DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Il maschio è debole e la donna divorzia. Claudio Risé

Tratto da Il Mattino di Napoli del 17 agosto 2010
Tramite il blog di Claudio Risé

Una delle convinzioni che accompagnarono il dibattito sull’introduzione del divorzio in Italia era che sarebbe servito soprattutto agli uomini, per liberarsi di spose ormai meno attraenti e non più amate.

Lo sostennero anche ambienti cattolici autorevoli, e vi credettero molte donne.

I dati statistici mostrano però una realtà ben diversa: nel 2008 nel 75% dei casi (tre su quattro) la separazione è stata chiesta dalle donne. Una percentuale in rapido aumento: dieci anni fa erano il 65%.

L’Italia non è ormai diversa dagli altri maggiori paesi occidentali, dove a chiedere il divorzio, nella grande maggioranza dei casi, è appunto la donna. Ciò accade, in particolare, nelle situazioni in cui è in vantaggio rispetto al marito, come quando lei lavora e lui è disoccupato, oppure lei ha una cultura e titoli di studio più elevati.

In ogni caso, la percentuale di donne occupate impegnate nel 2007 in vicende di separazioni (65, 5%) e divorzi (74, 35), è sensibilmente superiore alla media dell’occupazione femminile nazionale, allora al 47%.

Questi dati mostrano come separazione e divorzio vengano utilizzati nel quadro di una crescente sicurezza femminile rispetto all’uomo. Le probabilità dell’uomo di venire lasciato aumentano quando il miglioramento della posizione della donna coincide con difficoltà del maschio, sia nel suo sviluppo formativo e professionale che nelle sue vicende lavorative.

La debolezza maschile spesso si manifesta anche nel carattere gravemente esasperato e infantile delle sue proteste, come nelle aggressioni alle donne che lo hanno abbandonato, seguite a volte da atti suicidali. Lei non vuole vivere con lui, e lui non può accettare che lei viva, né di sopravviverle dopo essere stato lasciato.

Vicende che consentono anche un’altra lettura dei dati statistici: quando lui non è in grado di vivere senza di lei, non ha un progetto ed una consistenza personale, al di fuori della relazione affettiva coniugale, lei si disamora e lo lascia. Una situazione nota allo psicoterapeuta, che osserva in continuazione l’effetto distruttivo dell’instaurarsi della dipendenza nella relazione d’amore. Solo che questa dipendenza, che durante la discussione della legge sul divorzio era ancora un problema soprattutto femminile (almeno in apparenza), oggi appare sempre più spesso una difficoltà degli uomini.

Come in tutte le vicende che riguardano vissuti psicologici e affettivi (ad esempio l’uscita dei figli dalla casa genitoriale, che finalmente sembra abbia smesso di avvenire in età sempre più matura), bisogna guardarsi dallo spiegare tutto con l’economia: è più semplice, ma rappresenta solo un aspetto del fenomeno, e mai il più importante.

Non è tanto il miglioramento della posizione economica delle donne nella società (ancora molto relativo) a spiegare la loro maggiore iniziativa nelle separazioni e divorzi. L’origine del fenomeno va piuttosto vista nell’indebolimento complessivo dell’iniziativa, dell’autorevolezza e anche del fascino maschile, e nella crisi della figura paterna che ne è all’origine.

Dalla fine della prima guerra mondiale in poi, per complesse vicende storiche, politiche e antropologiche, i padri non hanno più trasmesso ai figli un codice, un saper fare ed essere maschile che è andato via via perdendosi. Ciò ha reso gli uomini più confusi e meno attraenti, costringendoli a ricercare una nuova maschilità, autentica, senza più limitarsi ad opporsi all’autoritarismo patriarcale, ma esprimendo una capacità di visione e di azione positiva.

Anche dai risultati di questa ricerca dipenderà il futuro della famiglia italiana.


Divorziare da vecchi

di Claudio Risé
Tratto da Il Mattino di Napoli del 26 luglio 2010
Tramite il blog di Claudio Risé

Fino a non moltissimi anni fa la persona che fra i 40 e i 50 anni si ritrovava ancora al di fuori del matrimonio era considerata sfavorita, in difficoltà. Il maturo “scapolone”, o la “zitella” erano viste di solito come immagini dell’insuccesso affettivo, che la maggior parte dei giovani cercava di evitare.

La solitudine – si pensava - non si addice ai capelli grigi. Oggi invece continua ad aumentare il numero degli sposati che, fra i 40 e i 50 anni, decidono di uscire dal matrimonio. A giudicare dalle ultime rilevazioni dell’ISTAT, relative al 2008, separazione e divorzio sono sempre meno misure riparatrici di un errore giovanile, e sempre di più “mature” decisioni di uscire dal legame coniugale e dalla famiglia che si era costruita nella prima metà della vita.

Il fenomeno, come l’intero incremento delle separazioni e divorzi, è molto più accentuato nel nord Italia che nel sud, dove la famiglia tiene di più come istituzione, ed anche come valore affettivo, e come dimensione culturale, antropologica. Nel 2008 le separazioni ogni 1000 matrimoni sono nelle zone del sud circa la metà che al nord; ed il loro incremento annuale è più lento. D’altra parte questa corsa alla rottura della coppia e della famiglia anche (e, per certi versi ormai soprattutto) nella piena maturità, appare sostenuta da fattori economici: ci si separa e si divorzia di più, e da più vecchi, nelle zone in cui si guadagna di più, dove il reddito pro capite è più elevato.

La separazione-divorzio rappresenta infatti, dal punto di vista economico, anche un costo, così come la famiglia (ce lo hanno spiegato tutti gli ultimi rapporti Istat), è probabilmente il maggiore strumento di risparmio e accumulo di capitale sociale degli italiani. A questo risparmio però, è anche riconosciuto dalle persone, più o meno consciamente, un valore culturale (appunto di “capitale sociale”), e affettivo, in quanto fattore di coesione del gruppo e della società. Particolarmente significativo è che il gruppo più numeroso tra chi si separa e divorzia sia passato dalla classe d’età dei 35-40 anni (com’era ancora nel 1995), a quella dei 40-44. Soprattutto se si tiene conto che anche le separazioni degli uomini over 60 sono nello stesso periodo più che raddoppiate, e quelle delle donne addirittura più che raddoppiate.

Si è detto che poiché la vita è diventata molto più lunga, è più difficile viverla tutta con un solo partner. Si potrebbe però sostenere anche il contrario. Vale a dire che questi decenni in più, con figli e nipoti ormai grandi e spesso lontani, potrebbero consentire ai coniugi di ritrovare una nuova e più profonda intimità, e tessere insieme una tela più ampia, più ricca, con maggiore forza ed energia. Utilizzando (se lo desiderano) anche i farmaci del sesso, ma per stare meglio nella coppia, non per affondarla, lanciandosi in un mare aperto non facile neppure per i giovani, ma assai poco sensato per vecchi, anche se ben portanti.

Uscire dalla coppia dove si è rimasti fino alla piena maturità rappresenta infatti un rischio, affettivo, economico, ed anche fisico. Gli USA, che hanno più lunga e vasta esperienza di noi di rotture matrimoniali, hanno monitorato con attenzione cosa succede dopo il divorzio, soprattutto in età non più freschissime. Numerose ricerche e statistiche delle maggiori università americane, oltre a quelle del perfetto Ufficio del censimento USA, documentano così come e perché chi rimane nel matrimonio conservi maggiore agiatezza economica, serenità affettiva, e infine viva di più, del collega divorziato, impegnato o no in nuove e incerte unioni.

Padri e madri separati: le nuove leve di poveri?

di Germano Palmieri
La separazione dei coniugi, a parte le più o meno profonde e insanabili lacerazioni dei sentimenti e degli affetti coniugali, comporta una serie di conseguenze logistiche ed economiche, che nelle famiglie monoreddito o comunque sulla soglia della povertà producono effetti a dir poco devastanti, soprattutto se vi sono dei figli.
Dati per scontati i traumi e lo stress che la separazione provoca in questi (anche se in molti casi è preferibile, nel loro interesse, che i genitori pongano fine al rapporto piuttosto che continuare a convivere in un clima di infuocata conflittualità), fra i coniugi a rimetterci è quasi sempre il marito, dal momento che i figli, e con questi la casa familiare, vengono di regola assegnati alla madre, spesso per imprescindibili e comprensibili esigenze di assistenza del minore (si pensi a un bambino di pochi anni o addirittura di pochi mesi), con il padre tenuto a contribuire al loro mantenimento e a quello della madre se questa non ha mezzi sufficienti e non le è stata addebitata la separazione.
In particolare, il fatto che i figli minori vengano affidati quasi sempre alla madre, a parte eccezioni di conclamata impossibilità, in capo a questa, di accudirli ed educarli adeguatamente (per esempio per alcolismo o uso abituale di sostanze stupefacenti), riduce inevitabilmente, quando non mortifica, il ruolo del padre; un costruttivo ed efficace dialogo educativo, infatti, passa attraverso una presenza costante e non saltuaria del genitore, per cui se la madre, disattendendo gli accordi (nel caso di separazione consensuale) o l’ordine del giudice (nel caso di separazione giudiziale), non agevola gli incontri del padre con i figli, o addirittura scredita il genitore ai loro occhi, si creano le premesse per un allontanamento affettivo della prole da uno dei genitori.
Un altro atteggiamento, sanzionabile con l’ammonizione di cui al secondo comma, n. 1), dell’art. 709-ter del codice di procedura civile, è quello della madre che, deliberatamente ed ingiustificatamente, ostacola i rapporti tra padre e figlio, alimentandone il conflitto esistente (Tribunale di Firenze, 11 febbraio 2008). Se poi la madre addirittura impedisce i rapporti tra padre e figlio, il giudice, come vedremo, può disporre l’affidamento in via esclusiva al padre.
Quanto all’uscita del padre dalla casa familiare, questo effetto della separazione comporta che molti padri separati si vedano costretti a chiedere ospitalità a parenti e amici, o a ricorrere alla pubblica assistenza, quando non si riducono a vivere ai margini della società.
Per cercare di ovviare alle molteplici difficoltà dei genitori separati, col tempo si sono venute costituendo diverse associazioni (fra queste l’Associazione genitori separati www.genitoriseparati.it e l’Associazione italiana genitori separati www.aiges.org), alcune delle quali con il compito di prestare assistenza psicologica e legale, specificamente, ai padri separati, per aiutarli a superare questa fase traumatica della loro esistenza, anche attraverso la ricerca di una sistemazione abitativa decorosa, necessariamente propedeutica al reinserimento nella vita di relazione: fra queste l’Associazione Padri Separati www.padri.it, il gruppo Sos Padri Separati www.padriseparati.it. e l’Associazione Papà Separati www.papaseparati.it. ‎ Tutte queste organizzazioni sono presenti nelle principali città e i relativi indirizzi e recapiti telefonici sono ricavabili dal rispettivo sito Internet.
In questo Focus passeremo in rassegna, alla luce della più recente giurisprudenza, le fattispecie riguardanti gli aspetti conseguenti alla separazione personale dei coniugi, aspetti sostanzialmente riconducibili all’affidamento dei figli, all’assegnazione della casa familiare e all’assegno di mantenimento, non senza premettere che, nei casi in cui sia possibile farvi luogo, la separazione consensuale è senz’altro preferibile a quella giudiziale: sia perché non vengono resi noti, sia pure a persone tenute al segreto d’ufficio o professionale (giudici e avvocati, ma di regola vengono anche escussi testimoni, che non hanno quest’obbligo), fatti intimi e personali se non vere e proprie meschinità e bassezze, con conseguente, ulteriore inasprimento della tensione fra i coniugi, sia perché è sufficiente un solo avvocato che li assista entrambi (alcuni Tribunali accettano addirittura che il ricorso venga predisposto direttamente dai coniugi); sia, infine, perché si perviene alla sentenza con rapidità: circostanza non riscontrabile nella separazione giudiziale, che può richiedere tempi anche molto lunghi, tutto dipendendo dalle “munizioni” a disposizione dei contendenti e dall’abilità dei difensori (recenti statistiche parlano di una media di 130 giorni per arrivare alla separazione consensuale, contro 998 per definire quella giudiziale).
«La Stampa» del 26 aprile 2010

Quei figli contesi anche nelle convivenze. Sono 150mila i bambini vittime di separazioni e divorzi: 10mila sono nati da unioni di fatto

DA M ILANO D IEGO M OTTA
I
bambini contesi sono un dramma che riguarda an­che le convivenze. In Italia sono 150mila i ragazzi coin­volti nelle vicende di divorzio e separazione dei propri geni­tori: di questi, 10mila sono nati dalle cosiddette coppie di fatto. L’altra faccia di un dramma che troppo facilmente viene nascosto, quello dei «bambini con la valigia», è stato denunciato ieri dall’associazione degli avvocati matrimonialisti i­taliani.
I numeri relativi al 2009 parlano di 160mila nuo­vi separati, 100mila nuovi divorziati e 20mila con­vivenze
more uxorio ,
cioé sotto lo stesso tetto, che sono terminate causa rottura. Complessivamen­te, sono stati 100.252 i figli coinvolti nelle separa­zioni (dei quali 66.406 minorenni) mentre 49.087 sono stati i figli coinvolti nei divorzi (in questo ca­so i minori sono stati 25.495). «Eppure il conflitto tra mamme e papà, anche in casi come questi, do­vrebbe essere l’eccezione e non la regola – osser­va il presidente dell’associazione, l’avvocato Gian Ettore Gassani –. Anche se divisi, i due genitori do­vrebbero continuare a seguire il percorso educa­tivo dei figli nati dalla propria unione. Invece non è così, anzi, va sempre peggio».
I figli sono tutti uguali, si tratti di bimbi nati den­tro il matrimonio oppure no. Identiche dovreb­bero essere le possibilità di diventare grandi in contesti il più possibile sereni, senza scontare e­ventuali errori e responsabilità del mondo degli a­dulti. « Siamo testimoni di situazioni di sempre maggior disagio per chi è vittima di traumi del ge­nere – argomenta Gassani –. E non esistono diffe­renze tra i figli di chi convive e di chi è sposato. An­zi, chi non ha vincoli giuridici da rispettare tende a muoversi, nei confronti dei figli, con ancora mag­giore disinvoltura». Le conseguenze psicologiche e sociali sono le più disparate: si va dai bambini in cura presso gli psicologi a quelli che finiscono per commettere azioni di bullismo. «Ma è il retro­terra
a essere ancora più preoccupante: ormai ci si può separare direttamente online, scaricando un modulo prestampato. Ci si divide in modo clan­destino, o quasi, e a pagarne il prezzo sono bam­bini in molti casi ignari di tutto».
L’istituzione dell’affidamento condiviso, sebbene sia formalmente applicato, su questo punto mo­stra evidenti lacune, poiché anche dopo separa­zioni e divorzi il 70% dei genitori continua a dele­gittimarsi reciprocamente incurante della pre­senza dei figli. «Urgono normative che imponga­no ai genitori comportamenti responsabili che siano finalizzati alla piena tutela degli equilibri dei figli» osserva l’associazione degli avvocati matri­monialisti, che arriva a prevedere «sanzioni effet­tive in ambito penale per chi ostacola il diritto di visita dell’altro genitore o arriva addirittura a pla­giare il minore». Dal punto di vista delle tutele, l’I­talia resta il fanalino di coda in Europa ed ora è ne­cessario, conclude Gassani, « una prova di re­sponsabilità sia da parte di chi deve fare le leggi sia da parte di chi è chiamato a farle rispettare».


© Copyright Avvenire 16 marzo 2010

Una separazione ogni tre matrimoni

di Andrea Maria Candidi e Serena Riselli
Si rassegnino i romantici: la formula del «finché morte non vi separi» sembra non funzionare più e ogni tre matrimoni celebrati uno finisce con una separazione. A dirlo sono i dati più aggiornati a disposizione (quelli del ministero della Giustizia, relativi al primo semestre 2009): quasi 300 coppie sposate ogni mille chiedono la separazione, soprattutto consensuale. E a questa media bisogna aggiungere i 234 divorzi richiesti nel frattempo. Ma qui la crisi era iniziata già da un pezzo.
I dati sulle separazioni presentano forti differenze se si scorre la cartina dell'Italia. Nel Centro-Nord ci si separa di più che al Sud; la regione che fa registrare il tasso maggiore di crisi è il Piemonte (associato alla Valle d'Aosta nella rilevazione) con 418 istanze di separazione ogni mille nozze; mentre i più fedeli risiedono in Basilicata (138 domande ogni mille matrimoni).
Sociologi ed esperti si interrogano sulle cause. La ragione principale è il mutamento della società: «L'idea della separazione è entrata a far parte del senso comune collettivo», spiega Grazia Cesaro dell'Unione nazionale camere minorili. Anche l'emancipazione femminile ha aiutato il processo. «Le donne non hanno più paura di separarsi – aggiunge Bruno Schettini, docente alla Seconda università di Napoli –, hanno più indipendenza economica e meno timore di affrontare la vita senza un compagno». Secondo Marco Albertini, ricercatore in sociologia dei processi culturali presso l'università di Bologna, il trend delle separazioni è dovuto anche al fatto che «in Italia le coppie hanno iniziato a separarsi più tardi rispetto al resto d'Europa. Ci si sposa ancora molto, mentre nel Nord-Europa si preferisce la convivenza».
Mettere fine a un matrimonio, però, non è mai facile. Ci vogliono quattro anni per divorziare, se i coniugi sono d'accordo, che diventano sette se l'intesa non c'è e il percorso diventa giudiziale. Senza considerare i costi di una separazione che, secondo Grazia Cesaro, «porta sempre a un impoverimento, dalla necessità di un'altra casa all'assegno di mantenimento».
Quando la coppia scoppia, la cosa più importante è la tutela dei figli, soprattutto se minori. «Chi si separa dovrebbe per prima cosa tenere conto del bene della prole – dice Laura Laera, presidente dell'Associazione dei giudici della famiglia e minorili (Aimmf) –. Bisognerebbe lavorare per sviluppare una cultura della conciliazione contro quella del conflitto, e le istituzioni dovrebbero farsene carico, anche attraverso strutture di tipo sociale». Per questo, molti pensano che il futuro delle separazioni passi per i centri di mediazione familiare perché, secondo Valeria Riccio, consulente tecnico del Tribunale di Napoli, «il sistema giudiziario da solo non è in grado di affrontare la coppia e la famiglia disfunzionale. Servono centri per le famiglie in difficoltà che abbiano funzioni terapeutiche e di sostegno».
Con la legge 54/06 sull'affido condiviso, il giudice può consigliare (ma non obbligare) le coppie a frequentare un centro di mediazione. Secondo Daniele Marraffa, presidente di sezione al tribunale di Caltanissetta, «sono utili per fornire un primo servizio di assistenza ai minori e alle famiglie. Ma ci sono ancora numerose resistenze di tipo culturale verso questi centri, senza contare che in molti territori mancano le strutture».
C'è chi chiede un intervento del legislatore: «Sarebbe opportuna una legge che preveda l'istituzione di centri di mediazione familiare pubblici o privati – suggerisce Bruno Schettini – e che regoli la figura del mediatore. Esiste già una legge-quadro europea, che però l'Italia non ha ancora sviluppato». Nel frattempo è ancora fermo in Parlamento il Ddl sul divorzio breve (si veda l'articolo a lato). «Oggi le coppie devono affrontare due cause: una per la separazione e una per il divorzio – spiega Bruno De Filippis, giudice presso la Corte d'Appello di Salerno e uno degli ideatori della norma – con un notevole dispendio di tempo e denaro. La nuova normativa vuole semplificare questo processo, rendendolo più veloce». Contrario Daniele Marraffa: «La legge potrebbe avere risvolti negativi per i figli. Per sveltire le pratiche, preferirei aumentare il personale nei tribunali».
«Il Sole 24 Ore» del 15 Febbraio 2010

Pedofilie occulte e amore autentico

Il Papa, potrebbe essere altrimenti? riconosce colpe gravissime e verga, di nuovo, una irrinunciabile linea rossa a sconfinare pedofilia e pedofili lontano dalla Chiesa e dentro carceri e ospedali. Tutti, compresi alcuni organi cattolici, risaltano le parole di Benedetto XVI sulla piaga pedofila, ma ne fanno il fulcro di un discorso nel quale però ha detto molto di più. Si trattava di famiglia e di preparazione al matrimonio dei fidanzati. In una parola: formazione. Essa parte dalla trasmissione della fede ai figli, nella quale "dovrà progressivamente emergere il significato della sessualità come capacità di relazione e positiva energia da integrare nell’amore autentico". Poi la preparazione specifica dei fidanzati che "dovrebbe configurarsi come un itinerario di fede e di vita cristiana, che conduca ad una conoscenza approfondita del mistero di Cristo e della Chiesa, dei significati di grazia e di responsabilità del matrimonio". Infine la preparazione immediata con l'approfondimento del Rito del matrimonio. Il fine di questa lunga preparazione, che si inscrive nella più generale iniziazione cristiana che riguarda ogni battezzato è, secondo il Papa, che la "vocazione dei coniugi diventi una ricchezza per l’intera comunità cristiana e, specialmente nel contesto attuale, una testimonianza missionaria e profetica". La famiglia cristiana è dunque un annuncio profetico. Perchè risponda a questa vocazione è decisiva la formazione. Solo una famiglia adulta nella fede, ancorata nell'amore di Dio, unita profondamente a Cristo, costituisce "l’aiuto più grande che si possa offrire ai bambini. Essi vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, ed hanno bisogno di abitare, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché le figure materna e paterna sono complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità. E’ importante, quindi, che si faccia tutto il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile. A tal fine, occorre esortare i coniugi a non perdere mai di vista le ragioni profonde e la sacramentalità del loro patto coniugale e a rinsaldarlo con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, il dialogo costante, l’accoglienza reciproca ed il perdono vicendevole. Un ambiente familiare non sereno, la divisione della coppia dei genitori, e, in particolare, la separazione con il divorzio non sono senza conseguenze per i bambini, mentre sostenere la famiglia e promuovere il suo vero bene, i suoi diritti, la sua unità e stabilità è il modo migliore per tutelare i diritti e le autentiche esigenze dei minori". La pedofilia è certo deplorata e condannata, ma lo sguardo del Papa, come al solito, vola molto più in alto. Esiste il modo migliore per tutelare le autentiche esigenze dei bambini, che sono loro diritti. La pedofilia non è l'unico problema; c'è qualcosa di più, sottaciuto da chi non riesce a vedere più in là del proprio naso. Occorre chiedersi quali siano le esigenze autentiche dei bambini; il Papa le sintetizza nel bisogno di essere amati "da una madre e da un padre che si amano", e nel bisogno "di abitare, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché le figure materna e paterna sono complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità". La pedofilia, letteralmente amore all'infanzia (greco παῖς, παιδός-bambino e φιλία-amicizia, affetto), si annida, ideologicamente e non patologicamente che è molto più grave, nel divorzio, nelle adozioni da parte delle coppie omosessuali e nella fecondazione artificiale di cui beneficiano. La pedofilia è un reato, il divorzio e il matrimonio omosessuale sono, al contrario, in molti Paesi diritti stabilite per legge. La pedofilia è perseguibile, la Chiesa stessa riconosce gravissime colpe in alcuni dei suoi membri e, come disse il Papa a Sydney, «i responsabili di questi mali devono essere portati davanti alla giustizia». Il divorzio e le unioni gay sono, al contrario, diritti inalienabili, conquiste civili, anche il solo parlarne fa rischiare la galera per omofobia o, nella migliore delle ipotesi, la discriminazione per integralismo. Per non parlare dell'aborto, pedofilia perpetrata ai danni dell'infanzia più indifesa. Che succederebbe a chi, bisturi in mano, massacrasse il corpo di un bimbo di tre anni? Nel regime relativistico che governa il mondo il Papa sottolinea il criterio fondamentale per avvicinarsi alle problematiche dell'infanzia: l'autenticità. Occultando la verità antropologica sulle esigenze dell'uomo, infante o adulto che sia, si rende impossibile ogni attenzione e cura alla persona. Per questo il Papa ci ha detto, in sintesi, che solo la comunità cristiana può aiutare davvero la famiglia, perchè la guida ad essere secondo la volontà di Dio, l'unica che risponda alla verità e agli autentici desideri dell'uomo. La Parola di Dio, i sacramenti, la preghiera, il perdono sono i tesori che la Chiesa comunica ai suoi figli. Solo da essi può scaturire quell'amore autentico alla vita nella sua pienezza che è l'antidoto ad ogni violenza e pedofilia che devastano l'infanzia mutilando l'esistenza intera.

Antonello Iapicca Pbro

Smemorie finiane. Divorzio e memoria. Rileggere Dino Grandi per capire certe passioni da divorzio breve. Rileggere Claretta sulla razza

La prima: da tempo alcuni
parlamentari che furono di An si
battono per il divorzio breve. Tra costoro
Maria Ida Germontani, i cui disegni di
legge sono applauditi dall’associazione
radicale per il divorzio breve. I dati sono
questi: i divorzi crescono ogni anno e con
essi le problematiche connesse
all’equilibrato sviluppo psicologico di
figli che possiedono un solo o più di due
genitori. Quanto a quest’ultimi, secondo il
presidente nazionale dell’Ami,
l’associazione matrimonialisti italiani,
“ogni anno in Italia si separano circa 160
mila persone e centomila sono i nuovi
divorziati. “E’ un fenomeno che riguarda
per lo più operai, impiegati ed insegnanti.
Le separazioni e i divorzi, dati gli
obblighi economici e le spese che
determinano, trasformano questi
lavoratori in veri e propri ‘clochard’”
Secondo l’Ami il 25 per cento degli ospiti
delle mense dei poveri sono separati e
divorziate. Nell’80 per cento dei casi si
tratta di padri separati, obbligati a
mantenere moglie e figli e senza più
risorse per sopravvivere. Molti di questi
dormono in auto e i più fortunati (circa
500 mila) sono tornati nelle loro famiglie
d’origine (fonte Apcom).
Di fronte a questo disastro non sarebbe
meglio, piuttosto che facilitare ancora il
divorzio, puntare su una rinascita del
senso della famiglia, che renda
quantomeno meno frequenti certi
drammi umani? In verità le battaglie
della Germontani rammentano quanto
racconta il vaticanista Benny Lai nel suo
“Il mio Vaticano” (Rubbettino).
All’indomani della consultazione
referendaria sul divorzio del 1974, l’ex
ministro degli Esteri e Guardasigilli
fascista Dino Grandi espresse a Benny
Lai la sua soddisfazione per l’esito,
spiegandogli che si era giunti finalmente
a quello che anche lui e Mussolini
avrebbero voluto, tanti anni prima:
“Mussolini pretendeva che la Santa Sede,
la quale aveva rafforzato la sua stretta
neutralità dopo l’intervento dell’Italia in
guerra, si schierasse a favore delle
potenze dell’Asse. A sua volta Hitler
insisteva, con la sua nota stupidità, che
l’Italia rompesse con la Santa Sede. A
quel tempo… toccava a me provvedere
alla redazione del nuovo codice civile.
Ebbene, ricevetti ordini perentori da
Mussolini di stendere gli articoli relativi
al matrimonio in modo che fossero in
contrasto all’articolo 34 del concordato…
Allora mi ribellai, mi ribellai per ragioni
tattiche”, così che alla fine Mussolini
disse: “Questi preti mi hanno fregato.
Forse tu hai ragione (a dire che non è
questo il momento opportuno, ndr) ma la
prima cosa che farò dopo la guerra sarà
la denuncia del concordato”.
Seconda riflessione: non molto tempo
fa Gianfranco Fini ebbe a spiegare che la
chiesa non aveva fatto abbastanza contro
le leggi razziali del 1938. Un’accusa
singolare. Ancora più singolare vista
l’idea di Fini, ripetuta più volte, sulla
necessità che la chiesa non invada spazi
che non le appartengono. Recentemente
è uscito il diario di Claretta Petacci,
“Mussolini segreto”, a cura di Mauro
Suttora (Rizzoli). Ne consiglio la lettura al
presidente della Camera. Potrà trovarci
ad esempio queste frasi: “8 ottobre 1938.
Mussolini è indignato con Pio XI, che ha
dichiarato ‘spiritualmente siamo tutti
semiti’ e chiede di riconoscere la validità
dei matrimoni religiosi misti tra ebrei e
cattolici. ‘Tu non sai il male che fa questo
Papa alla chiesa. Mai Papa fu tanto
nefasto alla religione come questo. Ci
sono cattolici profondi che lo ripudiano.
Ha perduto quasi tutto il mondo. La
Germania completamente… E lui fa cose
indegne. Come quella di dire che noi
siamo simili ai semiti. Come, li abbiamo
combattuti per secoli, li odiamo, e siamo
come loro. Abbiamo lo stesso sangue! Ah!
Credi, è nefasto’. ‘Adesso sta facendo una
campagna contraria per questa cosa dei
matrimoni. Vorrei vedere che un italiano
si sposasse con un negro… Lui dia pure il
permesso, io non darò mai il consenso…
Ha scontentato tutti i cattolici, fa discorsi
cattivi e sciocchi. Quello dice:
‘Compiangere gli ebrei’, e dice: ‘Io mi
sento simile a loro’… E’ il colmo’”. 10
novembre 1938. Il governo approva il
decreto legge sulla razza che entrerà in
vigore una settimana dopo. Benito ne
parla a Claretta: “‘Oggi abbiamo trattato
la questione degli ebrei. Certamente sua
santità solleverà delle proteste, perché
non riconosceremo i matrimoni misti. Se
la Chiesa vorrà farne, faccia pure’”.
“16 novembre 1938. Nuovo sfogo contro
Pio XI. ‘Ah no! Qui il Vaticano vuole la
rottura. Ed io romperò, se continuano
così. Troncherò ogni rapporto, torno
indietro, distruggo il patto. Sono dei
miserabili ipocriti. Ho proibito i
matrimoni misti, e il Papa mi chiede di
far sposare un italiano con una negra’”.
Per la storia: il Mussolini socialista,
prima di divenire il duce, spiegava che la
chiesa era contro la scienza: scrisse
infiniti articoli su Galilei e Giordano
Bruno, e si dilettò nel confermare il
materialismo di Marx alla luce di Darwin
in un articolo intitolato “Centenario
darwiniano”. Si riteneva molto
scientifico. Infatti volle che il Manifesto
della Razza del 1938 avesse il crisma
della scienza: fu firmato non dai
“pipistrelli” che hanno paura della
scienza, dalle “pallide ombre del
medioevo”, come il giovane Benito
chiamava i sacerdoti, ma da dieci
scienziati-scientisti, tra i più “in”
dell’epoca: antropologi, medici e zoologi.

Francesco Agnoli

Il Foglio 28 gennaio 2010

Divorzio breve: più sofferenze per i figli

di Giacomo Samek Lodovici
Negli
La Commissione Giustizia della Camera ha cominciato a discutere tre proposte di legge che vogliono accelerare il divorzio, accorciando da tre anni ad uno i tempi per ottenerlo a partire dalla separazione, riducendo così i tempi per un ripensamento.
In merito al divorzio ci sarebbero molte considerazioni da fare e molti punti di vista da considerare.
Certamente quello dei coniugi è importante. Pertanto, pur considerando moralmente sbagliato il divorzio dal punto di vista razionale e non solo confessionale (per varie ragioni: cfr. «il Timone», n. 30, febbraio 2004, pp. 36-38, per alcune rapide considerazioni al riguardo), riteniamo purtroppo inevitabile – a volte – la separazione, e la consideriamo – a volte – moralmente giusta, quando cioè dalla convivenza derivano dei danni seri ad uno o ad entrambi i coniugi. Non siamo insensibili alle loro, talvolta, grandi sofferenze (forse tutti conosciamo dolorosi casi di fallimenti matrimoniali).
Tuttavia, il punto di vista dei figli, non solo quando sono piccoli, bensì perlomeno fino all’adolescenza compresa, è più importante e dovrebbe essere preminente, anche perché essi sono i soggetti più deboli.
Ora , il divorzio dei genitori fa sempre soffrire tremendamente i figli, inoltre provoca loro, spesso, anche diversi disturbi psicologici, e non bisogna credere a certe rappresentazioni edulcorate delle famiglie allargate. La divisione dei loro genitori può essere per loro meglio che non continuare a vivere insieme solo nei casi (rari, come documentano le ricerche) in cui il conflitto è molto alto. E, comunque, anche in questi casi la fine della convivenza dei genitori è foriera di sofferenze.
Dunque, le proposte di legge per il divorzio rapido che non tengono conto della presenza di figli trascurano l’importanza del tempo di ripensamento, che in alcuni casi (certamente rari, ma non inesistenti), conduce i coniugi a riappacificarsi, con grande beneficio per i figli.
Ma anche le proposte che vogliono accelerare i tempi solo in assenza di figli sono da rigettare. Infatti, le leggi non si limitano a normare degli stati di fatto, bensì cambiano esse stesse il costume e la mentalità dei popoli. Così, l’impatto pedagogico delle riforme che accorciano i tempi del divorzio è pessimo, perché lo Stato dà un messaggio da cui risulta una banalizzazione ed un indebolimento del matrimonio (come ha scritto persino un quotidiano gauchiste francese come Libération , relativamente alla situazione transalpina). In altri termini, lo Stato, che dovrebbe aiutare le coppie in difficoltà a cercare di restaurare il loro rapporto, con simili leggi invece diffonde l’idea che il matrimonio sia non già un impegno indissolubile, o almeno che deve durare tendenzialmente il maggior tempo possibile, e per la cui riuscita e durata i coniugi si devono impegnare molto e a fondo, bensì un rapporto labile, temporaneo, transitorio, provvisorio, tanto è vero che lo si può interrompere dopo breve tempo e con facilità, un rapporto per il quale dunque non è necessario un impegno speciale, perché tanto si può ricominciare da capo rapidamente.
Ora, questa banalizzazione fa aumentare esponenzialmente i divorzi, come è avvenuto in Spagna. Qui, dal 2004 al 2008, l’aumento prodotto dal cosiddetto «divorzio express» di Zapatero è stato esponenziale: era già del 74,3 % nel 2006 ed è ulteriore salito al 140 % nel 2008 .
Ora – lo ribadiamo –, se crescono i divorzi aumentano le sofferenze dei bambini, documentate da decine di studi. Ma pare che ai «grandi» non interessi nulla o ben poco.
«Il Timone» del 15 gennaio 2010

Il Papa: si consuma il dramma di tanti bambini privati del sostegno dei genitori, vittime del malessere e dell'abbandono, e si diffonde il disordine

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI VESCOVI DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE
(NORDESTE 1 E NORDESTE 4) IN
VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sala del Concistoro
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Venerdì, 25 settembre 2009

Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

Siate i benvenuti! Con grande soddisfazione vi accolgo in questa casa e di tutto cuore auspico che la vostra visita ad limina vi dia il conforto e l'incoraggiamento che vi aspettate. Vi ringrazio per il cordiale saluto che mi avete appena rivolto attraverso monsignor José Antônio Aparecido Tosi Marques, arcivescovo di Fortaleza, testimoniando i sentimenti di affetto e di comunione che uniscono le vostre Chiese particolari alla Sede di Roma e la determinazione con cui avete assunto l'urgente impegno della missione per riaccendere la luce e la grazia di Cristo nei cammini della vita del vostro popolo.

Desidero parlavi oggi del primo di questi cammini: la famiglia basata sul matrimonio, come "alleanza coniugale nella quale l'uomo e la donna si danno e si ricevono" (cfr. Gaudium et spes, n. 48). Istituzione naturale confermata dalla legge divina, la famiglia è ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, che costituisce il suo coronamento (cfr. Ibidem, n. 48). Ponendo in discussione tutto ciò, vi sono forze e voci nella società attuale che sembrano impegnate a demolire la culla naturale della vita umana. I vostri resoconti e i nostri colloqui individuali hanno ripetutamente affrontato questa situazione di assedio alla famiglia, con la vita che esce sconfitta da numerose battaglie; tuttavia è incoraggiante percepire che, nonostante tutte le influenze negative, il popolo dei vostri Regionais Nordeste 1 e Nordeste 4, sostenuto dalla sua caratteristica pietà religiosa e da un profondo senso di solidarietà fraterna, continua a essere aperto al Vangelo della Vita.

Poiché noi sappiamo che solamente da Dio possono provenire quell'immagine e quella somiglianza proprie dell'essere umano (cfr. Gen 1, 27), così come avvenne nella creazione - la generazione e la continuazione della creazione -, con voi e con i vostri fedeli "piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito" (Ef 3, 14-16). Che in ogni focolare domestico il padre e la madre, intimamente rinvigoriti dalla forza dello Spirito Santo, continuino uniti a essere la benedizione di Dio nella propria famiglia, cercando l'eternità del loro amore nelle fonti della grazia affidate alla Chiesa, che è "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Lumen gentium, n. 4)!

Tuttavia, mentre la Chiesa paragona la vita umana con la vita della Santissima Trinità - prima unità di vita nella pluralità delle persone - e non si stanca di insegnare che la famiglia ha il proprio fondamento nel matrimonio e nel piano di Dio, la coscienza diffusa nel mondo secolarizzato vive nell'incertezza più profonda e tale riguardo, soprattutto da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio. L'unico fondamento riconosciuto sembra essere il sentimento, o la soggettività individuale, che si esprime nella volontà di convivere. In questa situazione, diminuisce il numero dei matrimoni, poiché nessuno impegna la propria vita con una premessa tanto fragile e incostante, crescono le unioni di fatto e aumentano i divorzi. In questa fragilità si consuma il dramma di tanti bambini privati del sostegno dei genitori, vittime del malessere e dell'abbandono, e si diffonde il disordine sociale.

La Chiesa non può restare indifferente di fronte alla separazione dei coniugi e al divorzio, di fronte alla rovina delle famiglie e alle conseguenze che il divorzio provoca sui figli. Questi, per essere istruiti ed educati, hanno bisogno di punti di riferimento estremamente precisi e concreti, vale a dire di genitori determinati e certi che, in modo diverso, concorrono alla loro educazione. Ora è questo principio che la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mutevole, che moltiplica i "padri" e le "madri" e fa sì che oggi la maggior parte di coloro che si sentono "orfani" non siano figli senza genitori, ma figli che ne hanno troppi. Questa situazione, con le inevitabili interferenze e l'incrociarsi di rapporti, non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a creare e imprimere nei figli una tipologia alterata di famiglia, assimilabile in un certo senso alla stessa convivenza a causa della sua precarietà.

È ferma convinzione della Chiesa che i problemi che oggi i coniugi incontrano e che debilitano la loro unione, hanno la loro vera soluzione in un ritorno alla solidità della famiglia cristiana, ambito di mutua fiducia, di dono reciproco, di rispetto della libertà e di educazione alla vita sociale. È importante ricordare che, "l'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e l'indissolubilità della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro vita" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1644). In effetti, Gesù ha detto chiaramente: "l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto" (Mc 10, 9), e ha aggiunto: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio" (Mc 10, 11-12). Con tutta la comprensione che la Chiesa può provare dinanzi a simili situazioni, non esistono coniugi di seconda unione, ma solo di prima unione; l'altra è una situazione irregolare e pericolosa, che è necessario risolvere, nella fedeltà a Cristo, trovando con l'aiuto di un sacerdote, un cammino possibile per salvare quanti in essa sono implicati.

Per aiutare le famiglie, vi esorto a proporre loro, con convinzione, le virtù della Santa Famiglia: la preghiera, pietra d'angolo di ogni focolare domestico fedele alla propria identità e alla propria missione; la laboriosità, asse di ogni matrimonio maturo e responsabile; il silenzio, fondamento di ogni attività libera ed efficace. In tal modo, incoraggio i vostri sacerdoti e i centri pastorali delle vostre diocesi ad accompagnare le famiglie, affinché non siano illuse e sedotte da certi stili di vita relativistici, che le produzioni cinematografiche e televisive e altri mezzi di informazione promuovono. Ho fiducia nella testimonianza di quelle famiglie che traggono la loro energia dal sacramento del matrimonio; con esse diviene possibile superare la prova che si presenta, saper perdonare un'offesa, accogliere un figlio che soffre, illuminare la vita dell'altro, anche se debole e disabile, mediante la bellezza dell'amore. È a partire da tali famiglie che si deve ristabilire il tessuto della società.

Questi sono, carissimi fratelli, alcuni pensieri che vi lascio al termine della vostra visita ad limina, ricca di notizie confortanti ma anche piena di trepidazione per la fisionomia che in futuro potrà acquisire la vostra amata nazione. Lavorate con intelligenza e con zelo; non lesinate sforzi nella preparazione di comunità attive e consapevoli della propria fede. In esse si consoliderà la fisionomia della popolazione nordestina secondo l'esempio della Santa Famiglia di Nazareth. Sono questi i miei voti che confermo con la benedizione apostolica che imparto a tutti voi, estendendola alle famiglie cristiane e alle diverse comunità ecclesiali con i loro pastori, e a tutti i fedeli delle vostre amate diocesi.

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Errori nelle statistiche sul divorzio Un nuovo rapporto ne esamina le tendenze

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 6 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Che il divorzio sia un problema diffuso è noto a tutti, ma misurarne in modo esatto i contorni non è un compito facile. È quanto emerge da un rapporto pubblicato il mese scorso dal Vanier Institute of the Family, con sede in Ontario (Canada). Si tratta della terza edizione dello studio, dal titolo "Divorce: Facts, Causes and Consequences".

Nel documento, Anne-Marie Ambert, docente di Sociologia in pensione, prende in considerazione la situazione del Canada e la confronta con quella di altri Paesi. Il modo di dire secondo cui un matrimonio ogni due finisce con il divorzio non è poi così semplice, osserva.

Richiamando un rapporto di Statistics Canada del 2008, la Ambert osserva che la probabilità che le coppie da poco sposate arrivino a divorziare entro il 30° anniversario di matrimonio è del 38% come media nazionale, ma sale al 48,4% se si considera la sola provincia del Québec. Per gli Stati Uniti, invece il dato è del 44%.

Questi dati, tuttavia, contengono qualche sovrapposizione, perché considerano non solo le persone che divorziano per la prima volta, ma anche quelle che pongono fine al secondo o ai successivi matrimoni. Nel 2005, il 16% dei divorzi ha riguardato mariti che avevano già divorziato almeno una volta. Per le donne la percentuale era del 15%.

Questo significa che le coppie che si sposano per la prima volta devono tenere a mente che i tassi di divorzio per loro sono inferiori al 38%, e probabilmente vicini al 33%, secondo la Ambert.

Ulteriori complicazioni emergono quando vengono utilizzati metodi non adeguati di misurazione del divorzio. Talvolta il numero dei divorzi in un anno viene messo in relazione con il numero dei matrimoni celebrati nello stesso periodo. Cosicché, se il numero dei matrimoni diminuisce, come è avvenuto in Canada nell'ultimo decennio, il rapporto tra divorzio e matrimonio risulterà aumentato, anche se il numero dei divorzi rimane invariato.

Un altro approccio fuorviante mette a confronto il tasso di divorzio con quello di matrimonio. In questo senso, se avessimo 2,7 divorzi e 5,4 matrimoni per 1000 persone, allora il tasso di divorzio risulterebbe del 50%. Questo dato non solo è erroneo per lo stesso motivo emerso nel precedente metodo, ma anche perché viene usato per concludere che il 50% di coloro che si sposano finirà per divorziare.

Per la precisione

Il metodo più utilizzato è quello di riferirsi al semplice tasso annuale per ogni 1000 o 100.000 coppie sposate. Nel 2005 questo dato in Canada è stato di 2,2 divorzi per 1000, mentre nel 1990 era di 2,9.

Secondo la Ambert, il modo più preciso per calcolarlo è quello di utilizzare il tasso di separazione totale. Questo considera le coppie che si sposano in un determinato anno e determina quante di queste finiranno con il divorzio entro il 30° anniversario di matrimonio. Il sistema presenta anche dei limiti, essendo una stima basata sul comportamento del divorzio nel periodo precedente.

Inoltre si rendono i paragoni internazionali più difficili, poiché questi richiedono calcoli e registrazioni molto accurati, cosa a cui pochi Paesi provvedono in modo adeguato.

Le linee di tendenza di fondo, peraltro, stanno cambiando. Il divorzio era aumentato notevolmente in Canada dopo che una legge del 1968 ne aveva facilitato l'ottenimento, quintuplicandolo. Successivamente, dopo gli anni Novanta, il tasso di divorzio sia in Canada che negli USA si è ridotto.

Un'altra variabile è l'aumento della convivenza precedente al matrimonio. Sia le coppie che convivono sia i figli di genitori divorziati hanno maggiori probabilità di divorziare a loro volta, e quindi vi è la possibilità che i tassi di divorzio aumentino negli anni futuri.

In un'altra sezione del rapporto, la Ambert considera i fattori che contribuiscono ai divorzi in Canada. In termini di influenza culturale, sostiene che i tassi di divorzio sono avanzati mentre parallelamente progredivano la secolarizzazione e lo spazio concesso alla scelta individuale.

"Per molti, il matrimonio è diventato una scelta individuale piuttosto che un vincolo davanti a Dio e questo cambiamento ha contribuito a diffonderne una natura più temporanea", spiega.

Individualismo

Le legislazioni che hanno reso il divorzio più facile da ottenere hanno condotto a una sua normalizzazione, tanto da diventare socialmente accettato e da perdere il suo carattere riprovevole. Anche la tendenza verso l'individualismo e la maggiore importanza data ai diritti a discapito dei doveri ha giocato il suo ruolo, afferma la Ambert.

La cultura odierna incoraggia le persone ad essere felici e realizzate. Questo si ripercuote anche sul matrimonio, che è visto meno come un istituto incentrato sulle reciproche responsabilità e più come un ambito di ricerca della felicità e di compagnia.

Come conseguenza di queste tendenze, i canadesi e la maggior parte degli occidentali hanno abbassato i propri livelli di tolleranza nei confronti dei matrimoni che non realizzano le loro aspettative personali.

L'autrice esamina anche la recente tendenza alla convivenza, ammettendo di aver creduto che la convivenza precedente al matrimonio consentirebbe di evitare di sposare la persona sbagliata e di esercitarsi le capacità relazionali.

Ma la realtà non è così, osserva. La convivenza rappresenta, soprattutto tra gli uomini, un impegno minore nei confronti del matrimonio e della fedeltà sessuale. Risulta anche una minore motivazione a lavorare per mantenere un rapporto che potrebbe non essere mai stato considerato come un impegno per la vita.

Pertanto, aggiunge la Ambert, non si può dire che la convivenza rappresenti necessariamente una sorta di periodo di prova del matrimonio, e di conseguenza, quando una coppia di fatto decide poi di sposarsi, al matrimonio può ben fare seguito il successivo divorzio.

L'esperienza di un rapporto meno sicuro e talvolta meno fedele si ripercuote sul successivo comportamento nel matrimonio, tanto che tali coppie continuano a vivere il loro matrimonio attraverso la prospettiva dell'insicurezza e del basso livello di impegno propri della loro precedente convivenza, prosegue la Ambert citando alcuni studi.

Un altro fatto, constata, è che le coppie che convivono sono generalmente meno religiose di quelle che si sposano senza precedente convivenza. Esiste una correlazione tra religiosità, e felicità e stabilità nel matrimonio.

Conseguenze

La povertà aumenta la propensione al divorzio e questo a sua volta aumenta la propensione alla povertà, secondo il rapporto. Uno studio citato dalla Ambert mostra che nei due anni successivi a una separazione o un divorzio il 43% delle donne subisce una riduzione delle entrate, rispetto al 15% degli uomini. Anche nei tre anni successivi al divorzio, ad ogni modo, molte donne continuano ad avere un reddito molto più basso di quello che avevano durante il matrimonio.

Il divorzio è anche un forte fattore di rischio per lo sviluppo di problemi comportamentali nei bambini. Sebbene le differenze medie non siano eccessive, ammette la Ambert, i figli di genitori divorziati tendono a soffrire maggiormente di problemi psicologici e a ottenere rendimenti meno buoni a scuola. Questa situazione si riconferma anche nel caso in cui i genitori si siano risposati.

I figli di genitori divorziati tendono inoltre a uscire di casa prima degli altri. Di conseguenza diventa economicamente più difficile proseguire l'istruzione, con la conseguenza di minore qualifica e maggiore disoccupazione.

Mentre la povertà rappresenta un fattore importante nell'impatto negativo del divorzio sui figli, la Ambert spiega che anche se vi fosse una significativa riduzione nella povertà infantile le conseguenze del divorzio e delle famiglie monogenitoriali sui figli non sarebbero eliminate.

La dissoluzione dei matrimoni medio-buoni rappresenta non solo un peso che grava sui figli, ma anche un costo significativo per la società nel suo insieme, conclude la Ambert.

"La Chiesa non può restare indifferente di fronte alla separazione dei coniugi e al divorzio, di fronte alla rovina delle famiglie e alle conseguenze che il divorzio provoca sui figli", ha affermato Benedetto XVI nell'incontro del 25 settembre scorso con alcuni Vescovi del Brasile.

"È ferma convinzione della Chiesa che i problemi che oggi i coniugi incontrano e che debilitano la loro unione, hanno la loro vera soluzione in un ritorno alla solidità della famiglia cristiana, ambito di mutua fiducia, di dono reciproco, di rispetto della libertà e di educazione alla vita sociale", ha raccomandato.

Il Papa ha esortato i Vescovi e i sacerdoti del Brasile a sostenere e incoraggiare le famiglie e, attraverso il rafforzamento della vita familiare, a contribuire alla soluzione dei problemi sociali. Un compito essenziale, ma difficile nelle circostanze odierne.

L’esperienza nega i luoghi comuni sul divorzio. Ma non bisogna dirlo, né documentarlo. Noi ci abbiamo provato, e abbiamo scoperto che...

[Da "il Timone" n. 30, Febbraio 2004]

C’è un luogo comune, dettagliato in tanti altri luoghi comuni, da sfatare: il divorzio fa bene, o addirittura «è» un bene. Al contrario c’è un dato di realtà, sapientemente occultato dalla mentalità dominante, che invece è da recuperare: il matrimonio (inteso come unione duratura fra un uomo e una donna) fa bene, anzi «è» un bene. Gi aiutano, in questa riscoperta di significato, un palo di capitoli del libro di Claudio Rise Il padre, l’assente inaccettabile (San Paolo, pp. 92-95, 134-136), in cui l’autore a sua volta si rifà agli studi documentatissimi di David Popenoe e Maggie Gallagher.

- 1° luogo comune sul divorzio: per ridurre il rischio di divorziare è giusta la convivenza prima del matrimonio. Sbagliato. È stato invece dimostrato che chi convive più facilmente ricorre poi al divorzio. Infatti, con questa sorta di «matrimonio in prova», ci si abitua all’idea che i rapporti e le relazioni tra uomo e donna siano esperienze «a termine», e che quindi possono cessare. Inoltre, l’antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumenta la capacità di rimanere fedeli a quell’impegno.

- 2° luogo comune sul divorzio: quando tra marito e moglie non si va più d’accordo, è meglio divorziare. Non è vero. Recenti ricerche condotte negli Stati Uniti hanno dimostrato che, all’interno di un campione di coppie che negli anni Ottanta avevano dei problemi e dichiaravano di essere infelici, ma hanno ugualmente deciso di portare avanti il loro matrimonio, cinque anni più tardi ben l’86 per cento di loro non solo avevano superato il momento di difficoltà, ma erano motto più felici di prima.

- 3° luogo comune sul divorzio: il divorzio serve a fare esperienza, dagli insuccessi si impara, e i secondi matrimoni vanno meglio del primi. Falso. Il tasso di divorzio nei secondi matrimoni è in realtà motto più elevato che nei primi. Quando viene meno la convinzione dell’indissolubilità, si apre la diga delle «prove a ripetizione», alla ricerca del legame giusto.

- 4 ° luogo comune sul divorzio: il divorzio non ha conseguenze sui figli, che recuperano alla svelta il trauma. È vero il contrario. Il divorzio aumenta nei figli i problemi di rapporto e di relazione con gli altri e tali difficoltà durano a lungo.

- 5° luogo comune sul divorzio: se i genitori non vanno d’accordo, per i figli è meglio che divorzino. Anche questo non è vero. Secondo uno studio americano del 1997, solo il bambino che si trova in famiglie altamente conflittuali trae beneficio dalla rimozione del conflitto che il divorzio «potrebbe» portare. In realtà, nei due terzi di matrimoni che si concludono con il divorzio, il conflitto è medio-basso, e quindi la soluzione migliore e che i genitori, invece di divorziare, continuino a rimanere insieme, affrontando i loro problemi.

- 6° luogo comune sul divorzio: i figli del divorziati, non necessariamente divorziano a loro volta. Anzi, stanno più attenti nelle loro scelte. È falso. I figli del divorziati, quando diventano adulti, hanno un tasso di divorzio nettamente maggiore del figli di famiglie unite. Infatti i bambini imparano da quello che vedono: se i genitori divorziano, la capacità poi di mantenere per tutta la vita un matrimonio unito è stata lesa, o per lo meno e più ardua.

Ecco invece le nove (anche queste laicissime) ragioni per cui sposarsi è un bene, e tenere unito il matrimonio è ancora meglio.

1. Il matrimonio aumenta la sicurezza e l’incolumità personale. Le nozze diminuiscono le probabilità che a donna, e anche l’uomo, diventino vittime di violenza, inclusa a violenza domestica.

2. Gli sposati vivono più a lungo e in modo più sano. Lo si vede chiaramente nella mezza età: 9 su 10 uomini e donne vivi e sposati a 48 anni, arrivano a 65 anni, contro 6 su 10 uomini non sposati e 8 su 10 donne.

3. Il matrimonio aiuta i figli. Nel matrimonio i bambini crescono più sani, vivono più a lungo e tendono a rimanere fuori dal guai se i genitori, oltre che essere sposati, rimangono uniti.

4. Chi è sposato guadagna di più e diventa più ricco. Una vasta letteratura scientifica dimostra che, soprattutto per gli uomini, il matrimonio è altamente produttivo. Inoltre, chi è sposato amministra meglio il denaro e accumula maggior ricchezza di chi vive da solo.

5. Chi è sposato è più fedele. Gli uomini che hanno scelto Ia convivenza rispetto alle nozze sono quattro volte più infedeli del mariti, e le donne conviventi tradiscono otto volte più che le mogli.

6. Il matrimonio fa bene alla salute mentale. Uomini e donne sposati sono meno depressi, meno ansiosi e meno psicologicamente stressati del non sposati, divorziati o vedovi.

7. Si vive meglio. Nell’insieme, il 40 per cento delle coppie sposate si dichiara «molto felice della vita», affermazione sottoscritta solo da un quarto (il 25 per cento) del non sposati o del conviventi.

8. I figli sono più legati ai genitori. I figli adulti di matrimoni stabili, sfuggiti alla tentazione del divorzio, mantengono con i loro genitori contatti più regolari di quanto facciano i figli dei divorziati (o di coppie conviventi), che spesso sono letteralmente abbandonati e dimenticati, soprattutto se i loro genitori convolano a nuove nozze e fanno altri figli. Ed è più probabile che i figli di coppie stabili a loro volta scelgano nozze stabili.

9. La sessualità è migliore, e più frequente. Sia i mariti che le mogli che vivono un’unione duratura, affermano di avere una vita sessuale estremamente soddisfacente, più di quanto dichiarino coloro che non sono sposati o convivono.

I numeri che fanno pensare

Dai più recenti dati statistici Istat sul decennio 1991-2001 una conferma dei (preoccupanti) cambiamenti in atto. Il numero medio di componenti per ogni nucleo familiare è diminuito da 2,8 a 2,6. Una famiglia so quattro è formata da una sola persona. Nel 1991 invece le famiglie «mononucleari», erano una su cinque.

Le coppie di fatto sono il 3,6 per cento, nel 1991 erano l’1,6.

Dall’Annuario Statistico Italiano 2003, emergono poi altri dati dl notevole interesse.

Il numero totale dei matrimoni è diminuito da 276.570 del 1998 a 265.635 del 2002, e il numero del matrimoni religiosi è passato da 217.492 (78,6 per cento) a 190.879 (71,9 per cento), mentre le nozze civili sono passate da 59.078 nel 1998 a 74.756 (dal 21,4 al 28,1 per cento).

Tra il 1997 e il 2001 il trend dei divorzi è in costante crescita, passando da un totale dl 33.342 a 40.051. Da notare che, in pratica, c’è un divorzio ogni dieci matrimoni civili e uno ogni sei religiosi.

Così i mass media falsano l’immagine della famiglia

Intervista a Piermarco Aroldi (Avvenire 23 novembre 2007)
Così i mass media falsano l’immagine della famiglia

di Massimo Iondini

«I media, soprattutto la televisione, sono ormai diventati un luogo di conflitto, un moderno campo di battaglia in cui ci si contende l’affermazione di diverse immagini o idee di famiglia e di socialità. E la dialettica tra rappresentazione e rappresentanza può così talvolta tradursi in crisi di fiducia nei processi stessi di mediazione, generando per esempio sospetto nei confronti di parte dell’informazione».

Sono alcune sostanziali conclusioni a cui è giunta la ricerca Discorsi di famiglia, condotta dall’Osservatorio sulla comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che verrà presentata nel corso dell’incontro organizzato per oggi a Roma dal Forum delle Associazioni familiari (vedi box). Ad anticiparne i contenuti è il vicedirettore dell’Osservatorio e curatore della ricerca, Piermarco Aroldi.

Professore, la ricerca afferma in sostanza che l’immagine che la televisione dà della famiglia è spesso artefatta, falsa. Un prezzo da pagare alla inevitabile spettacolarizzazione insita nel piccolo schermo?
In parte sì, ma questo vale per tutti i media. Nel senso che, come affermava anche Alessandro Manzoni alla fine dei «Promessi sposi» dicendo che la narrazione dei fatti si fermava lì perché Renzo e Lucia da quel momento avrebbero vissuto felici e contenti, è sempre oggetto di narrazione ciò che sconvolge la normale quotidianità. Il tran tran non può interessare narrativamente. Ma un conto è raccontare una storia, come fa per esempio il cinema, altro conto è affermare di rappresentare la realtà. Come avviene in tivù in molti reality show e nel cosiddetto infotainment ovvero in quei contenitori pomeridiani in cui si mescolano confusamente attualità e intrattenimento.

A questo punto a che paradossi si può arrivare?
Il classico paradosso è che, riguardo all’immagine di famiglia, il massimo di visibilità sociale è spesso garantito a posizioni minoritarie. Mentre, viceversa, ciò che ha ampia corrispondenza nella effettiva realtà risulta mortificato. Come è successo con il Family day.

Com’è stata condotta la ricerca?
Attraverso una ricognizione sul web per analizzare la presenza di siti Internet direttamente gestiti da famiglie e mediante interviste a sceneggiatori e produttori di fiction, a pubblicitari, a giornalisti della carta stampata e a rappresentanti delle associazioni familiari aderenti al Forum.

Cosa è emerso nelle diverse realtà mediatiche e nelle "categorie" interpellate?
Anzitutto colpisce la scarsa presenza delle famiglie sulla Rete. Eppure Internet, per sua natura, è quanto di più omologo alla realtà familiare, perché non mediato da altri soggetti della comunicazione. Non c’è alcun filtro. Ciononostante le famiglie lo ignorano quasi completamente. Forse perché è ancora una novità ed è percepito come difficile da gestire. Per le associazioni familiari sarebbe invece davvero una nuova frontiera da esplorare, vista la richiesta di maggiore rappresentanza e una certa diffidenza nei confronti di giornali e tivù.

Perché non ci si fida più dei tradizionali mass media?
Perché, soprattutto negli ultimi anni, si sono in gran parte giocati la credibilità di cui godevano.

Si punta unicamente sul sensazionalismo e su ciò che è trasgressivo?
È il registro dominante. Come per la fiction, la cui regola è raccontare una storia con una struttura drammaturgica: stato di equilibrio di partenza, arrivo della crisi e suo superamento, in un modo o nell’altro. La famiglia, insomma, deve sempre andare in crisi.

Ed è qui che si vien meno a una più autentica rappresentazione delle realtà familiari?
Sì, perché la regola di fondo è diventata: va dove ti porta il cuore. Prevale un’etica debole dell’inclusione. Insomma, basta volersi bene. Domina un ideale individualista. Che è il contrario dell’essenza stessa della famiglia.

Ma al riguardo ci sono alcune differenze tra le varie reti televisive?
Semplificando molto, potremmo dire che le famiglie, per così dire tradizionali, raccontate dalle fiction di Raiuno e Canale5 si assomigliano tra loro. Ma sono molto diverse, per esempio, da quelle raccontate dalle fiction di Raidue e Italia1.

Ancora più diverse risultano poi le famiglie rappresentate su altre reti...
Certo, basti pensare a quale famiglia, gli Osbourne per esempio, ha spazio in un canale giovanile come Mtv per riconoscere il peso dell’emittente nel definire il sistema di valori che regge l’intera narrazione.

Ma è così vincolante la linea editoriale?
Non sempre. Si pensi, per quanto riguarda Raiuno, la cosiddetta "rete delle famiglie", a due recenti fiction come Il padre delle spose e Mio figlio che hanno trattato il tema dell’omosessualità in contesti familiari. Se è per questo, ci sono regole più ferree per i pubblicitari che per i produttori di fiction.

In che senso?
Per la pubblicità la famiglia è fondamentalmente un pretesto di organizzazione di una situazione di consumo in funzione del prodotto e del target. Può sembrare paradossale, ma la famiglia della pubblicità è, come modello, fortemente conservatrice. La pubblicità, infatti, non può permettersi di rischiare. Così, se si vuole fare un spot un po’ trasgressivo, la famiglia viene solitamente sostituita da una coppia giovane.

Poche regole d’oro in un processo di mediazione sempre più complesso. Ma come si rapporta il pubblico con questa multiforme realtà?
I telespettatori hanno ormai sempre più un rapporto ludico con la televisione. E questo attenua i rischi di certe distorsioni. Resta il fatto che i mass media sono una risorsa fondamentale della società. Perciò educare i giovani all’uso di questi beni è oggi ancor più essenziale.

GB, il crollo delle famiglie radice del disagio Pubblichiamo la sintesi del rapporto sullo stato della nazione sul crollo della famiglia

Pubblichiamo la sintesi del rapporto intitolato State of the Nation Report of the Family Breakdown Working Group (Rapporto sullo stato della nazione del gruppo di lavoro sul crollo della famiglia) elaborato dal Social Justice Policy Group del Partito conservatore britannico. Il rapporto completo si trova all’indirizzo www.povertydebate.com

La famiglia è il luogo in cui la maggior parte di noi impara le capacità fondamentali per la vita; fisicamente, emotivamente e socialmente, è il contesto dal quale scaturisce tutto il resto della vita. Tuttavia, la vita familiare in Gran Bretagna sta cambiando a tal punto che oggi gli adulti e i bambini si trovano a dover affrontare sempre di più le sfide di famiglie non funzionali, spaccate o senza padre. Ciò si verifica soprattutto nelle classi sociali più svantaggiate, ma questa tendenza sta influenzando profondamente persone provenienti da ogni strato della società. In questo rapporto abbiamo cercato di esplorare lo stato attuale della famiglia e il grado, le conseguenze e le cause del crollo della famiglia.

Presentazione del contesto

Abbiamo deciso di adottare il termine "crollo della famiglia" nel suo senso più ampio per esprimere tre concetti chiave: dissoluzione, malfunzionamento e "assenza del padre". Il nostro interesse non si limita a ciò che succede quando i genitori si separano o divorziano, in parte perché il numero di quelli che vengono chiamati nuclei monopartentali (in genere formati solo dalla madre) sta aumentando in modo significativo in questo paese. Il 15% di tutti i bambini nasce e cresce senza la presenza stabile del padre biologico.

Il dibattito sul crollo della famiglia è fortemente contestato e la politica sociale lo ritiene un argomento problematico da trattare. A prima vista l’intenzione delle politiche di sostenere tutti i tipi di famiglia può sembrare lodevole, tuttavia ignora il fatto che alcuni tipi di famiglia, rispetto ad altri, portano mediamente a risultati migliori per i bambini e gli adulti.

Rifiutiamo l’idea comoda secondo la quale le politiche possono o dovrebbero essere moralmente neutrali perché ciò è impossibile da attuare concretamente. Benché si debba evitare di fare i moralisti (nel senso peggiore del termine), le relazioni impegnate sono essenziali per il corretto funzionamento di famiglia, comunità e stato, e le famiglie fondate su questo tipo di relazioni dovrebbero quindi essere incoraggiate. La comunità dei legislatori (che comprende i politici, i legislatori e gli accademici) è stata piuttosto riluttante ad affrontare lo scottante argomento del crollo della famiglia presentando in modo chiaro i benefici del matrimonio e delle relazioni impegnate, e i meriti del sostegno e dell’incoraggiamento di queste forme. Negli ultimi quarant’anni si sono verificati cambiamenti demografici che hanno influenzato profondamente tutta la nostra società, eppure non esiste alcun dibattito significativo relativo alle cause, agli effetti o ai possibili rimedi.

Uno dei fattori più importanti implicati nella povertà e nello scarso senso di benessere è la questione del crollo della famiglia, eppure in questo ambito, forse più che in altri, i politici, i legislatori e gli accademici, tra l’altro, sono consapevoli della propria fragilità. Molte delle loro famiglie hanno dovuto affrontare la dissoluzione e altre forme di spaccatura, e proprio per questa ragione non hanno nessuna intenzione di agire da moralisti. Inoltre sono riluttanti a sostenere un’istituzione che forse con loro non ha funzionato, sia perché i loro genitori si sono separati, oppure perché i loro stessi matrimoni e relazioni hanno vacillato. Tuttavia un simile argomento non può essere ignorato, soprattutto quando i costi che ne derivano, per tutte le misure del caso, sono così elevati. Riteniamo che le difficoltà personali nell’affrontare relazioni impegnate o la vicinanza a casi di separazione familiare nelle vite di parenti, amici o colleghi abbia offuscato le considerazioni politiche per troppo tempo. Per questa ragione chiediamo ai lettori di questo rapporto di lasciare da parte la loro esperienza personale e considerare questo caso, basato sulle prove, che vogliamo presentare per cercare di affrontare la sfida del crollo della famiglia. La parte introduttiva stabilisce fin dall’inizio che i rapporti tra adulti devono essere considerati fondamentali dalle politiche familiari, e non un interesse solo marginale come avviene attualmente. Ciò non significa che la preoccupazione per il benessere dei bambini debba essere estromesso dall’agenda, ma il benessere dei bambini è strettamente collegato alla qualità dei rapporti tra i loro genitori, e spesso sono la parte più vulnerabile quando le famiglie si separano. Le attuali politiche incentrate sui bambini che non danno un peso adeguato a questo fattore, non raggiungeranno lo scopo di aiutare i bambini, né la famiglia allargata, né in generale la società. Quindi cercheremo di scoprire come costruire politiche realmente incentrate sulla famiglia che avranno l’obiettivo di garantire una maggiore stabilità e rapporti più saldi.

La famiglia nella Gran Bretagna di oggi

Il crollo della famiglia, in tutte le sue forme, è un fenomeno che si sta ampliando molto più velocemente di quanto non fosse mai successo in precedenza. La stabilità familiare è andata diminuendo costantemente per quattro decenni, ed è per questo motivo che abbiamo sentito il bisogno di osservare più da vicino le cause e le conseguenze di questa tendenza della società.

Cambiamenti demografici
Fin dagli inizi degli anni Settanta si è verificato un declino del numero di matrimoni (al punto che il numero annuo di coppie che si sposano è diminuito di un terzo e il tasso di matrimoni è diminuito di due terzi), e un significativo aumento nel numero di famiglie monoparentali. Tuttavia il tasso di divorzi si è stabilizzato dal 1980, e il continuo aumento del numero di famiglie che crollano andando a colpire i bambini, è dovuto alla dissoluzione di coppie conviventi. La maggior parte di queste coppie è meno stabile rispetto ai matrimoni, in quanto sono doppiamente più soggette alla separazione.

Cicli ripetuti di separazioni
I nostri tassi elevati di gravidanze in età adolescenziale indicano una trasmissione inter-generazionale del fenomeno del crollo della famiglia. Le ragazze che provengono da famiglie senza padre o separate, e le cui madri hanno partorito in età precoce, sono fin troppo ampiamente rappresentate nelle statistiche sulle gravidanze adolescenziali, così come le ragazze appartenenti alla V classe sociale. Queste ultime hanno una probabilità dieci volte maggiore di diventare giovani madri rispetto alle ragazze della I classe sociale, e saranno in genere soggette a difficoltà finanziarie continue nel corso della loro vita. Inoltre il crollo della famiglia, sotto forma di abusi, abbandono o carenza di cure, dà vita a un ciclo di difficoltà psicologiche in cui gli individui "danneggiati" continuano a formare famiglie non funzionali, soggette in seguito a ulteriori crolli.

Variazioni tra gruppi etnici e confini nazionali
È chiaro che esiste una notevole differenziazione su base etnica del fenomeno del crollo della famiglia. Nel 2001 l’85% delle famiglie indiane con figli a carico era guidata da una coppia sposata, mentre il 50-60% di famiglie nere era guidata da un genitore singolo, generalmente la madre. Quando si considerano le variazioni tra gli stati occidentali, i nostri ridotti tassi di matrimonio e l’età avanzata delle coppie che si sposano sembrano essere elementi tipici, ma la regola secondo la quale il matrimonio è il luogo convenzionalmente più adatto per mettere al mondo i figli sembra essere meno forte. La tendenza verso nuclei familiari monoparentali guidati da una madre single, e gravidanze in età adolescenziale sono fenomeni molto più frequenti in Gran Bretagna rispetto agli altri paesi europei.

Il divario tra le aspirazioni e il successo
Nonostante le tendenze statistiche, le aspirazioni per quanto riguarda il matrimonio rimangono molto alte. Sondaggi condotti in Gran Bretagna indicano un numero elevato di adulti (quasi il 70%) e di giovani (oltre l’80%) che desiderano sposarsi in un futuro (e rimanere con un solo partner per tutta la vita). Tra i giovani esiste una evidente possibilità che il significativo divario tra le aspirazioni e il successo si ampli ulteriormente, se le tendenze attuali rimarranno inalterate.


Le conseguenze del crollo della famiglia

Il crollo della famiglia, sia per dissoluzione, disfunzione o assenza del padre, presenta molti effetti diversi, solo pochi dei quali hanno un esito positivo per gli individui, la cerchia familiare e la società in generale. All’interno di un gruppo rappresentativo composto da 2.447 individui britannici sui quali è stato condotto un sondaggio da YouGov per questo gruppo politico, i problemi sociali si sono rivelati più evidenti tra coloro che avevano avuto un’esperienza diretta di crollo della famiglia. Era molto più probabile che chi non era stato allevato da entrambi i genitori avesse dovuto affrontare problemi educativi, dipendenza dalla droga, problemi con l’alcol, seri debiti finanziari o disoccupazione. Da solo questo sondaggio dimostra la correlazione piuttosto che la causa. Tuttavia ci presenta una valida indicazione della gamma di problemi tipicamente associati al crollo della famiglia.

Famiglie non funzionali
Con il concetto di disfunzionalità abbiamo identificato una carenza delle cure all’interno di molte famiglie, al punto che un numero sempre maggiore non è in grado di soddisfare alcuni bisogni essenziali della prole: legame sicuro, protezione, limiti realistici e autocontrollo, libertà di espressione di emozioni valide, autonomia, competenza e senso di identità, spontaneità e gioco. Gli esperti di educazione che abbiamo consultato hanno sottolineato il notevole aumento di problemi emotivi estremi che si riscontrano nei bambini affidati alle loro cure, citando come cause principali separazioni familiari, cura e educazione inadeguate e privazione sociale.

Povertà e dipendenza dallo stato sociale
Il fallimento nella creazione di un legame durevole tra una madre e un padre spesso porta alla dipendenza dallo stato sociale. Il rapporto mette in luce fino a che punto le famiglie arrivano a soffrire sotto l’aspetto finanziario dopo la separazione. L’assenza del padre provoca effetti negativi non solo sui bambini, ma anche sugli uomini che non hanno mai beneficiato di un rapporto con i loro figli, sulle donne che devono far quadrare il bilancio, per la maggior parte, da sole, e sulla società in senso più ampio, che deve sostenere il costo economico. Il crollo della famiglia contribuisce ed è contemporaneamente anche una conseguenza della povertà e di gran parte dei problemi sociali.

L’Institute for Social and Economic Research (Istituto per la ricerca sociale ed economica) afferma che dopo una separazione coniugale, le donne sono in media del 18% più povere, e gli uomini sono in media del 2% più ricchi. Ciò implica che lo stato si addossa una gran parte del fardello economico legato al crollo della famiglia. I governi che si sono succeduti non hanno preso adeguatamente in considerazione la reale possibilità che molte separazioni possono essere evitabili e che vale la pena di provare a salvare molti matrimoni e convivenze dal punto di vista finanziario ed emotivo.

Delinquenza e criminalità
L’impatto sulla criminalità è evidenziato dal fatto che il 70% dei giovani criminali proviene da famiglie monoparentali, e che i livelli di comportamenti antisociali e la delinquenza in genere sono superiori nei figli di famiglie separate rispetto ai figli di famiglie intatte. Un terzo dei carcerati e più della metà dei giovani delinquenti ha avuto a che fare con i servizi sociali (e ha pertanto avuto una qualche esperienza di crollo della famiglia).

Impatto sugli anziani
Anche la cura degli anziani è compromessa, non solo a causa della maggiore complessità dei rapporti familiari (con doveri di cura alquanto confusi), ma anche a causa della modifica dell’ethos dei rapporti. In una società caratterizzata da elevati livelli di separazione, prendersi cura dei genitori anziani o dei parenti più stretti non è più considerato un dovere morale; le cure e l’aiuto fornito dipendono dalla qualità del rapporto. Il peso dell’assistenza viene scaricato sempre più sullo stato e questa tendenza continuerà a rafforzarsi a causa dell’invecchiamento della popolazione. (La stima del Local Government Association [Associazione del governo locale] prevede che tra il 2002-3 e il 2005-6 i soli cambiamenti demografici porteranno ad un aumento di 146 milioni di sterline delle spese necessarie per garantire i servizi a quelli che vengono classificati come "adulti e anziani").

Costi sullo stato
Il crollo della famiglia rappresenta un peso economico notevole. Il costo per lo stato oggi supera ampiamente i 20 miliardi di sterline l’anno, la maggior parte dei quali vengono spesi per le sovvenzioni ai genitori single. Se ci fossero meno separazioni familiari e meno nuclei monoparentali, ci sarebbero meno bambini da prendere in carico, meno persone senza casa, meno dipendenza dalla droga, meno criminalità, meno domande per i servizi sanitari, meno bisogno di insegnanti di sostegno nelle scuole, migliori risultati medi nell’ambito educativo e meno disoccupazione. Tutto ciò farebbe risparmiare denaro ai contribuenti e alcuni degli aspetti sopraelencati contribuirebbero addirittura a una migliore performance economica dello stato in generale.

Effetti sugli alloggi
Le riserve di alloggi sono state messe sotto forte pressione poiché sono aumentate solo di un terzo dal 1971. Nel corso dello stesso periodo la frequenza di separazioni e il numero di nuclei monoparentali sono aumentati notevolmente, generando un numero sempre maggiore di nuclei separati che necessitano di una propria abitazione. Per i genitori obbligati a lasciare la casa di famiglia il futuro è spesso incerto ed è difficile ottenere un sostegno ufficiale. Nel contempo esiste il timore che le case popolari vengano sfruttate in modo poco efficiente a causa della diminuzione del numero di adulti in una proprietà in seguito al divorzio. Gli alloggi dovrebbero favorire un contatto positivo con il genitore in seguito alla separazione, ma è difficile giustificare l’assegnazione di un’abitazione con più camere che viene usata appieno soltanto una notte a settimana.

Nonostante tali considerazioni pratiche, non intendiamo affermare che le famiglie dovrebbero rimanere insieme solo per non aggravare il problema degli alloggi o del costo economico. Intendiamo piuttosto rilevare, qui e altrove, che chi è colpito dal crollo della famiglia, è spesso una persona appartenente ai segmenti più poveri della società.

Le cause del crollo della famiglia

I fattori che portano al crollo della famiglia sono diversi e complessi. Esistono a livello personale e familiare, e sono influenzati da un’ampia gamma di fattori esterni e sociali. Molti dei problemi sociali che portano al crollo della famiglia sono inoltre esacerbati da esso, come abbiamo già notato in precedenza.

Struttura familiare e processo familiare
Dalla ricerca risulta evidente che la gamma di problemi familiari non è così ampia da rendere le soluzioni politiche un obiettivo irrealistico. Abbiamo concluso, sulla base di numerose prove, che sia la struttura familiare sia il processo familiare sono profondamente coinvolti. Le statistiche indicano che i matrimoni garantiscono un ambiente notevolmente più stabile per i bambini e per gli adulti rispetto alle convivenze, e resistono molto meglio nei momenti di crisi o quando nella famiglia si verifica un evento che provoca tensione, come ad esempio una gravidanza. Altrettanto importante è la conclusione che il processo familiare è importante, e che le famiglie funzionano al meglio e possono prosperare quando ci sono pochi conflitti. Di fatto la gestione dei conflitti all’interno dei nuclei familiari deve essere un punto chiave per le politiche pubbliche, così come il fattore chiave del benessere dei bambini è il livello di conflitto tra i suoi genitori e non il livello di felicità nel rapporto tra di essi.

Il ruolo della povertà
Le ricerche e i dati aneddotici evidenziano il livello di stress causato nella vita delle famiglie dalle preoccupazioni familiari e dai debiti. Possiamo citare una ricerca condotta su famiglie a basso reddito in cui si riconosce che: "oltre allo stress costante di riuscire ad arrivare alla fine del mese e di dover affrontare lavori precari e sotto-pagati, [i genitori] subiscono la frustrazione di vivere in alloggi al di sotto degli standard, in quartieri mal serviti, senza mezzi di trasporto adeguati, e di vivere con il costante timore della criminalità e della violenza per se stessi e per i figli. In alcuni casi parenti più o meno prossimi lottano con la depressione, l’alcolismo o l’abuso di droghe, l’HIV o l’AIDS, oppure entrano ed escono di prigione, o vivono una combinazione di questi problemi. La violenza domestica è molto più frequente... I neri e altre minoranze etniche sono costantemente esposti sul luogo di lavoro o per strada a episodi di razzismo e discriminazione. Gli assistenti sociali che operano con queste persone notano che spesso lo stress accumulato esplode tra le mura di casa, e la rabbia e la frustrazione troppo spesso avvelenano il rapporto tra genitori e figli".

Alloggi scadenti come fattore che contribuisce alle separazioni familiari
Allo stesso modo, in questa parte prendiamo in considerazione l’effetto sulla stabilità familiare degli alloggi scadenti o inadeguati, e concludiamo che una certa politica degli alloggi può causare, o quantomeno accelerare, inavvertitamente il crollo della famiglia, se questa si trova a vivere lontano dai parenti o da una rete di sostegno locale. Inoltre riteniamo che le famiglie che non hanno molte possibilità di scelta, per quanto riguarda il luogo in cui vivono, si trovano in una situazione particolarmente svantaggiata. Si sentono poste sotto pressione dall’impossibilità di modellare lo spazio in cui vivono, di cambiarlo o modificarlo secondo i bisogni dei membri della famiglia nel corso del tempo. L’associazione Charity che si occupa di questo problema ci ha spiegato che "l’alloggio non deve essere considerato semplicemente uno spazio fisico, ma piuttosto ciò che ci fornisce "radici, identità, sicurezza, senso di appartenenza e un luogo di benessere emotivo", e l’impatto sulle famiglie di un alloggio inadeguato deve essere considerato da questi molteplici punti di vista".

Fattori lavorativi
La presenza o l’assenza di un impiego adeguato è un altro fattore importante che influenza la formazione e la stabilità della famiglia. La ricerca indica che esiste una relazione tra il numero di nuclei familiari monoparentali in una particolare area geografica e le scarse opportunità di lavoro per gli uomini. Le opportunità di lavoro sembrano giocare un ruolo rilevante nella presenza di uomini adatti al matrimonio.

Tasse e agevolazioni
A ciò si collega quella che viene definita "penalizzazione della convivenza", che lo stato sociale impone alle coppie povere. L’Institute for Fiscal Studies (Istituto di studi fiscali) ha mostrato che le famiglie con redditi modesti rischierebbero di soffrire di una forte penalizzazione finanziaria se i genitori vivessero apertamente insieme. I crediti d’imposta sono valutati in base al reddito congiunto della famiglia, e non prevedono alcuno sconto per le spese di un adulto aggiuntivo. Inoltre la proporzione di reddito netto derivata dal sostegno temporaneo per il mantenimento dei figli è aumentata nel corso degli ultimi 30 anni. Tale sostegno ora fornisce circa il 30% del reddito netto di una famiglia monoparentale media, rispetto a meno del 10% per una famiglia formata da due genitori con bambini.

Ovviamente esistono economie di scala associate alla vita insieme di una coppia, ma queste possono essere inferiori rispetto alla penalizzazione in termini di crediti d’imposta. Siamo preoccupati dall’ingiustizia intrinseca di questo sistema. Si tratta in realtà di una tassa altamente regressiva che danneggia i poveri, ma non coloro i quali hanno un reddito abbastanza elevato da non essere condizionato dalle agevolazioni dello stato sociale. Negli strati più poveri della società questo può interagire con i fattori lavorativi di cui abbiamo già parlato, andando a sfavorire il matrimonio e rendendo queste e altre convivenze ancora più instabili.

Poiché circa la metà dei bambini poveri vive in famiglie con coppie di genitori, una politica che penalizza le coppie povere non consentirà a nessun partito di raggiungere l’obiettivo di ridurre la povertà infantile. Inoltre l’attuale sistema incoraggia la frode, penalizza l’impegno nei rapporti e ha portato i ricercatori a concludere che i sistema di tasse e agevolazioni è stato di fatto un fattore significativo per la dissoluzione e la diffusione di nuclei familiari monoparentali. Abbiamo trovato la prova di un divario sempre maggiore tra il comportamento della classe media e della classe operaia per quanto riguarda la formazione della famiglia, poiché quest’ultima ha fatto registrare l’aumento più evidente delle nascite al di fuori del matrimonio dal 1960. Si è verificato un cambiamento delle norme sociali che è stato influenzato in misura non ridotta dalla creazione di uno stato sociale molto ampio, che ha fornito il sostegno da parte del governo alle madri single.

Il dilemma per la politica
Ovviamente tutto ciò pone un dilemma fondamentale per la politica: come può il governo promuovere la stabilità familiare senza insidiare i nuclei familiari monoparentali e, viceversa, come può il governo sostenere i genitori single senza insidiare la stabilità familiare? Questo rapporto del gruppo di lavoro non intende in alcun modo stigmatizzare i genitori single che affrontano un compito estremamente difficile, in genere avendo a disposizione troppe poche risorse rispetto alle famiglie con due genitori. Come afferma il National Council for One Parent Families (Consiglio nazionale per le famiglie monoparentali): "l’essere un genitore single è raramente una scelta di vita". Tuttavia non si può ignorare che la stabilità familiare è stata quasi completamente ignorata come conseguenza dell’attenzione concentrata sul sostegno ai genitori single.

Il sistema legale
Anche il sistema legale, benché inavvertitamente, è stato un ulteriore fattore che ha contribuito al declino della stabilità familiare. Uno studio che ha analizzato il tasso di divorzi, suggerisce che in 18 stati europei l’effetto combinato di tutte le riforme legali ha contribuito per il 20% all’aumento del numero di divorzi tra il 1960 e il 2002. Attualmente sono in fase di studio le raccomandazioni della Commissione legislativa per l’estensione dei diritti alle coppie conviventi. La nostra ricerca indica che tali proposte molto probabilmente incoraggeranno le coppie a convivere, e quindi a dare vita a rapporti più instabili. Noi sosteniamo la richiesta di molti altri consulenti di educare le coppie conviventi, facendo conoscere loro la precarietà delle basi legali su cui si fonda al momento il loro rapporto, invece di risolvere i problemi al posto loro nel modo che è stato suggerito.

Per questo dibattito è fondamentale la prova inconfutabile che la separazione delle coppie conviventi è la principale spinta per la creazione di nuclei monoparentali in Gran Bretagna (vedi B4). Circa la metà dei genitori conviventi si separa prima del quinto compleanno del figlio, rispetto a una coppia di genitori sposati ogni dodici. Tre quarti dei crolli delle famiglie che coinvolgono bambini piccoli oggi riguardano genitori non sposati. Un nuovo studio, commissionato per questo gruppo politico, ha analizzato il crollo delle famiglie nell’ambito del Millennium Cohort Study su 15.000 madri con figli di 3 anni. I genitori conviventi con bambini piccoli avevano più del doppio delle probabilità di separarsi rispetto ai genitori sposati, indipendentemente da età, reddito e altri fattori socio-economici di base. Infine, molti di questi fattori si tramandano di generazione in generazione, e ciò significa che questi problemi sono oggi profondamente radicati e a lungo termine.


Direzioni di politica

Questo rapporto stabilisce una linea di partenza che indica il percorso auspicabile delle raccomandazioni di politica che presenteremo nel giugno 2007.

Noi crediamo che sulla base delle prove raccolte e presentate nel rapporto completo allegato a questa sintesi, non si possa fare a meno di riconoscere che il crollo della famiglia, in qualunque sua forma, sia una preoccupazione seria per la società in generale, oltre che per gli individui che vengono colpiti personalmente. Per questa ragione riteniamo di dover analizzare a fondo le forme possibili delle politiche centrate sulla famiglia, piuttosto che le politiche centrate sui bambini. Temiamo che le attuali politiche, come quelle che incoraggiano un più alto livello di partecipazione delle madri al mercato del lavoro (allo scopo di diminuire la povertà infantile), non ne abbiano preso debitamente in considerazione l’impatto devastante sulle famiglie e sui rapporti. Il ruolo vitale dell’educazione da parte dei genitori non può essere delegato a "fornitori" esterni, né ristretto in lassi di tempo sempre più brevi.

In secondo luogo, è evidente che dobbiamo dare alla prevenzione e alla cura lo stesso risalto. Ci occuperemo di come stabilizzare le famiglie già esistenti e di come ricreare rapporti stabili in famiglie e strutture nell’ambito di una società socialmente responsabile. Il matrimonio continua ad offrire il contesto più stabile e durevole, ma non sembra esistere un elevato livello di consapevolezza di tali benefici.

In terzo luogo, e in relazione al secondo punto, desideriamo affrontare da vicino la questione di come fare in modo che siano gli individui, e non lo stato, a decidere come far crescere la propria famiglia, e di come dare vita a servizi che offrano alle famiglie delle reali scelte. Ad esempio ci siamo resi conto del livello di tensione che caratterizza i rapporti nelle famiglie dove è presente un disabile. Non è solo il dover affrontare la disabilità a generare tensione, ma è anche il dover lottare per le cure, l’istruzione e i servizi di sostegno. Se riteniamo che lo stato sociale abbia un certo ruolo nell’aumento dei crolli delle famiglie, dobbiamo prendere in considerazione adeguamenti attuabili, e anche eventuali interventi integrativi. La nozione di stato sociale prevede un’agenda di responsabilità sociali per cominciare a cercare il modo di incoraggiare le persone a prendere decisioni in base al bene della società in senso più ampio, in base a una ricompensa futura e non a un ritorno immediato. Questo concetto comprende anche il valore del talento e dell’energia delle organizzazioni di volontariato di questo paese.

Pertanto affronteremo le politiche globali di questo governo in materia di matrimonio, convivenza e famiglie monoparentali; gli scopi e i limiti delle iniziative di politica rivolte alle masse e di quelle fatte ad hoc; gli aspetti legali di matrimonio, convivenza e nuclei monoparentali; tasse e agevolazioni che influenzano positivamente o negativamente il reddito delle famiglie; altre politiche del governo e messaggi che influenzano il reddito delle famiglie; la presentazione di rapporti preventivi e educazione dei genitori alla cura dei figli; la presentazione di altri rapporti e interventi sul ruolo dei genitori; la pubblicazione e l’uso di dati statistici rilevanti; il ruolo dei governi locali e il ruolo del settore del volontariato.

In questo modo speriamo di dare vita a un quadro politico che possa sostenere le famiglie inglesi nel raggiungere ciò che quasi tutte desiderano: un ambiente stabile, curato e permanente a beneficio dei suoi membri, della cerchia dei familiari e di tutta la società.


(Traduzione di Sara Morselli)


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