DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’esperienza nega i luoghi comuni sul divorzio. Ma non bisogna dirlo, né documentarlo. Noi ci abbiamo provato, e abbiamo scoperto che...

[Da "il Timone" n. 30, Febbraio 2004]

C’è un luogo comune, dettagliato in tanti altri luoghi comuni, da sfatare: il divorzio fa bene, o addirittura «è» un bene. Al contrario c’è un dato di realtà, sapientemente occultato dalla mentalità dominante, che invece è da recuperare: il matrimonio (inteso come unione duratura fra un uomo e una donna) fa bene, anzi «è» un bene. Gi aiutano, in questa riscoperta di significato, un palo di capitoli del libro di Claudio Rise Il padre, l’assente inaccettabile (San Paolo, pp. 92-95, 134-136), in cui l’autore a sua volta si rifà agli studi documentatissimi di David Popenoe e Maggie Gallagher.

- 1° luogo comune sul divorzio: per ridurre il rischio di divorziare è giusta la convivenza prima del matrimonio. Sbagliato. È stato invece dimostrato che chi convive più facilmente ricorre poi al divorzio. Infatti, con questa sorta di «matrimonio in prova», ci si abitua all’idea che i rapporti e le relazioni tra uomo e donna siano esperienze «a termine», e che quindi possono cessare. Inoltre, l’antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumenta la capacità di rimanere fedeli a quell’impegno.

- 2° luogo comune sul divorzio: quando tra marito e moglie non si va più d’accordo, è meglio divorziare. Non è vero. Recenti ricerche condotte negli Stati Uniti hanno dimostrato che, all’interno di un campione di coppie che negli anni Ottanta avevano dei problemi e dichiaravano di essere infelici, ma hanno ugualmente deciso di portare avanti il loro matrimonio, cinque anni più tardi ben l’86 per cento di loro non solo avevano superato il momento di difficoltà, ma erano motto più felici di prima.

- 3° luogo comune sul divorzio: il divorzio serve a fare esperienza, dagli insuccessi si impara, e i secondi matrimoni vanno meglio del primi. Falso. Il tasso di divorzio nei secondi matrimoni è in realtà motto più elevato che nei primi. Quando viene meno la convinzione dell’indissolubilità, si apre la diga delle «prove a ripetizione», alla ricerca del legame giusto.

- 4 ° luogo comune sul divorzio: il divorzio non ha conseguenze sui figli, che recuperano alla svelta il trauma. È vero il contrario. Il divorzio aumenta nei figli i problemi di rapporto e di relazione con gli altri e tali difficoltà durano a lungo.

- 5° luogo comune sul divorzio: se i genitori non vanno d’accordo, per i figli è meglio che divorzino. Anche questo non è vero. Secondo uno studio americano del 1997, solo il bambino che si trova in famiglie altamente conflittuali trae beneficio dalla rimozione del conflitto che il divorzio «potrebbe» portare. In realtà, nei due terzi di matrimoni che si concludono con il divorzio, il conflitto è medio-basso, e quindi la soluzione migliore e che i genitori, invece di divorziare, continuino a rimanere insieme, affrontando i loro problemi.

- 6° luogo comune sul divorzio: i figli del divorziati, non necessariamente divorziano a loro volta. Anzi, stanno più attenti nelle loro scelte. È falso. I figli del divorziati, quando diventano adulti, hanno un tasso di divorzio nettamente maggiore del figli di famiglie unite. Infatti i bambini imparano da quello che vedono: se i genitori divorziano, la capacità poi di mantenere per tutta la vita un matrimonio unito è stata lesa, o per lo meno e più ardua.

Ecco invece le nove (anche queste laicissime) ragioni per cui sposarsi è un bene, e tenere unito il matrimonio è ancora meglio.

1. Il matrimonio aumenta la sicurezza e l’incolumità personale. Le nozze diminuiscono le probabilità che a donna, e anche l’uomo, diventino vittime di violenza, inclusa a violenza domestica.

2. Gli sposati vivono più a lungo e in modo più sano. Lo si vede chiaramente nella mezza età: 9 su 10 uomini e donne vivi e sposati a 48 anni, arrivano a 65 anni, contro 6 su 10 uomini non sposati e 8 su 10 donne.

3. Il matrimonio aiuta i figli. Nel matrimonio i bambini crescono più sani, vivono più a lungo e tendono a rimanere fuori dal guai se i genitori, oltre che essere sposati, rimangono uniti.

4. Chi è sposato guadagna di più e diventa più ricco. Una vasta letteratura scientifica dimostra che, soprattutto per gli uomini, il matrimonio è altamente produttivo. Inoltre, chi è sposato amministra meglio il denaro e accumula maggior ricchezza di chi vive da solo.

5. Chi è sposato è più fedele. Gli uomini che hanno scelto Ia convivenza rispetto alle nozze sono quattro volte più infedeli del mariti, e le donne conviventi tradiscono otto volte più che le mogli.

6. Il matrimonio fa bene alla salute mentale. Uomini e donne sposati sono meno depressi, meno ansiosi e meno psicologicamente stressati del non sposati, divorziati o vedovi.

7. Si vive meglio. Nell’insieme, il 40 per cento delle coppie sposate si dichiara «molto felice della vita», affermazione sottoscritta solo da un quarto (il 25 per cento) del non sposati o del conviventi.

8. I figli sono più legati ai genitori. I figli adulti di matrimoni stabili, sfuggiti alla tentazione del divorzio, mantengono con i loro genitori contatti più regolari di quanto facciano i figli dei divorziati (o di coppie conviventi), che spesso sono letteralmente abbandonati e dimenticati, soprattutto se i loro genitori convolano a nuove nozze e fanno altri figli. Ed è più probabile che i figli di coppie stabili a loro volta scelgano nozze stabili.

9. La sessualità è migliore, e più frequente. Sia i mariti che le mogli che vivono un’unione duratura, affermano di avere una vita sessuale estremamente soddisfacente, più di quanto dichiarino coloro che non sono sposati o convivono.

I numeri che fanno pensare

Dai più recenti dati statistici Istat sul decennio 1991-2001 una conferma dei (preoccupanti) cambiamenti in atto. Il numero medio di componenti per ogni nucleo familiare è diminuito da 2,8 a 2,6. Una famiglia so quattro è formata da una sola persona. Nel 1991 invece le famiglie «mononucleari», erano una su cinque.

Le coppie di fatto sono il 3,6 per cento, nel 1991 erano l’1,6.

Dall’Annuario Statistico Italiano 2003, emergono poi altri dati dl notevole interesse.

Il numero totale dei matrimoni è diminuito da 276.570 del 1998 a 265.635 del 2002, e il numero del matrimoni religiosi è passato da 217.492 (78,6 per cento) a 190.879 (71,9 per cento), mentre le nozze civili sono passate da 59.078 nel 1998 a 74.756 (dal 21,4 al 28,1 per cento).

Tra il 1997 e il 2001 il trend dei divorzi è in costante crescita, passando da un totale dl 33.342 a 40.051. Da notare che, in pratica, c’è un divorzio ogni dieci matrimoni civili e uno ogni sei religiosi.