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na ragione scientifica oggettiva che giustifichi la scelta del presidente degli Stati Uniti Barack Obama di sbloccare i finanziamenti federali per la ricerca sulle staminali embrionali non c’è. Si tratta unicamente di una presa di posizione strategica e politica con l’intento di difendere i forti interessi commerciali di chi ha investito per ben trent’anni in questo settore di ricerca». Ha le idee chiare Angelo Vescovi, genetista dell’Ospedale Niguarda di Milano e docente dell’Università Bicocca, sulla notizia arrivata dall’America: ricercatori dell’Università della California a San Diego hanno infatti utilizzato cromosomi batterici artificiali per manipolare geneticamente staminali embrionali umane, al fine di regolare il loro differenziamento.
Agli inizi del dicembre scorso il governo americano ha dato la sua prima autorizzazione al finanziamento con fondi pubblici di una ricerca su 13 linee di cellule provenienti da embrioni sovrannumerari ottenuti mediante tecniche di fecondazione artificiale. Obama ha dunque mantenuto la promessa fatta di sbloccare i fondi federali per questo scopo e in questa prima operazione ha avuto addirittura l’avallo dell’Istituto Nazionale di Sanità (NIH) americano. Come si giustifica, allora, la posizione di Vescovi e quella di altri illustri colleghi di diversa nazionalità che non esultano affatto per questo risultato? «Scientificamente parlando, ed è questo il piano su cui si muove la critica, l’avvento di nuove tecnologie in grado di generare cellule simili alle embrionali, infinitamente superiori per efficienza e sicurezza come la strada della riprogrammazione, rende insostenibile e ingiustificabile lo spreco di energie e risorse ancora in questa direzione», spiega Vescovi. «Il pragmatismo tipico della cultura anglosassone ha avuto un peso enorme in questa decisione: non si può distruggere un sistema che dura da trent’anni intorno al quale si è investito capitali ingenti, ma la motivazione di trovare una via più rapida per curare le malattie in attesa che le altre linee di ricerca si dimostrino operative dal punto di vista clinico non è vera».
Scelta strategica di sistema, dunque, e non una risposta valida alle esigenze dei pazienti secondo una buona fetta della comunità scientifica internazionale, considerando che anche molti dei gruppi che storicamente hanno lavorato su embrioni umani – uno fra tutti, quello di James Thomson dell’Università del Wisconsin-Madison, il primo a coltivare in vitro le staminali embrionali umane – hanno deciso di orientare le proprie ricerche verso le ultime tecnologie. Addirittura è stato lo stesso Thomson, insieme al giapponese Yamanaka, a porre circa tre anni fa le basi di questa evoluzione scientifica arrivando ad ottenere, da cellule adulte già differenziate della pelle, le rivoluzionarie 'cellule staminali pluripotenti indotte'. Oggi queste ultime sono studiate nei laboratori di tutto il mondo, con rapidissimi risultati ottenuti sui modelli animali. In futuro, linee cellulari su misura per ogni paziente, senza rischio di rigetto e necessità di distruggere embrioni, potrebbero dunque arrivare da qui. «Investiamo concretamente in queste vie alternative — conclude Vescovi — per poter dire che l’obiettivo è davvero la cura e il bene del paziente».
Avvenire 14 gennaio 2010