DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Così i mass media falsano l’immagine della famiglia

Intervista a Piermarco Aroldi (Avvenire 23 novembre 2007)
Così i mass media falsano l’immagine della famiglia

di Massimo Iondini

«I media, soprattutto la televisione, sono ormai diventati un luogo di conflitto, un moderno campo di battaglia in cui ci si contende l’affermazione di diverse immagini o idee di famiglia e di socialità. E la dialettica tra rappresentazione e rappresentanza può così talvolta tradursi in crisi di fiducia nei processi stessi di mediazione, generando per esempio sospetto nei confronti di parte dell’informazione».

Sono alcune sostanziali conclusioni a cui è giunta la ricerca Discorsi di famiglia, condotta dall’Osservatorio sulla comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che verrà presentata nel corso dell’incontro organizzato per oggi a Roma dal Forum delle Associazioni familiari (vedi box). Ad anticiparne i contenuti è il vicedirettore dell’Osservatorio e curatore della ricerca, Piermarco Aroldi.

Professore, la ricerca afferma in sostanza che l’immagine che la televisione dà della famiglia è spesso artefatta, falsa. Un prezzo da pagare alla inevitabile spettacolarizzazione insita nel piccolo schermo?
In parte sì, ma questo vale per tutti i media. Nel senso che, come affermava anche Alessandro Manzoni alla fine dei «Promessi sposi» dicendo che la narrazione dei fatti si fermava lì perché Renzo e Lucia da quel momento avrebbero vissuto felici e contenti, è sempre oggetto di narrazione ciò che sconvolge la normale quotidianità. Il tran tran non può interessare narrativamente. Ma un conto è raccontare una storia, come fa per esempio il cinema, altro conto è affermare di rappresentare la realtà. Come avviene in tivù in molti reality show e nel cosiddetto infotainment ovvero in quei contenitori pomeridiani in cui si mescolano confusamente attualità e intrattenimento.

A questo punto a che paradossi si può arrivare?
Il classico paradosso è che, riguardo all’immagine di famiglia, il massimo di visibilità sociale è spesso garantito a posizioni minoritarie. Mentre, viceversa, ciò che ha ampia corrispondenza nella effettiva realtà risulta mortificato. Come è successo con il Family day.

Com’è stata condotta la ricerca?
Attraverso una ricognizione sul web per analizzare la presenza di siti Internet direttamente gestiti da famiglie e mediante interviste a sceneggiatori e produttori di fiction, a pubblicitari, a giornalisti della carta stampata e a rappresentanti delle associazioni familiari aderenti al Forum.

Cosa è emerso nelle diverse realtà mediatiche e nelle "categorie" interpellate?
Anzitutto colpisce la scarsa presenza delle famiglie sulla Rete. Eppure Internet, per sua natura, è quanto di più omologo alla realtà familiare, perché non mediato da altri soggetti della comunicazione. Non c’è alcun filtro. Ciononostante le famiglie lo ignorano quasi completamente. Forse perché è ancora una novità ed è percepito come difficile da gestire. Per le associazioni familiari sarebbe invece davvero una nuova frontiera da esplorare, vista la richiesta di maggiore rappresentanza e una certa diffidenza nei confronti di giornali e tivù.

Perché non ci si fida più dei tradizionali mass media?
Perché, soprattutto negli ultimi anni, si sono in gran parte giocati la credibilità di cui godevano.

Si punta unicamente sul sensazionalismo e su ciò che è trasgressivo?
È il registro dominante. Come per la fiction, la cui regola è raccontare una storia con una struttura drammaturgica: stato di equilibrio di partenza, arrivo della crisi e suo superamento, in un modo o nell’altro. La famiglia, insomma, deve sempre andare in crisi.

Ed è qui che si vien meno a una più autentica rappresentazione delle realtà familiari?
Sì, perché la regola di fondo è diventata: va dove ti porta il cuore. Prevale un’etica debole dell’inclusione. Insomma, basta volersi bene. Domina un ideale individualista. Che è il contrario dell’essenza stessa della famiglia.

Ma al riguardo ci sono alcune differenze tra le varie reti televisive?
Semplificando molto, potremmo dire che le famiglie, per così dire tradizionali, raccontate dalle fiction di Raiuno e Canale5 si assomigliano tra loro. Ma sono molto diverse, per esempio, da quelle raccontate dalle fiction di Raidue e Italia1.

Ancora più diverse risultano poi le famiglie rappresentate su altre reti...
Certo, basti pensare a quale famiglia, gli Osbourne per esempio, ha spazio in un canale giovanile come Mtv per riconoscere il peso dell’emittente nel definire il sistema di valori che regge l’intera narrazione.

Ma è così vincolante la linea editoriale?
Non sempre. Si pensi, per quanto riguarda Raiuno, la cosiddetta "rete delle famiglie", a due recenti fiction come Il padre delle spose e Mio figlio che hanno trattato il tema dell’omosessualità in contesti familiari. Se è per questo, ci sono regole più ferree per i pubblicitari che per i produttori di fiction.

In che senso?
Per la pubblicità la famiglia è fondamentalmente un pretesto di organizzazione di una situazione di consumo in funzione del prodotto e del target. Può sembrare paradossale, ma la famiglia della pubblicità è, come modello, fortemente conservatrice. La pubblicità, infatti, non può permettersi di rischiare. Così, se si vuole fare un spot un po’ trasgressivo, la famiglia viene solitamente sostituita da una coppia giovane.

Poche regole d’oro in un processo di mediazione sempre più complesso. Ma come si rapporta il pubblico con questa multiforme realtà?
I telespettatori hanno ormai sempre più un rapporto ludico con la televisione. E questo attenua i rischi di certe distorsioni. Resta il fatto che i mass media sono una risorsa fondamentale della società. Perciò educare i giovani all’uso di questi beni è oggi ancor più essenziale.