DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

CHIESA DI BASE CON EMMA

Inchiesta a Viterbo. Compatte opinioni cattoliche, in certi casi fervide,
a favore della candidata abortista militante, divorzista, eutanasista,
che definì l’embrione “un grumo inerte”. Rari distinguo (e timidi

Viterbo. Viterbo è città di papi, dicono
le pietre della sua cattedrale e la scalinata
del palazzo in cui vissero ben trentotto
pontefici. E però a Viterbo la non papista
Emma Bonino – radicale storica e candidata
presidente alla regione Lazio per il
centrosinistra (cattolico e non) – non attira
su di sé critiche alla Domenico Delle Foglie,
l’editorialista di Avvenire che mercoledì
scorso, in un fondo diplomaticamente
nascosto dal quotidiano dei vescovi a pagina
undici (in basso), ha definito la candidatura
Bonino “uno schiaffo alla comunità
cristiana” ed Emma Bonino “l’alfiere dell’aborto
e dell’eutanasia… una testimone
di militante inimicizia nei confronti della
visione cristiana dell’uomo e del mondo”.
Nella città dei papi la Bonino non ha neppure
bisogno di un apripista del calibro di
Pippo Baudo (cattolico boniniano) né dei
consigli profusi sul Messaggero dal viterbese
Giuseppe Fioroni, ex ministro e cattolico
pd: cara Emma, se vuoi conquistare
i voti cattolici, fai uso di serietà, rigore e
umiltà. Anche se Emma Bonino andasse a
Viterbo a parlare di aborto, divorzio, fine
vita e coppie di fatto, i cattolici viterbesi,
per la maggior parte, farebbero
spallucce. Per convincersene,
basta inerpicarsi
su per il vicolo che
parte dalla piazza principale,
superare il negozio
di porchetta, avvicinarsi al
museo e attendere che il vicario
del vescovo per le relazioni,
monsignor Salvatore Del Ciuco,
estragga da una tasca le lunghissime,
pesanti chiavi della cattedrale
– chiavi vecchie come il campanile,
forse, chiavi da torre di principessa
medioevale. Basta seguire il monsignore
mentre si avventura nel buio della navata,
dondolandosi nel cappotto scuro fino all’ingresso
della sagrestia (“tutta in noce”,
dice con orgoglio, cercando con il piede
l’interruttore della stufa elettrica). E’ lì, infatti,
seduto al tavolo da lavoro, mentre ricorda
con nostalgia i tempi in cui Giulio
Andreotti “riempiva il viterbese di caserme,
speranza di carriera per i giovani”,
che monsignor Del Ciuco dice quattro parole
che valgono più di dieci sondaggi:
“Qui la gente non si divide sui temi etici”.
Qui alla gente “non importa nulla di questi
argomenti”. Qui la gente “non si sposa
perché non c’è lavoro”. Qui la gente “ha
aperto gli occhi sui politici”. Qui, dice il
monsignore, “si chiedono poche chiacchiere:
la regione smetta di riservarci le briciole
e di bocciare progetti che eviterebbero
la fuga dei ragazzi disoccupati”. La chiesa
“non può più dare impiego ai fedeli, come
un tempo”, sospira il monsignore – preoccupato,
più che per Emma Bonino, per
l’annosa insostenibilità dei collegamenti
Roma Viterbo e per “l’orribile chimera di
un aeroporto che resterebbe comunque
una cattedrale nel deserto”. “Se i milanesi
avessero le nostre acque termali, non
starebbero a perdere tempo”, dice disegnando
con la matita le linee di una vagheggiata
rete autostradale.
Poche vie più a destra, nel freddo di
mezzogiorno, due immigrati e tre viterbesi
fanno la fila davanti al portone della Caritas.
Uno dei volontari, un signore in
grembiule, non vuole “parlare di politica”
ma spera “che i vigili smettano di fare
multe qui davanti”. La responsabile della
mensa, Maria Pia Quadrini, una specie di
Miss Marple alle prese con un pentolone
di zuppa fumante, ha fretta: “Devo servire
un pasto a tanta gente che non arriva alla
fine del mese”, dice. Poi però, finendo di
apparecchiare, dichiara di avere “molta fiducia
in Emma Bonino, una persona onesta,
e lo dico nonostante io sia cattolica
praticante. Certo, c’è il problema delle posizioni
estreme sul divorzio e sull’aborto,
ma bisogna avere rispetto per le opinioni
altrui e superare le divisioni”. Non si sa se
la signora Quadrini abbia sentito Maria
Pia Garavaglia, cattolica pd, dirsi felice
per la “bella sfida in rosa” nelle urne laziali.
Fatto sta che esclama: “La scelta di
due donne rende onore a Giovanni Paolo
II quando parlava di ‘genio femminile’”.
Tra i notabili cattolici della città, l’avvocato
della curia, Severo Bruno (ex candidato
sindaco con una lista di centrosinistra),
esprime qualche “perplessità per il
processo decisionale che ha portato alla
candidatura Bonino”, ma dice di sentirsi
“tutelato da Emma Bonino sul piano delle
garanzie costituzionali e dei diritti. E poi è
seria: non si è mai approfittata del suo
ruolo da commissario europeo”. Mentre
due cittadini salutano l’avvocato e gli lanciano
battute trascinando un carrello della
spesa, l’avvocato, “da cattolico e da ex
presidente di un organismo cattolico”, si
inserisce nel solco della vecchia scuola
democristiana. Dice infatti: “Posso non essere
d’accordo su alcune soluzioni date
dalla Bonino ad alcuni gravissimi
problemi, ma il cattolicesimo per
me è convincimento, non guerra
ideologica. All’idraulico non si
chiede ‘di che confessione sei?’, e
io non lo chiedo neppure a chi deve
amministrare trasporti e sanità. E
poi la Ru486 non sarebbe di competenza
del presidente della regione”.
Ancora più “entusiasta” è Carlo Galeotti,
direttore del quotidiano locale
(online) Tusciaweb. Galeotti
si autodefinisce “cattolico figlio
di don Milani”, dice che “il referendum
sul divorzio l’hanno fatto vincere
i cattolici” e dichiara il suo voto per Bonino
“per la sua attenzione agli ultimi”. Più
sibillino il presidente viterbese della Fondazione
Carivit, Aldo Perugi: “Sono cattolico
osservante e auspico che le candidature
siano rispettose dei valori etico-morali
della nostra collettività. Uno può essere
anche non credente, ma rispettoso di questi
valori. Vedremo alla prova dei fatti”.
Lungo il corso principale, fuori dall’antico
caffè Schenardi, un parroco e un seminarista,
intenti a commentare la notizia
dei “lupi che infestano le valli circostanti”,
non accettano di rilasciare “dichiarazioni
perché i problemi delle diocesi non
li risolve la politica”. Bisogna allora salire
ancora un po’, oltre lo slargo in cui si nasconde
la dimora delle suore di clausura,
fino alla scuola cattolica Rosa Venerini. I
bambini della materna sono appena usciti
e la madre superiora, con un gesto perentorio,
indirizza il forestiero dalla preside,
suor Mariangela, al momento intenta a
pulire un armadio: “Oggi faccio anche la
bidella”, dice. Suor Mariangela esprime
“qualche timore” per l’eventuale vittoria
di Emma Bonino, “per un fatto di priorità:
i suoi temi, come le coppie di fatto, sono
secondari rispetto all’emergenza impiego
e alle tasse e agli affitti troppo alti che
strozzano gli impiegati e le piccole imprese”.
Suor Mariangela dichiara “una preferenza
per Renata Polverini”, con la speranza
“che la regione sovvenzioni qualche
progetto a favore delle famiglie e dei giovani,
magari per farli seguire da insegnanti
qualificati”.
Con la luce calante del pomeriggio, quasi
alla fine del peregrinare viterbese, il
cronista si imbatte in un’opinione cattolica
solitaria, antiboniniana, quella di Maria
Fanti, veterana del Centro per l’Aiuto
alla Vita: “Conosco le idee della signora
Bonino. Non la sosterremo mai”. 1. continua

Il Foglio 22 gennaio 2010