DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Così la Francia riscrive, senza smagliature, le proprie regole di bioetica

Roma. Bisogna riaggiornare le leggi sula
bioetica? In Francia si fa così: invece
di focalizzarsi su posizioni, e proiezioni
delle stesse, incomponibili restando inchiodati
su fronti contrapposti, tipo
scientisti-progressisti da un lato e clericali-
oscurantisti dall’altro, si organizza il
consenso attraverso un dibattito pubblico.
Per mesi e mesi i francesi hanno convocato
gli stati generali della bioetica,
per discutere di embrioni e uteri in affitto,
dono di gameti e fecondazione post
mortem. L’Assemblea nazionale, intanto,
dava mandato a una trentina di parlamentari
per allestire una missione conoscitiva
e per un anno costoro hanno proceduto
a un centinaio di audizioni.
Esperti, filosofi, scienziati, medici, assistenti
sociali: non c’è categoria, gruppo
sociale o corporazione che non sia stata
ascoltata. Alla fine, Jean Léonetti, il deputato
Ump del Midi che nel 2004 diede
il nome alla prima legge sulla bioetica,
ha stilato una sintesi dei desiderata e dei
possibili in un rapporto che ieri pomeriggio
è stato presentato ai membri della
missione per essere messo ai voti.
Il rapporto Léonetti non ha nulla di rivoluzionario;
consta di 94 proposte che
rispettano i princìpi della gratuità, della
dignità e dell’anonimato che sinora hanno
ispirato il legislatore, e ne aggiunge
uno nuovo: “L’interesse del bambino a
nascere”. In tema di gravidanza per conto
terzi, per esempio, il rapporto ribadisce
il divieto dell’utero in affitto, tema
che ha suscitato un intenso dibattito, con
posizioni inattese come quella di Sylviane
Agacinski, consorte dell’ex premier
socialista Lionel Jospin, la quale ha bocciato
la pratica dell’utero in affitto in nome
dell’inviolabilità del corpo umano e
della dignità della donna. In tema di fecondazione
artificiale, il rapporto Léonetti
ribadisce l’anonimato del dono di
gameti (ovuli e spermatozoi), contro
quanti invece ne reclamavano la pubblicità,
secondo lo stesso principio che autorizza
un figlio adottivo a conoscere l’identità
dei suoi genitori naturali. Infine
il rapporto insiste nel limitare la procreazione
assistita alle sole coppie eterosessuali,
deludendo le attese di coppie
omosessuali e donne sterili ma sole.
La novità più clamorosa è che il rapporto
Léonetti autorizza, a titolo del tutto
eccezionale, l’impianto post mortem di
un embrione già formato in vitro, nel caso
di un progetto di fecondazione assistita
interrotto dalla morte accidentale del
padre. Il rapporto stabilisce infatti che il
trasferimento dell’embrione nell’utero
materno può essere autorizzato dopo tre
o sei mesi di vedovanza, e entro un lasso
di tempo di diciotto o ventiquattro mesi
dal momento del decesso. Ma il legislatore
francese continua a vietare l’utilizzazione
dei gameti post mortem, quindi
niente fecondazione con lo sperma di un
morto. L’argomento di Jean Léonetti, in
questo senso, è dirimente: “Un embrione
è un essere in divenire e in questo caso
non si può negare il progetto genitoriale”.
In effetti l’intento della missione parlamentare
d’inchiesta era di offrire al legislatore
tutte le garanzie per evitare il
rischio di commercializzazione, ha spiegato
il presidente della missione Alain
Clayes, deputato socialista, eletto a Vienna.
A malincuore, il socialista ha dovuto
ammettere che il rapporto Léonetti continua
a rispettare il divieto di ricerca sull’embrione
e le cellule staminali embrionali,
sancito dal 1994, ma attutito nel 2004
da un regime di deroga. Oggi infatti le ricerche
sugli embrioni possono essere autorizzate,
in deroga alla legge, dall’Agenzia
nazionale di biomedicina, per finalità
terapeutiche e per un periodo di cinque
anni. La novità del rapporto Leonetti
consiste nel sostituire alla “finalità terapeutica”
l’accezione più larga di “finalità
medica”, e nel sopprimere la durata della
deroga, fermo restando il principio di
vigilanza etica assicurato dall’Agenzia e
il divieto assoluto di clonazione e di creare
embrioni a scopo di ricerca. Ultima
novità, le coppie che ricorrono alla diagnosi
preimpianto perché portatrici di
gravi malattie genetiche possono chiedere,
in aggiunta, di individuare la trisomia
21. Il rapporto recepisce la proposta lanciata
dal Comitato nazionale di etica, restringendola
però a una condizione e
cioè in presenza di “fattori che predispongano
all’anomalia genetica, come
l’età della gestante”.
Marina Valensise

Il Foglio 19 gennaio 2010