciprocità d’amore che guarda sempre al bene più grande, cioè la verità piena, totale e armonica. Quando vengono a mancare questi presupposti, l’approccio alla verità diventa una «mono-fonia», anziché essere una «sin-fonia»; un canto omofono invece che polifonico. È quanto Johann Möhler – uno dei teologi più apprezzati da Benedetto XVI (con Newman, Rosmini, Scheeben, Guardini, De Lubac, Congar, von Balthasar...) – esprimeva in modo analogo, parlando del senso di superiore bellezza che si riceve da un coro: non tanto perché delle persone cantano in modo impeccabile, ma perché l’educazione dei cantori e la saggezza di chi li guida sono tali da fondere voci e tonalità diverse in un’unica armonia. In questa linea di pensiero – che richiama per vari aspetti la predicazione e l’azione pastorale di Agostino – si colloca l’opera di Benedetto XVI.

Già nel suo celebre Rapporto sulla fede (il colloquio-intervista con Vittorio Messori) l’autore affrontava tutta una serie di problematiche teologiche e morali (dall’idea di Chiesa al dramma della morale; dalla liturgia ai fratelli separati; dalla teologia della liberazione al femminismo), preoccupandosi di mettere dei punti fermi e di dissipare i numerosi equivoci sorti su tante questioni. Oggi alcune di quelle questioni sono tornate; altre hanno mutato di segno; altre ancora si sono aggiunte, alimentando antichi e nuovi dibattiti.

Puntando alle sorgenti della fede e a un’interpretazione autentica dei testi, Benedetto XVI tiene comunque sempre fissa la barra al centro, dove la fedeltà ai princìpi, alla tradizione, a una chiara e solida identità cristiana non preclude la possibilità di vedere e applicare, in modo intelligente ed equilibrato, ciò che può servire a vivere sempre più consapevolmente la propria fede, nell’oggi della Chiesa e dell’uomo.

Se ai tempi di Agostino le controversie erano di natura dottrinale e vedevano lo strenuo impegno del vescovo di Ippona nel combattere tante eresie e deviazioni (manichei, donatisti, pelagiani, eccetera), oggi le grandi problematiche sono di natura ecclesiale e pastorale, considerate soprattutto all’interno del vasto tema della «nuova evangelizzazione», in un mondo sempre più secolarizzato, fuori e dentro la Chiesa. Tutto l’impegno di Benedetto XVI, nell’adempiere al proprio mandato di custodire e confermare i fratelli nella fede, sta nel richiamare la necessità di un forte radicamento in Cristo e nei valori perenni del cristianesimo. Questi sono gli unici veri presupposti per essere cristiani maturi nel vivere la fede e credibili nel portarla agli altri.

Da qui anche il richiamo – nella memoria viva di Agostino, uno dei padri fondatori della cultura occidentale – ai fondamenti cristiani dell’Europa, alle sue «radici», che sono come il cemento che tiene insieme l’idea stessa dell’uomo, sacro in quanto creatura di Dio e inviolabile nella sua dignità di persona. Senza tali radici, non solo si viene a perdere l’identità cristiana che ha plasmato spiritualmente e culturalmente l’Europa, ma viene a sfaldarsi, nel relativismo imperante, la verità profonda dell’uomo e del suo destino, che dovrebbe invece essere l’anima comune anche dell’Europa di oggi.
Giuliano Vigini

Avvenire 12 gennaio 2010