DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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IN FRANCIA LA LEGGE "CANCELLA" IL PADRE

Giulio Meotti

Roma. La Manif pour tous scende di nuovo in piazza il 6 ottobre, a Parigi, in una mobilitazione contro la proposta di legge, approvata all’Assemblea nazionale, a favore della fecondazione artificiale per tutti. Lo slogan sarà Liberté, égalité, paternité. Una parte dell’episcopato francese alza i toni e appoggia la sollevazione. François-Xavier Bellamy, filosofo e deputato europeo per i Repubblicani, dice che la legge “sarà la nostra maledizione”. Il testo, in discussione fino al 9 ottobre, prevede l’estensione del diritto alla “Pma” (procreazione medicalmente assistita) alle donne single e alle coppie lesbiche. Era una promessa elettorale di Emmanuel Macron. La dicitura sarà “madre” e “madre” (l’ipotesi “genitore uno” e “genitore due” è stata esclusa perché troppo controversa). Finora in Francia il ricorso alla Pma era riservato alle coppie sterili eterosessuali in età fertile.
La sinistra progressista di Jean-Luc Mélenchon ha sconfitto quella antirelativista di Sylviane Agacinski. Il leader della sinistra radicale ha parlato di una “rivoluzione”: “Sì, è la fine del patriarcato, le donne daranno alla luce bambini senza l’autorizzazione degli uomini”. Il deputato macroniano Jean-Louis Touraine ha annunciato il “superamento dei limiti biologici della procreazione”. Dopo il “Mariage pour tous”, arriva la “Pma pour toutes”. Si era battuta contro questa deriva l’ex compagna del filosofo decostruzionista Jacques Derrida e moglie dell’ex primo ministro socialista Lionel Jospin, la filosofa Agacinski, che al magazine Marianne aveva appena detto: “Una certa ideologia progressista è cieca davanti alle esigenze etiche, giuridiche e politiche che fin dai greci costituiscono il fondamento della nostra civiltà. Se le abbandoniamo, cadiamo in un relativismo totale”. E non soltanto Agacinski, ma anche Jacques Testart, il “padre” della prima bambina nata in provetta in Francia nel 1982, che pur avendo appoggiato la sinistra di Mélenchon ha criticato la legge in quanto “transumanista”. O Michel Onfray, filosofo conservatore di sinistra, che parla di “guerra alla natura”.

“L’uguaglianza è un pretesto”


Il filosofo e matematico Olivier Rey, autore di Leurre et malheur du transhumanisme, sostiene che nella legge ‘l’uguaglianza’ è solo un accattivante pretesto al servizio del progresso dell’individualismo, che arriva fino a negare che siano necessari un uomo e una donna per fare un figlio. Per i ‘progressisti’, innovazioni sociali di questo tipo sono assolutamente necessarie, perché è tutto ciò che resta da far credere che, nonostante le difficoltà che si accumulano per la maggioranza della popolazione, le cose ‘progrediscano’”. Lo psicoanalista Jean-Pierre Winter, in un lungo articolo per il Figaro, scrive invece che si sta giuridicamente e culturalmente cancellando la figura del padre: “La grande differenza tra i bambini senza padre che ho conosciuto e quelli nati dopo questa nuova legge è che i primi erano senza padre per caso e non per legge. Ora la legge cancella il padre”. Sullo sfondo, la grande angoscia identitaria francese di una “società orfana”.

Il Foglio 6 Ottobre 2019


Eutanasia – Un altro passo avanti (verso il baratro)


In Francia, la rete di associazioni pro life “Soulager mais pas tuer” (lenire senza uccidere) ha protestato a Parigi mercoledì scorso per il concreto passo avanti che il paese sta compiendo nell’introduzione dell’eutanasia.
E’ stata infatti varata la proposta avanzata  dal deputato socialista Alain Claeys e dal collega neogollista Jean Leonetti,  che promuove il diritto dei pazienti «a una sedazione profonda e continua» in caso di male incurabile e «con prognosi infausta a breve termine». Il termine usato, “pronostic vital engagé”, si riferisce comunque a un’ampia gamma di possibilità, molto più vasta e vaga della condizione di “malato terminale” in senso stretto. In concreto si auspica la somministrazione di un’anestesia farmacologica non solo ai malati terminali veri e propri, per  “aiutare a morire”, anche arrestando l’alimentazione e l’idratazione del paziente.
Insomma si ammette la liceità dell’intenzione esplicita e irreversibile di provocare la morte, confondendo,  ocancellando, di fatto il confine  fra eutanasia e sedazione profonda.
Hollande ha dichiarato che  «il voto di questa legge rappresenterà un grande progresso».
Per approfondire si può leggere l’articolo apparso sull’ Avvenire di ieri.
Qui in Italia, i soliti cultori della morte, Radicali in testa, Napolitano e Boldrini al seguito, da tempo auspicano anche da noi l’eliminazione del problema dei malati e degli anziani con stile nazista  ”ActionT4“. Già gira lo spot pubblicitario con tutte quelle belle facce note, sapienti e intelligenti , serie e serene che invocano il “diritto umano” di morire. Quindi possiamo dire che l’Italia seguirà a ruota il bell’esempio progressista dei cugini francesi. 
A nulla serve, evidentemente la deriva inarrestabile che ha preso l’eliminazione dei malati con o senza il consenso loro e dei loro familiari, in paesi come Belgio e Olanda.
Sta a noi vigliare per impedirlo. Sta a noi PARLARE in ogni luogo della dignità della morte e selle cure palliative secondo natura e secondo il principio dell’intangibilità e dell’indisponibilità della vita propria e altrui.

Pro vita

“Tutti nudi”, il libro consigliato dal governo Hollande alle scuole per insegnare ai bambini a «essere disinibiti»


Febbraio 18, 2014 Redazione
Il libro mostra immagini di vecchi, della maestra, del poliziotto e dei bambini nudi per insegnare «l’uguaglianza attraverso il nudismo»

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«Quando ho visto questo libro il sangue mi si è rimescolato e fa parte dei libri raccomandati agli insegnanti!». Questo è il commento incredulo del leader dell’Ump Jean-Francois Copé davanti al nuovo testo che il ministro dell’Educazione francese ha voluto inserire tra quelli consigliati agli insegnanti per i corsi del programma ABCD dell’uguaglianza: “Tous à poil”, Tutti nudi.

IL NUDISMO CI RENDE UGUALI. Nel libro tutti si spogliano per restare come mamma li ha fatti: i vecchi, il poliziotto, i vicini, la maestra e ovviamente i bambini. Così si insegna «l’uguaglianza attraverso il nudismo». Per i curatori del libro, riporta oggi il Foglio, l’album deve insegnare ad essere «disinibiti». In protesta alla nuova iniziativa del governo francese di Francois Hollande, la Manif pour tous ha chiesto di togliere il volume dagli istituti scolastici e dalle biblioteche pubbliche.

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GENERAZIONE REAZIONARIA. Per la continua opposizione alle “novità” introdotte dai ministri di Hollande, il settimanale francese Nouvel Observateur ha definito gli appartenenti alla Manif la “Génération reac”, generazione reazionaria. Perché, come scrive il Foglio, «sarebbe la Francia dei “nuovi reazionari” quella che non smobilita da più di un anno, che inventa forme di lotta sempre nuove e sempre nonviolente». E se normali famiglie composte da padri e madri sono definite così è per «l’incapacità della sinistra di capire ciò che sta accadendo».

LA SCORCIATOIA SBAGLIATA. Hollande, non potendo realizzare niente di concreto a causa della crisi economica, «ha incautamente imboccato la strada spagnola delle riforme socio-culturali» prosegue il Foglio. «Una scorciatoia che non sta pagando: quelle riforme calate dall’alto sono “profondamente respinte da una parte del paese”, ha detto la scorsa settimana lo scrittore cattolico Denis Tillinac, intervistato da Atlantico.fr, “e poiché questa Francia rifiuta oggi una certa visione del progresso che le si vorrebbe imporre, si capisce che la questione dell’articolazione tra legalità e legittimità diventa cruciale per l’attuale governo».


Tempi.it 



Dove ha fallito il rapporto Estrela, arriva Hollande. In Francia l’aborto diventerà un «diritto delle donne»

Tempi 20 dicembre 2013
di Leone Grotti
In Francia l’aborto sta per diventare a tutti gli effetti un diritto. A lanciare l’allarme è la Fondazione Jerome Lejeune, che ha fatto il punto sugli emendamenti inerenti all’interruzione di gravidanza che saranno discussi a partire dal 20 gennaio all’Assemblea Nazionale all’interno di una legge sull’uguaglianza tra uomini e donne.
«DA ECCEZIONE A DIRITTO».  Dopo che il Senato, lo scorso 17 settembre, ha votato «l’estensione all’informazione del reato di intralcio all’aborto» obbligando così «i centri di ascolto delle donne incinte e i siti internet a informare sulla possibilità dell’interruzione di gravidanza», all’Assemblea Nazionale saranno votati altri emendamenti.
Tra questi c’è il «cambio di statuto dell’aborto», per trasformarlo «da eccezione a diritto» facendolo diventare «un atto come un altro». Un altro emendamento, per rafforzare questo concetto, propone di modificare il Codice della sanità pubblica. Là dove si dice che l’aborto è permesso «a tutte le donne incinte che si trovano a causa del loro stato in una situazione di sofferenza», si leggerà «a tutte le donne incinte che non vogliono una gravidanza».
SALUTE RIPRODUTTIVA. Un altro emendamento propone di modificare il titolo «desueto e inadatto» della seconda parte del Codice di salute pubblica, che era “Salute della famiglia, della madre e del bambino”, in “Salute riproduttiva, diritti della donna e protezione della salute del bambino”.
La Fondazione Jerome Lejeune ha «denunciato l’assenza di dibattito davanti a un cambiamento profondo della legge sull’aborto» e invitato i responsabili politici a considerare che l’aborto «piaccia o no, consiste nell’uccidere un essere umano prima che nasca. La natura di questo atto comporta conseguenze che non possono essere passate sotto silenzio».
DOPO ESTRELA, HOLLANDE. Se al Parlamento Europeo è stato appena bocciato il rapporto Estrela, che voleva definire l’aborto come «diritto umano», il governo socialista di Francois Hollande, soprattutto nella persona della ministra Najat Vallaud-Belkacem, sembra aver già vinto la battaglia per «rendere l’aborto un diritto un po’ più come tutti gli altri». Prima ha creato un sito governativo per «sponsorizzare l’interruzione di gravidanza», poi ha chiesto un parere all’Alto consiglio per l’uguaglianza tra uomini e donne (Hcefh), ottenendo come risposta che bisogna abolire il diritto all’obiezione di coscienza per i medici e trasformare «l’aborto in un vero e proprio diritto della donna». Detto, fatto.
LeoneGrotti

FRANCIA: “NO” AL MATRIMONIO OMOSESSUALE Per la legge francese, il matrimonio è l'unione di un uomo e una donna


di Paul De Maeyer


ROMA, domenica, 30 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Il Consiglio Costituzionale di Francia – l'organo che Oltrealpe veglia sulla costituzionalità delle leggi - ha reso nota venerdì 28 gennaio la sua risposta ad una cosiddetta “Questione Prioritaria di Costituzionalità” (QPC) sollevata da due donne lesbiche - Corinne Cestino e Sophie Hasslauer - e ha stabilito che l'attuale proibizione del matrimonio omosessuale è conforme alla Costituzione del Paese.

Secondo le due donne, che convivono da circa 15 anni e sono già legate da un PACS o Patto Civile di Solidarietà, l'unico modo per tutelare al massimo i quattro figli che crescono insieme sarebbe il matrimonio. Con il sostegno attivo dei gruppi per i diritti degli omosessuali SOS Homophobie e l'Associazione dei Genitori e Futuri Genitori Gay e Lesbiche (APGL), le due donne chiedevano dunque per il bene dei loro figli il diritto di potersi sposare, cosa che il legislatore finora ha negato.

L'attuale divieto del matrimonio fra persone dello stesso sesso e specialmente gli articoli 75 e 144 del Codice Civile - così sostenevano le due donne - sarebbero contrari ai diritti e alle libertà - in modo particolare alla libertà di matrimonio, al diritto ad una vita familiare normale e al principio d'eguaglianza davanti alla legge - che la Costituzione francese garantisce nel suo articolo 66.

Nella loro risposta, consultabile sul sito Internet dell'organismo*, i “saggi” (come sono chiamati i membri del Conseil Constitutionnel) ribadiscono fra l'altro che l'articolo 66 della Costituzione, che proibisce la detenzione arbitraria, non è applicabile al matrimonio. “Il capo d'accusa derivato dalla violazione dell'articolo 66 della Costituzione è inoperante”, scrive il Consiglio nella sentenza.

I “saggi” osservano d'altronde che gli articoli 75 e 144 del Codice Civile non pongono ostacoli alla libertà delle coppie omosessuali di vivere in concubinaggio o beneficiare del quadro giuridico che offre il PACS. Inoltre, “il diritto a condurre una vita familiare normale non implica un diritto di sposarsi per le coppie dello stesso sesso”.

Il Consiglio conferma poi la sentenza della Corte di Cassazione del 13 marzo del 2007, che aveva annullato il “matrimonio” gay celebrato nel maggio 2004 dal sindaco ecologista di Bègles, Noël Mamère, e stabilisce che i due articoli “incriminati” del Codice Civile sono conformi alla Costituzione. Secondo i “saggi”, la legge è molto netta e non lascia dunque alcun dubbio. “Secondo la legge francese il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna”, si legge.

Proprio per questo motivo, continua la sentenza, “il legislatore ha, nell’esercizio delle sue funzioni [...], valutato che la differenza di situazione tra le coppie dello stesso sesso e le coppie composte da un uomo e una donna può giustificare una differenza di trattamento in quanto alle regole del diritto di famiglia”.

Tocca dunque al legislatore modificare eventualmente i limiti vigenti, non ai “saggi”. “Non spetta al Consiglio Costituzionale sostituire il proprio apprezzamento a quello del legislatore [… ] in questa materia”, sottolinea la decisione del 28 gennaio.

La sentenza ha deluso la coppia querelante e amareggiato le associazioni per i diritti gay. Corinne Cestino e Sophie Hasslauer parlano di una sentenza “scandalosa”. “Le più alte istanze dello Stato istituzionalizzano l'omofobia”, hanno detto (Le Monde.fr, 28 gennaio). Il legale delle associazioni SOS Homophobie e APGL, Caroline Mécary, ha dichiarato in un comunicato che “il Consiglio Costituzionale ha mancato un'occasione storica per porre termine alla discriminazione diventata intollerabile per più di tre milioni di persone gay e lesbiche in Francia”. Probabilmente bisogna “aspettare un'alternanza politica nel 2012 per sperare che i partiti della sinistra, che si sono tutti impegnati per l'apertura del matrimonio e dell'adozione alle coppie dello stesso sesso, inizino una riforma del genere”, si legge (Agence France-Presse, 28 gennaio).

Mentre l'associazione Act Up-Paris parla persino di “accanimento omofobico”, per Noël Mamère, che nel 2004 aveva celebrato il primo “matrimonio” gay della Francia (poi annullato), la sentenza non è una sorpresa ma è comunque “interessante, perché non chiude la porta all'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso” (Le Monde.fr, idem).

Christine Boutin, presidente del Partito Cristiano-Democratico (PCD), ha lodato invece la sentenza e ha parlato di una “decisione che rispetta la nostra tradizione giuridico-politica”. “Coloro che hanno pensato di ottenere soddisfazione tramite la moltiplicazione di piccole procedure trovano oggi la risposta: in Francia, il diritto non è l'oggetto di tale o tale lobby” (AFP, 28 gennaio).

Anche il Collectif pour l’Enfant ha espresso la sua soddisfazione per la sentenza. “Se, in nome della libertà individuale, si autorizza delle persone a sposarsi con una persona dello stesso sesso, per quali ragioni si potrebbe mantenere i divieti relativi alla poligamia? Questo sarebbe discriminatorio verso tutte le persone che si amano”, ha detto la portavoce dell'organismo, Béatrice Bourges (Chrétienté.info, 28 gennaio).

La domanda che rimane è: cosa succederà adesso? Si potrebbe infatti interpretare la sentenza di questo venerdì come un messaggio o un invito lanciato da parte del Consiglio Costituzionale al legislatore per legiferare e modificare il Codice Civile. Questo è il timore di François de Lacoste Lareymondie. “A prima vista si potrebbe essere soddisfatti con la risposta che i saggi hanno dato alla questione prioritaria di costituzionalità”, osserva il vicepresidente dell'Association pour la Fondation de service politique (Décryptage, 28 gennaio).

Quello che preoccupa però l'autore è il fatto che nella sua sentenza del 28 gennaio il Consiglio Costituzionale ha seguito “esattamente lo stesso ragionamento” di quando ha validato nel 1975 la legge Veil sull'aborto e ha confermato “il suo rifiuto di considerare le fondamenta di ogni società politica e di chinarsi sulle questioni ontologiche”. Si può scommettere - continua l'autore - che presto il Parlamento sarà investito di una proposta a favore del riconoscimento del matrimonio omosessuale e soprattutto che il Consiglio Costituzionale non censurerà questa legge se verrà adottata: si è quasi impegnato a farlo.

* http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/francais/les-decisions/acces-par-date/decisions-depuis-1959/2011/2010-92-qpc/decision-n-2010-92-qpc-du-28-janvier-2011.52612.html


Povera francia, poveri francesini... a 25 settimane di gestazione (70% di sopravvivenza) il 6% dei neonatologi francesi non rianima attivamente


il comportamento dei neonatologi francesi. Come si può leggere nell'articolo, anche a 25 settimane di gestazione (70% di sopravvivenza) il 6% dei neonatologi francesi non rianima attivamente, mentre a 24 settimane (50% di sopravivenza) il 70% non rianima attivamente. Vogliamo questo?
postato da: carlobellieni

AMMAZZARSI PER TÉLÉCOM. In due anni si sono uccisi 50 dipendenti dell’azienda francese. Adesso le terrazze sono inaccessibili


Con oltre 193 milioni di clienti in 32 paesi, France
Télécom è il maggior operatore telefonico francese.
Amministrata dallo Stato fino al 1997, è prima diventata
una società anonima, poi, dal 2004, un gruppo privato. Con
il 26,65% del capitale lo Stato ne è azionista di riferimento.
Il 70% dei 100.000 dipendenti ha mantenuto lo status di
dipendente pubblico che protegge dai licenziamenti, uno
su tre ha un contratto di diritto privato. Tra gli stipendiati
ci sono anche 80 medici. Otto si sono da poco dimessi.
Nel 2006, per ripianare i 110 miliardi di euro di debiti,
la società ha avviato un duro piano di ristrutturazione. In
due anni sono stati tagliati 22mila salariati, 10.000 sono
stati trasferiti. Per i sindacati il piano, basato sugli
incentivi all’abbandono volontario, si è tradotto in
pressioni su alcuni dipendenti affinché se ne andassero
senza far problemi, e nel progressivo aumento dei carichi
di lavoro e delle responsabilità per quanti rimanevano.
Dal 2002 ogni dipendente di France Télécom ha
cambiato posto in media ogni 27 mesi e luogo di lavoro
ogni trenta. Conseguenze: un tasso di dimissioni passato
dal 4 al 15,3%, almeno un mese di malattia a testa nel 2008
ecc. Nell’ottobre 2009 la società ha deciso di sospendere
per alcuni mesi la mobilità interna, tra le principali cause
dello stress. Il primo suicidio in azienda, nel febbraio
2008, fu liquidato come «un doloroso caso personale».
Didier Lombard, ex presidente e amministratore delegato
del gruppo, arrivò a parlare di «mode du suicide» (moda
del suicidio), poi si scusò. La maggior parte dei suicidi è
avvenuta tra i quadri e gli ingegneri, cinquantenni al
massimo, spostati da un giorno all’altro in sedi di lavoro
lontane anche cento chilometri da casa e spesso
dequalificati. Per il direttore delle risorse umane del
gruppo, Olivier Barberot, il tasso di suicidi in azienda
negli ultimi dieci anni non è aumentato, è rimasto a quota
2,15 ogni 10mila dipendenti. In un recente sondaggio
interno il 25% dei dipendenti di France Télécom ha detto
di sentirsi in «situazione di rischio», il 39% che le sue
condizioni di salute «si sono degradate negli ultimi cinque
anni a causa dell’attività lavorativa».
Il 9 aprile scorso il tribunale di Parigi ha aperto
un’inchiesta per mobbing sulla base di un rapporto
dell’ispettorato del lavoro secondo il quale l’operato di
France Télécom ha danneggiato, fino a metterla in
pericolo, la vita di alcuni dipendenti.
Da gennaio il quartier generale della Orange Business
Service (la filiale che si occupa di servizi sia nel campo
della telefonia fissa sia di quella mobile) è un immobile di
31mila metri quadrati a pochi chilometri da Parigi. Nella
nuova sede le terrazze sono inaccessibili, le finestre
bloccate, le luci soffuse in modo da evitare ansie: tutto a
prova di suicidio.


Sono cinquanta tra impiegati
e manager i dipendenti di
France Télécom che si sono
ammazzati da febbraio 2008
a maggio 2010. L’azienda ha
riconosciuto come «incidenti
sul lavoro» solo tre suicidi. Tutti gli
altri sono stati archiviati come «dramma
personale».
2008
Suicida n° 1 Un uomo di anni 51. Tecnico
di un’unità di intervento, degradato
a centralinista di call center, tra
le altre cose gli toccava subire le Orange
journey, giornate di formazione in
cui i dipendenti, «per esprimere la
propria aggressività», erano costretti
ad avvolgersi il capo in bandane arancioni
(come i colori sociali). Il 19 febbraio
si impiccò in azienda.
Suicidi dal n° 2 al n° 6 Il 29 marzo un
tecnico dell’unità di intervento Pays
de Loire ricollocato in un call center. Il
17 maggio un tecnico dell’unità di intervento
Alsace Lorraine, ricollocato
pure lui. Il 19 maggio un tecnico dell’unità
di intervento Normandia. Il 24
maggio un tecnico dell’unità di intervento
Alsace Lorraine («Non riusciva
ad assimilare le nuove tecniche», fece
sapere il sindacato Cgt). Il 29
maggio un tecnico dell’unità
di intervento Normandia.
Suicida n° 7 Jean-Michel,
53 anni. Sposato, padre di tre
figli, in France Télécom dal
1993 come tecnico specializzato
nei satelliti, nel 2003
era stato ricollocato come
venditore in un call center.
Ossessionato dal
motto aziendale
«evolversi, adattarsi
», terrorizzato dalle
rigide direttive
(5,2 chiamate l’ora,
un minuto e trenta
per compilare il report,
raggiungere
almeno il 60%
dell’obiettivo pena
trasferimento, ecc.),
avvilito dai capi che
lo prendevano in giro per gli scarsi risultati
(«buon venditore porta a casa i
soldi»), più volte aveva chiesto di essere
trasferito altrove, anche a fare il
magazziniere, ma non l’avevano mai
accontentato. Il 2 luglio, dopo aver telefonato
a mezzo mondo, alle 18.15
chiamò anche la collega e sindacalista
Anne-Marie e le disse che si voleva
ammazzare, lei cercò di tirarlo su finché
alle 19.15 sentì il fischio del treno
sotto il quale Jean-Michel s’era buttato,
lasciandosi stritolare. Una lettera,
per la direzione di France Télécom:
«Quando lavoravo ero solo un automa
davanti a uno schermo. Il fatto stesso
di essere rinchiuso tra queste mura mi
demoralizzava. Io non chiedevo molto.
Solo fare un lavoro più manuale e tecnico
come lo chiedevano per me la dottoressa
e l’assistente sociale. […] Ecco
adesso potete dormire tranquilli. Vi libero
di me. Era il vostro scopo? A
quanto dite per me non c’è nient’altro.
Siete una banda di carogne pronte a
tutto per liberarvi della gente in difficoltà
o che dà fastidio. Tutti i mezzi sono
buoni per raggiungere i vostri obiettivi.
È l’unico punto sul quale siete tutti
d’accordo. Le uniche soluzioni per
noi sono o andare via o farla finita, come
me».
Suicidi dal n° 8 al n° 11 L’1 settembre
un tecnico si buttò da una falesia, nello
stesso giorno un impiegato si impiccò
nella sede Philippe Auguste di
Parigi. Il 16 settembre si uccise un
informatico, nella sua casa a Lille. Il 9
novembre un tecnico dell’unità di intervento
Picardie.
2009
Suicida n° 12 Guy, 38 anni. Tecnico
nella sede di Toulon-Devaly, il 28 gennaio
si impiccò a casa sua. Una poesia,
inviata ai colleghi via mail, dal titolo
“Fine di me”.
Suicida n° 13 Il 3 aprile un incaricato
Affari dell’unità di intervento Hautde-
Seine (a Nanterre) non si presentò
al lavoro. Due colleghi lo andarono a
cercare a casa e lo trovarono che penzolava
dal soffitto.
Suicidi n° 14 e 15 Il 7 aprile si sparò
in azienda un tecnico dell’unità interventi
Normandia a Quincampoix. L’8
aprile si uccise un tecnico dell’unità di
intervento Bretagne a Guingamp.
Suicida n° 16 Anne Sophie C., 42 anni.
Ingegnere dal 1997 nella sede di
Fulton a Parigi, negli ultimi anni era
stata ricollocata quattro volte, da ultimo
nella Gestione relazioni clienti. Il
20 aprile si buttò dalla finestra.
Suicida n° 17 Joël, 44 anni, tecnico
nella sede Kellermann di Parigi, depresso
da quindici anni per non aver
realizzato il sogno di diventare ballerino
(raccontava a tutti di essersi esibito
con un gruppo trasgressivo al “Coconut
club”, ma nessuno gli credeva),
viveva al sesto piano, nella banlieue,
un divano letto di stoffa, pavimento di
lineolum. Il 25 maggio aprì la finestra
e si buttò di sotto. Una mail, piena di
parole di odio per France Télécom.
Suicida n° 18
Un’impiegata
del call service
d i
S a i n t
Lo. Saputo
che l’avrebbero
spostata in un negozio a far la venditrice,
si tagliò le vene con uno
scalpello.
Suicida n° 19 Michel Deparis, 51 anni,
celibe, due sorelle, impiegato quadro,
da trent’anni in France Télécom
nella sede in via Réattu, a Marsiglia.
Sportivo, grande appassionato di maratona,
aveva corso anche quella di
New York. La notte tra il 13 e il 14 luglio
(festa nazionale) si impiccò in casa
sua. Il cadavere, trovato la mattina dopo
dalla sorella Veronique. Una lettera:
«All’attenzione della mia famiglia.
E dei miei colleghi di lavoro. Diffondere
questa lettera ai miei colleghi e
ai delegati del personale. Mi suicido a
causa del lavoro a France Télécom. È
la sola causa. Urgenza permanente, sovraccarico
di lavoro, assenza di formazione,
disorganizzazione totale dell’impresa.
Management attraverso il
terrore! Tutto ciò mi ha totalmente disorientato
e perturbato. Sono diventato
un relitto, meglio finirla. […] PS: lo
so che molte persone diranno che ci
sono altre cause (sono solo, celibe, senza
figli, etc.). Ma no, con tutto questo
me la sono sempre cavata bene. È proprio
il lavoro l’unica causa». I familiari
non vollero ai funerali i dirigenti di
France Télécom, che liquidò il suicidio
come «Dramma personale». La sorella
Christine: «Non ci hanno fatto
neanche le condoglianze».
Suicida n° 20 Un tecnico dell’unità di
intervento Bretagne a Quimper. Il 30
luglio, giusto un giorno prima di rientrare
al lavoro dopo le ferie, s’arrampicò
su un ponte e si buttò di sotto.
Suicida n° 21 Nicolas G., 28 anni. Assunto
nel 2005 come tecnico interventi
rete, spostato agli interventi clienti nel
gennaio 2009, costretto a turni di 48 ore
settimanali, sempre più depresso, negli
ultimi tempi aveva persino smesso
di frequentare il cliccatissimo sito viedemerde.
fr (vitadimerda.fr), dove i ragazzi
infelici si autoderidono e dove
lui lasciava aneddoti di questo tipo:
«Oggi incontro un amico per strada.
Non mi vede e allora gli telefono. Lui
tira fuori il portatile, guarda chi chiama,
sospira e non risponde». O ancora:
«Oggi è il mio compleanno e i miei colleghi
di France Télécom mi hanno offerto
un deodorante». L’11 agosto, dopo
aver cercato di telefonare all’ex fidanzata,
si impiccò nel suo garage a Besançon.
Una lettera: «Il mio lavoro mi
fa soffrire. France Télécom mi ha messo
nella merda finanziariamente facendomi
cambiare lavoro. Oggi mi
hanno insultato, vessato, urlato. Ho
chiesto aiuto ma niente la gente se ne
fotte. Sono a disagio con i clienti, il lavoro
fa schifo e la gente è stronza (anche
cretina). I soldi... anche questa settimana
faccio 48 ore. Lavoro dalle 8 alle
19.30 con mezz’ora di pausa e capi e
colleghi non mi rispondono quando li
chiamo. Sono arrabbiato con France
Télécom. France Télécom è largamente
responsabile di quel che mi succede.
Bisogna fare una dichiarazione
d’incidente sul lavoro».
Suicida n° 22 Michel, 53 anni. Sposato,
padre di tre figli, tecnico della rete
ad alta velocità (Côte d’Amor Bretagne).
Il 29 agosto si suicidò a casa sua.
Suicida n° 23 Stéphanie detta Fanny,
32 anni. Single, abitava in 40 metri
quadri al piano terra di un vecchio immobile
a Sainte-Mandé, vicino a Parigi,
con un coniglio di nome Zébulon e
un gatto battezzato Frimousse. Uniche
note colorate dell’appartamento, un
vaso di fiori finti sul camino e una riproduzione
di Miro, il suo artista preferito.
Nessuna foto di se stessa: dopo
che gli era morta la madre era diventata
bulimica, prendendo 25 chili in
cinque anni, e da allora si sentiva brutta
e goffa. Laureata in Legge, entrata a
France Télécom a 23 anni («L’inizio
dell’inferno», secondo suo padre Guy,
63 anni), ricollocata due volte durante
la ristrutturazione, da qualche mese
aspettava il terzo trasferimento. L’11
settembre si cambiò d’abito tre volte,
alle 18 aprì la finestra del suo ufficio,
al quarto piano di un’elegante palazzina
in rue Médéric, e si buttò di sotto,
andando a schiantarsi sul marciapiede.
Gli allievi cuochi della scuola alberghiera
lì di fronte, in testa il lungo
cappello bianco da cucina, sentito il
tonfo si precipitarono a soccorrerla:
«Aveva freddo, ha chiesto una coperta
e se l’è tirata sopra il viso».
Morì in ospedale dopo un paio
d’ore d’agonia. Una mail, a suo
padre Guy, inviata alle
17.10: «Buona sera papà,
quando ti ho chiamato
questa mattina mi hai
detto che non sembravo
in forma. Hai ragione. Le
mie pulsioni suicida sono
tornate. Ho deciso di
farlo questa sera. Oh, è
inutile avvisare il proprietario
perché metterò fine ai
miei giorni al lavoro. Il mio capo non
lo sa ma sarò la 23esima impiegata a
suicidarsi. Non accetto la nuova riorganizzazione
del servizio. Cambio capo
e, per avere qual che sto per avere,
meglio morire. Lascio la mia borsa con
portatile e chiavi in ufficio. Porto con
me la carta di donatrice d’organi, non
si sa mai... A parte questo, non dimenticare
di andare a prendere Zébulon e
Frimousse per dar loro da mangiare.
Mi dispiace che tu debba ricevere questo
genere di messaggi ma sono più
che persa. Ti voglio bene papà. Stéphanie
» (il suicidio di Fanny è tra gli unici
tre archiviati da France Télécom come
«incidente sul lavoro»).
Suicida n° 24 Jean-Paul Rouennais,
51 anni. Sposato con Annie, padre di
due figli di 12 e 7 anni, dopo che l’avevano
degradato da tecnico a centralinista
s’era convinto d’essere rimbambito,
tanto che di continuo ripeteva
agli amici: «Quando uno rimbambisce
mica se ne accorge». Il 28 settembre
comprò un biglietto del cinema, poi
cambiò idea, guidò fino a un viadotto
sull’autostrada A41, all’altezza di Albysur-
Chéran (Haute-Savoie), scavalcò il
parapetto e si buttò di sotto. In macchina
una lettera alla moglie, nella
quale accusa France Télécom: «Mi
hanno ucciso loro, rendendomi la vita
impossibile» (secondo caso archiviato
come «incidente sul lavoro» dopo una
mobilitazione di tutte le federazioni
sindacali e un’indagine dal Comité
d’Hygiène, de Sécurité et des Conditions
de Travail).
Suicida n° 25 Alain, 48 anni. Sposato,
padre di tre figli, «sorriso fiero e allegro
», amava le barche e le maree, dipingeva
i paraggi della sua Bretagna.
Da tredici anni ingegnere della direzione
Ricerca e sviluppo, era considerato
come uno dei migliori elementi
della sede di Lannion (Côte d’Amor),
però gli avevano sospeso la sua promozione
nella sede di Rennes e lui
s’era fatto sempre più
cupo e depresso, tanto
che da luglio stava
in malattia e a un collega
aveva confidato il
terrore che l’azienda
lo mettesse in mobilità
forzata. La mattina del
15 ottobre la moglie,
tornando a casa con le
buste della spesa, lo
trovò che penzolava
dal soffitto della camera
coniugale. Una lettera,
dove si lamentava perché non l’avevano
promosso a Rennes.
Suicidi dal n° 26 al n° 29 Il 14 novembre
un agente clienti della direzioni
Grandi conti a Lanester (Morhiban). Il
4 dicembre un impiegato di call center
nell’Isère. Il 5 dicembre un impiegato
di Globecast a Parigi, nel terzo arrondissement.
Il 6 dicembre un quarantatreenne
addetto all’estrazione dei dati
a Villeneuve-d’Ascq.
Suicidi dal n° 30 al n° 34 Alla fine del
2009 la direzione di France Télécom
parlò di 34 suicidi tra i dipendenti: di
cinque non si ha traccia.
2010
Suicidi dal n° 35 al n° 42 Il 2 gennaio
si impiccò un impiegato di Arceuil, 33
anni. Lo stesso giorno si sparò un impiegato
di Quimper di recente spostato
al Servizio soluzioni clienti. Il 26
gennaio si suicidò un tecnico cinquantenne
ricollocato al centro d’ascolto di
Hirson. L’8 febbraio un tecnico dell’unità
intervento Normandia fu trovato
in un bosco che penzolava da un albero.
L’11 febbraio un quadro trentenne
si suicidò nella sua casa di Dijon. Il
giorno dopo s’ammazzò un project designer
cinquantatreenne dell’unità di
intervento di Parigi, in malattia per
depressione. Il 19 febbraio un cinquantaquattrenne,
degradato al call
service di Lens, si fece soffocare dai
gas di scarico della sua auto. Il 20 febbraio
si tagliò le vene un’impiegata
dell’unità di intervento Nord Pas-de-
Calais (era in malattia perché ci aveva
già provato).
Suicida n° 43 Un’impiegata di 50 anni.
Ricollocata dalla direzione del Servizio
clienti al Contatto clienti, chiese
più volte il trasferimento, che le fu
sempre rifiutato. Il 24 febbraio, dopo
l’ennesimo vano colloquio con la responsabile
delle risorse umane, tornò
a casa sua e mandò giù una boccetta di
barbiturici.
Suicida n° 44 Daniel D., 54 anni. In
France Télécom come tecnico da venticinque
anni, ricollocato, dal primo
novembre 2009, come agente di commercio,
il 25 febbraio si suicidò.
Suicida n° 45 Joël C., 51 anni. Sposato,
tre figli, manager del call center
tecnico di Lille. La notte tra il 10 e l’11
marzo si suicidò a casa sua.
Suicida n° 46 François R., 50 anni.
Impiegato di Lione, prima tecnico e
poi addetto alla fatturazione, spesso in
malattia per problemi di salute, «solitario
», il 21 marzo si buttò dalla finestra.
Suicida n° 47 Martine C., 47 anni. Assistente
della Gestione risorse umane
nell’agenzia Pro di rue Philippe Auguste
a Parigi, in malattia da mesi, il 12
aprile si uccise a casa sua.
Suicida n° 48 Una donna di anni 31.
Impiegata alla direzione Ricerca & sviluppo
a Issy-Les-Moulineaux il 23 aprile
aprì una finestra di casa sua e si
buttò di sotto.
Suicida n° 49 Dominique D., 52 anni.
Tecnico a Lille, mai colpito dalla ristrutturazione
di France Télécom, separato
e padre di quattro figli, il 9 maggio
si impiccò nella sua casa di Loos.
«Il suo responsabile, preoccupato di
non vederlo al lavoro, lo ha trovato a
casa morto» (il portavoce di France
Télécom).
Suicida n° 50 Denis D., 59 anni. Vicedirettore
di un’Agenzia vendita e servizio
clienti, in malattia per depressione,
nella notte tra il 10 e l’11 maggio, a
Marq-en-Baroeul, nei pressi di Lille,
s’arrampicò su un ponte pedonale e si
buttò di sotto. Una mail, al suo superiore,
per dire che s’era ammazzato
per «motivi personali».
Aspiranti suicidi Tentativi di suicidi
a France Télécom negli ultimi due anni:
36. Il caso più brutale e spettacolare,
quello di Yonnel Dervin, sposato e
padre di un ragazzo di 23 anni, che il 9
settembre 2009, a 49 anni, di cui trenta
passati dentro France Télécom, fu declassato
da ingegnere per i sistemi
aziendali ad addetto guasti per i clienti
privati, sentendosi dire dalla direzione:
«Caro Yonnel, alla tua età non ci
sono più prospettive di carriera, sei arrivato
al massimo delle tue capacità».
Il giorno dopo alle 8.30, durante la riunione
che avrebbe reso ufficiale la
riorganizzazione della sede France
Télécom di Troyes, quando arrivò il
suo turno Yonnel, alto, stropicciato, il
volto grigio, si alzò in piedi, si mise a
parlare dei disagi e del malessere dei
dipendenti e mentre parlava, senza
tremori, tirò fuori un coltello e se lo infilò
nella pancia. Salvato, si fece poi intervistare
accanto alla moglie, in tuta e
pantofole, nel salotto di casa con le pareti
rosse: «Avrei preferito morire.
Nella mia testa vedo ancora tutto nero
».

Moda dei suicidi «Bisogna finirla con
questa moda dei suicidi» (l’ex presidente
e amministratore delegato di
France Telecom Didier Lombard, che
poi si dovette scusare per la frase).
(A cura di Jessica D’Ercole
e Roberta Mercuri)

© Copyright Il Foglio 17 maggio 2010

Francia Socialisti all’assalto «Nei licei assegni per la contraccezione»

Una battaglia politico-giuridica è in corso da oltre un anno in Francia fra la presidentessa socialista della Regione Poitou-Charentes, l’ex candidata perdente all’Eliseo Ségolène Royal, e il ministero dell’Istruzione. Il pomo della discordia è un piano di distribuzione regionale gratuita nei licei di «assegni per la contraccezione» destinati in particolare alle liceali: un dispositivo approvato a Poitiers dal Consiglio regionale nel marzo 2009, nonostante il parere negativo ministeriale. L’ultimo atto della diatriba si è consumato nei giorni scorsi, con l’invio alla volta di Parigi da parte della presidentessa regionale di una petizione sottoscritta da un migliaio di firme. Vi si chiede che le infermiere distaccate nei licei possano distribuire gli assegni alle studentesse, invocando la prevenzione contro le gravidanze non desiderate.
I
l destinatario della petizione non è tuttavia il ministro dell’Istruzione, ma il presidente della Repubblica in persona, Nicolas Sarkozy. Nel testo inviato all’Eliseo si può leggere: «Le trasmetto questa petizione firmata da liceali, genitori di allievi e da professionisti della sanità chiedendole di rivedere la decisione del ministro dell’Istruzione e di autorizzare la distribuzione dei pass­contraccezione da parte delle infermiere scolastiche». Il braccio di ferro solleva da tempo un gran polverone, sullo sfondo di accuse incrociate fra i sostenitori della Royal e il campo governativo neogollista. Da un punto di vista amministrativo, i licei rappresentano una competenza regionale. Ma le infermiere scolastiche, così come i presidi degli stessi licei, sono posti sotto la tutela dei provveditorati, dunque dello Stato. Il personale si è dunque trovato fra l’incudine e
il martello.
A
l di là di tutti i complessi e contorti risvolti giuridici del caso, tanto il ministero quanto molti osservatori indipendenti hanno ricordato che l’accesso alla contraccezione gratuita per gli studenti è già consentita da anni presso i centri di planning familiare, legati amministrativamente ai dipartimenti, l’equivalente transalpino delle nostre province. Ma allora perché tutte queste lunghe e strenue battaglie di trincea, visto che anche molti studenti già al corrente del dispositivo tradizionale si sono stupiti dell’iniziativa del Consiglio regionale? Da tempo, sono molti gli osservatori che accusano la Royal di un’azione ben poco ortodossa volta principalmente all’autopromozione politica, in vista soprattutto dell’ormai non lontana nuova corsa per l’Eliseo.


Daniele Zappalà


© Copyright Avvenire 13 maggio 2010

Svolta in Francia, donne nella massoneria

La decisione del Grande Oriente transaspino: le logge non saranno più accessibili solo agli uomini

La decisione adottata dopo una discussione lunga un anno. Sono 50 mila gli aderenti

Svolta in Francia, donne nella massoneria

La decisione del Grande Oriente transaspino: le logge non saranno più accessibili solo agli uomini

Il simbolo della massoneria francese
Il simbolo della massoneria francese
MILANO - Storica svolta nella massoneria francese. Il Grande Oriente di Francia, la più grande e antica federazione massonica del paese transalpino, composta da circa 50.000 adepti, ha deciso di ammettere al suo interno membri di sesso femminile. Giovedì scorso Pierre Lambicchi, attuale Gran Maestro della società fondata nel lontano 1733 ha approvato la proposta che permette alle donne di essere “iniziate” a una delle 1.150 logge della federazione massonica

DIBATTITO DECENNALE - Da circa un decennio ormai i membri del Grande Oriente di Francia discutevano se ammettere le donne nell'associazione. Anche lo scorso settembre, durante l'annuale incontro dei rappresentanti delle varie logge a Lione, gli adepti hanno discusso il tema con grande concitazione. Alla fine la proposta è stata messa ai voti, ma non ha ottenuto la maggioranza. Vi è stata una forte spaccatura tra i rappresentanti e molti di questi hanno abbandonato la riunione in segno di protesta. A distanza di sette mesi è arrivata la svolta grazie all'iniziativa personale del Gran Maestro Lambicchi. Quest'ultimo ha delegato la decisione non più ai rappresentanti, bensì alla Camera Suprema di Giustizia Massonica, l'organo che ha il compito di far rispettare le norme all'interno dell'associazione. Lo scorso 8 aprile la Camera Suprema ha emesso la «sentenza» sostenendo che non vi era nei regolamenti alcun espresso divieto che impediva alle donne di far parte dell'associazione.

PRESENZA FEMMINILE - In realtà sin dal 1974 diverse donne hanno partecipato ai lavori delle logge del Gran Oriente di Francia. Nell’ultimo anno, poi, un gruppo di logge ribelli ha clandestinamente «iniziato»alla massoneria transalpina ben sei donne. Infine il 21 gennaio scorso, la transessuale Olivia Chaumont è stata proclamata «sorella» della federazione massonica.«Oggi esistono quasi 1200 logge legate al Grande Oriente di Francia - dichiara il Gran Maestro Pierre Lambicchi a Europe 1 -. Solo il 10% delle logge non fa partecipare le donne ai lavori dell'associazione. Penso che la stessa percentuale sia contraria alla loro iniziazione. Adesso i membri del Grande Oriente di Francia devono discutere altri temi visto che questo dibattito ha ingolfato i nostri lavori per una dozzina d'anni».

Francesco Tortora
10 aprile 2010

© Copyright Corriere della Sera

Francia: perché aumentano costantemente i battesimi di adulti? Grazie a nuove comunità laicali come i movimenti.

Di Cristina Vonzun

Terra ritenuta da anni culla della secolarizzazione, la Francia come altri paesi in Europa, sta scoprendo il ritorno di adulti alla fede cattolica. Saranno circa 3000 quelli che riceveranno il battesimo durante la Veglia di Pasqua. Negli ultimi anni l'aumento è continuo e costante. Un terzo dei giovani e degli adulti che saranno battezzati proviene dalla regione di Parigi e due terzi sono donne. Circa la metà dei catecumeni ha alle spalle famiglie cristiane, l'altra metà viene da famiglie agnostiche, mentre un 1% è di origine ebraica e il 5% di origine musulmana. Questi nuovi cattolici hanno seguito dei percorsi di formazione un po' inusuali, non solo in luoghi classici come le parrocchia. Per molti di loro il Vangelo è stato incontrato in ospedale, in prigione, all'università, grazie a colleghi di lavoro e, ancora, grazie a nuove comunità laicali come i movimenti. Hanno conosciuto il Vangelo annunciato dal "pulpito" della vita.

© Copyright Il Giornale del Popolo

Francia, dove l’aborto è come un’appendicite

di Daniele Zappalà
I
n origine, le autorità francesi auspicavano l’eccezione abortiva. Ma 35 anni dopo l’introduzione dell’aborto, raccolgono invece un frutto imprevisto. Un frutto sintetizzato da un dato che a ogni stagione torna in modo sinistro nelle statistiche ufficiali con la regolarità di un macabro metronomo: oltre 200 mila aborti l’anno, nonostante tutti gli investimenti pubblici riversati nel tempo in politiche contraccettive di massa. Ovvero, un aborto per quattro nascite. Un dato che, comparativamente, è all’incirca doppio rispetto a quello della vicina Germania.

A
lungo confinate nel cono d’ombra di una sorta di
politically correct alla francese, certe domande cominciano a emergere nel dibattito pubblico. Ma cosa c’è dietro il cosiddetto «paradosso abortivo francese»? Perché, in altri termini, nulla sembra poter far calare quel dato inquietante proprio nel Paese dove il «diritto alla contraccezione» è divenuto più che altrove una sorta di stendardo delle politiche sanitarie? Fino a che punto le autorità hanno rispettato lo spirito della legge Veil sull’aborto? E quanto ha contribuito al paradosso francese l’introduzione della pillola abortiva, autentica 'specialità' industriale nazionale?
F
ra le voci che hanno rotto il ghiaccio, c’è stata quella del noto scrittore e opinionista Eric Zemmour. In un editoriale sulla radio di massimo ascolto, l’intellettuale ha interpretato in questi termini quanto è accaduto a partire dal 1975: «All’epoca, la legge Veil era un testo fondato sull’idea del male minore. L’aborto veniva tollerato perché si preferiva la protezione della legge ai pericoli dell’illegalità. Ma secondo una logica molto francese del diritto a tutto, si è passati dalla tolleranza compassionevole a un diritto acquisito che si vuole sviluppare sempre di più. Un miscuglio di tentazione burocratica, di furore egualitarista e di ideologia femminista che pensa sempre, come Simone de Beauvoir, che la maternità sia incompatibile con l’emancipazione».
Zemmour sostiene la tesi che il paradosso francese sia in realtà alimentato dalle stesse autorità pubbliche. A supporto di questa tesi, lo scrittore ha citato alcuni esempi recenti. Come una vasta campagna di manifesti nella regione parigina centrata sullo slogan «Sessualità, contraccezione, aborto. Un diritto, una scelta mia, la nostra
libertà». O ancora, l’affermazione del ministro della Sanità, Roselyne Bachelot, secondo cui l’aborto deve diventare dappertutto «una componente obbligatoria dell’offerta sanitaria».
La conclusione dell’opinionista è che ormai in Francia si parla d’aborto «con l’aria distaccata che si utilizzerebbe per parlare di operazioni d’appendicite».

I
n chiave più scientifica e sulla base di uno studio preciso, a sostenere la tesi di un ricorso vieppiù banale all’aborto nella società francese è stato anche l’Istituto nazionale di studi demografici (Ined), il
più autorevole organismo pubblico di ricerca. Per i demografi dell’Ined, a parità di altri fattori «la stabilità dei tassi di Ivg [interruzione volontaria di gravidanza, ndr] sembra proprio tradurre un aumento della propensione a ricorrere all’aborto in caso di gravidanza non prevista».

D
al ricorso come via estrema e legalizzata per «donne in stato di sofferenza», secondo la definizione della legge Veil, si è passati a una crescente «propensione» che, fuori dal gergo scientifico, vuol dire banalizzazione. La legge Veil è stata col tempo «sviata» dalle stesse autorità, secondo un termine utilizzato da Zemmour e da altri commentatori. Ma i comportamenti collettivi in Paesi democratici come la Francia non possono certo essere condizionati solo da una corrente di pensiero divenuta prevalente nelle alte sfere amministrative. Altri fattori, soprattutto 'dal basso' hanno di certo contribuito al paradosso abortivo francese. I sospetti convergono sull’introduzione Oltralpe della pillola abortiva, la Ru486, avvenuta qui prima che altrove data l’origine francese del prodotto. In pochi anni, l’aborto chimico ha superato il 30% del totale e questa proporzione pare destinata a crescere. Negli ultimi anni le autorità hanno infatti allungato la lista delle strutture in cui sarà possibile ricorrere all’aborto chimico. Inizialmente limitato agli ospedali, il cerchio si è poi allargato a
una rete sempre più ampia di ambulatori medici convenzionati. Dall’anno scorso sono stati autorizzati persino i centri per la pianificazione familiare, strutture la cui esistenza e i cui finanziamenti sono legati ai risultati annuali. Intanto è stato introdotto un cambiamento senza troppo clamore: nel libretto informativo dato alle donne indecise se abortire o meno non compaiono più i dettagli dei sussidi pubblici a favore della gravidanza e delle giovani madri.

S
ui siti Internet 'femminili' francesi crescono le richieste di aiuto da parte di donne sole e disorientate di fronte ai drammatici 'imprevisti' dell’aborto chimico. I principali segnali di resistenza contro l’avanzata di una concezione banalizzata dell’aborto giungono non a caso proprio dalle donne. Secondo un recente sondaggio pubblicato dal settimanale cattolico
La Vie , il 61% delle francesi ritiene che si pratichino troppi aborti, mentre l’83% ammette «conseguenze psicologiche difficili da vivere».

© Copyright Avvenire 25 marzo 2010

Simone Veil all’Académie française, ma c’è chi la chiama Musa della morte. L'Immortale e la legge sull'aborto

Parigi. Qualche protesta c’è stata, ma in
sordina, per l’ingresso di Simone Veil all’Académie
française. Magistrato, presidente
del Parlamento europeo, membro
del Consiglio costituzionale, questa
splendida matriarca ottantatreenne è
una delle personalità politiche più amate
dai francesi. E lo scrittore Jean d’Ormesson,
nel suo magnifico discorso di
benvenuto, ha indicato le molte ragioni di
quest’entusiasmo. Ma Simone Veil è anche
il controverso ministro della Sanità
di Valéry Giscard d’Estaing che nel 1975
ha depenalizzato l’aborto, e anche di questo
D’Ormesson ha dato conto, pur con
una visione culturalmente simpatetica, ricordando
le contestazioni che investirono
il ministro da parte di esponenti religiosi
di diverse fedi e confessioni, per i quali
la donna più apprezzata di Francia resta
ancora oggi “la Musa della morte”. Per
D’Ormesson “l’enigma” di Simone Veil risiede
nel connubio di tradizione e modernità,
nel suo spirito di indipendenza:
“Femminista, ma custode della differenza
di genere, paladina dei più deboli, ma
contraria alla vittimizzazione, severa con
sé e con gli altri nel rifiutare la Legion
d’onore in modo implacabile: ‘Non basta
essere finiti in un campo di sterminio per
meritare una decorazione’”, ha ricordato
con un discorso che ha rapito tutti, capo
dello stato compreso.
Eletta nel novembre 2008, Simone Veil
occupa il tredicesimo seggio che fu di
Racine, di Loti, di Claudel, di Maurice
Schumann e del gollista Pierre Messner,
l’eroe della resistenza, divenuto negli anni
Settanta il premier di Georges Pompidou
e al quale Simone Veil ha dedicato
la sua eulogia, letta con qualche incertezza.
Dall’ingresso alla Coupole di Marguerite
Yourcenar nel 1980, Simone Veil è la
sesta donna ammessa a sedere fra i quaranta
“immortali”, tanti sono i membri
dell’Académie, dalla sua fondazione nel
1635, per volere del cardinale Richelieu,
col compito di vegliare sulla lingua nazionale.
E lei, che non è una scrittrice e
nemmeno un’oratrice sensazionale, deve
la sua elezione non solo all’insistenza
della sovietologa Hélène Carrère d’Encausse,
la studiosa che all’inizio degli anni
Ottanta previde l’implosione dell’Urss,
ma al rispetto e all’autorevolezza per una
vita esemplare.
Nata in una famiglia di patrioti ebrei
molto laici e assimilati, Simone Veil è la
figlia di un famoso architetto parigino,
André Jacob, che combatté i tedeschi nella
Prima guerra mondiale, e decise poi di
trasferirsi a Nizza. Sorpresa dalla disfatta
militare nel 1940, Simone Veil ha vissuto
sulla propria pelle la legislazione antisemita
del regime di Vichy, l’occupazione
italiana più blanda verso gli ebrei, come
ha ricordato D’Ormesson, e poi lo sbarco
della Gestapo a Nizza con l’arrivo di Alois
Brunner. Nel marzo del 1944, mentre festeggiava
la fine degli esami di maturità,
fu fermata da due civili per un controllo
di identità e arrestata perché in possesso
di documenti falsi. Internata con la madre
e la sorella a Drancy, verrà deportata ad
Auschwitz su un vagone piombato, restando
senza notizie del padre e del fratello,
che spariranno nel nulla tra Kaunas e Tallin,
e della sorella Denise, che riuscirà a
sopravvivere al lager di Ravensbrück.
Due anni fa, nell’autobiografia (“Une vie”,
Grasset) Simone Veil ha raccontato per filo
e per segno i lunghi mesi nel lager nazista,
le bugie che le salvarono la vita,
l’aiuto ricevuto da una vecchia prostituta,
caporeparto, che la spedì a lavorare nelle
cucine, la marcia della morte in pieno inverno,
la morte della madre per tifo, un
mese prima dell’arrivo degli inglesi a Bergen
Belsen, e il ritorno a Parigi come un
fantasma in cerca di parenti al Lutétia.
“Con lei, la Shoah entra all’Académie”, ha
detto commosso Jean d’Ormesson.
Da ministro Simone Veil è diventata,
nell’ideologia abortista corrente, il simbolo
del riscatto dalla vergogna delle donne
“costrette a nascondere il loro stato, sole,
senza nessuno che le protegga” e passibili
della pena capitale secondo la legge del
1920. La depenalizzazione dell’aborto in
Francia fu una battaglia campale, vinta
grazie alla sinistra. Ma fu anche oggetto di
reazioni dure e radicali da parte dei “cattolici
integralisti”, come li ha definiti
D’Ormesson, dei luterani e persino degli
ebrei ortodossi. Proprio loro, a New York,
nel 60° della liberazione di Auschwitz
contestarono la scelta della Veil come
rappresentante dei deportati.
Di quella battaglia che ha causato la
morte di milioni di concepiti, oggi Simone
Veil sembra prendere le distanze, quando
riconosce “l’evidenza scientifica che sin
dal concepimento si tratta di un essere vivente”.
Ma non basta a fugare tutte le riserve
sulla sua consacrazione. Alla messa
gregoriana di domenica scorsa a Saint Nicolas
du Chardonnet, la roccaforte dei lefebvriani
dove il prete all’altare dà le
spalle ai fedeli seguendo la liturgia antica,
sono risuonate parole di fuoco contro
“la Musa della morte” e la sua legge “iniqua
che ha causato tante vittime innocenti”.
Il parroco ha invitato i fedeli – molte
donne col velo di pizzo e fanciulli dall’aria
pia accanto ai genitori come negli anni
Cinquanta – a manifestare sul Quai de
Conti “contro un omaggio che disonora il
prestigio di un istituto fondato da un cardinale
rispettoso della legge divina”.

Marina Valensise

© Copyright Il Foglio 19 marzo 2010

La Francia? È una donna incinta

DA P ARIGI D ANIELE Z APPALÀ
Campagna del governo a favore della maternità: una Marianna col pancione ricorda che la nazione ha tassi di fecondità tra i più alti d’Europa

« L
a Francia investe nel suo avvenire » . Lo slo­gan, impiegato dal go­verno transalpino per promuove­re la campagna d’investimenti nell’innovazione nota come ' grande prestito', sembra dei più convenzionali. A non esserlo è però l’immagine sullo sfondo, ov­vero una donna incinta recante sul capo il tradizionale berretto frigio che rimanda subito nell’immagi­nario francese a Marianna, l’eroi­na simbolo della Repubblica.
Secondo gli esperti di comunica­zione, la campagna pubblicitaria sfrutta l’immagine positiva della maternità in Francia, nazione da anni sul tetto d’Europa per tassi di fecondità. Ad avvicinare l’idea cor­rente della maternità e l’azione politica sono state negli anni an­che ' politiche familiari' fra le più generose del Vecchio continente. L’impiego di un simbolo talmen­te forte ha finito per indisporre
l’opposizione, ma per ragioni so­prattutto di calendario politico. Il Partito socialista riconosce l’effi­cacia mediatica della campagna, ma la giudica non opportuna a po­che settimane dalle elezioni re­gionali. Il governo è accusato in particolare di strumentalizzare il successo subliminale prevedibile legato alla ' Marianna incinta' a scopo elettorale, cioè a favore del partito neogollista di maggioran­za del presidente Nicolas Sarkozy. Quest’accusa, hanno sottolineato vari osservatori, dimostra ancor più quanto la percezione positiva della maternità sia oggi un patri­monio sempre più condiviso nel Paese. Persino le nuove leve del femminismo francese criticano ormai apertamente le vecchie per­plessità sull’istinto materno delle rappresentanti più anziane del movimento. Se la campagna pub­blicitaria ha attirato pure qualche critica legata ai suoi costi o al pre­sunto non rispetto di certi detta­gli iconografici classici, il diritto di rappresentare la maternità come simbolo pubblico positivo e con­diviso di prosperità o di fiducia nel futuro non è stato invece conte­stato.

© Copyright Avvenire 20 febbraio 2010

CAR TONE PRO GAY VIETATO DAL GOVERNO NELLE SCUOLE ELEMENTARI. Così la Francia oscilla tra la lotta all’omofobia e l’indifferentismo sessuale

Ci voleva la faccia tosta di Luc Chatel, il
ministro francese dell’Educazione, per
bloccare la diffusione nelle scuole elementari
di un cartone animato contro l’omofobia.
Il ministro, già tesoriere dell’Ump
e fedelissimo del presidente Nicolas
Sarkozy, ha accolto le proteste “in rispetto
alla neutralità della scuola” dell’ex
ministro per la Casa, Christine Boutin, che
è anche presidente del Partito cristiano
democratico.
Il caso nasce dall’iniziativa di un regista,
Sébastien Watel, che ha voluto realizzare
un “cortometraggio poetico” per raccontare
in 26 minuti come evolve lo sguardo
sui rapporti amorosi omosessuali. Nel
trailer, molto poetico e naïf, si vede una
gattina viola, Agathe, che sale di notte su
un castello in riva al mare, guardando la
luna. Fuori campo, una voce femminile
commenta: “La vecchia Agathe aspetta ancora
il suo principe azzurro”. Una seconda
voce femminile annuncia: “Stasera raggiungerò
il mio sole in barca”. Segue il monito
di un vecchio sapientone: “La Luna è
matta a innamorarsi del Sole”. Poi entra
in scena un verde pesce gatto: “Agathe come
gattina è molto gentile, anche se sta
sempre a raccontare vecchie favole di
principi e principesse”. E in primo piano
compare un giallo pesce luna: a quel punto
il verde pesce gatto confessa: “Stanotte
ho incontrato Léon, il pesce luna, che mi
ha fatto brillare come un sole. Ma non me
ne devo innamorare, perché non somiglia
affatto a una principessa”. Segue pedagogia
per gli alunni delle elementari: “Non
l’ho ancora detto alla nonna che la mia
principessa è lui… ne sarà talmente delusa.
Ma Léon, non voleva che ci nascondessimo,
amava troppo la luce”. Infatti sorge
il sole e i due nuotano felici e contenti.
E’ un po’ troppo, anche per un paese
emancipato come la Francia, dove l’amore
omosessuale, sin dai tempi dei Valois,
non è mai stato tabù. “Questo film vuole
dire a bambini di otto-dieci anni che l’amore
tra un uomo e una donna è fuori moda,
mentre la giovinezza, e quindi l’avvenire,
è l’amore tra persone dello stesso sesso”,
ha commentato la Boutin. E Chatel si
è convinto: “Va bene combattere l’omofobia,
va bene sensibilizzare gli alunni di licei
e scuole medie, ma trattare questi temi
alle elementari mi sembra prematuro”, ha
detto il ministro, annunciando per fine
febbraio una campagna nazionale contro
l’omofobia, ma criticando un’iniziativa privata,
messa in piedi da una società di produzione
bretone, col sostegno dei dipartimenti
di Bretagna, Côtes d’Armor, Finistère
e del comune di Rennes.
Adesso però è guerra. A sinistra, i sindacati
degli insegnanti e un’associazione di
genitori, brandendo le statistiche sui suicidi
di alunni gay, chiedono al ministro di
ritrattare. “E’ proprio alle elementari che
deve iniziare la battaglia contro l’omofobia,
prima cioè che vengano interiorizzati
stereotipi culturali e comportamenti discriminatori”.
A destra, altre associazioni
denunciano il filmato per incitamento all’omosessualità,
mentre l’appello del settimanale
Les 4 vérités contro il cartone ha
raccolto in dieci giorni 15.600 firme.

Marina Valensise

Il Foglio 5 febbraio 2010

Chi è il filosofo cattolico che subentra al cardinale Lustiger nell’Académie

Roma. Qualcosa sta cambiando anche
fra i Lumi di Parigi, se all’Académie
française il seggio lasciato vacante dal cardinale
Jean-Marie Lustiger, nominato arcivescovo
di Parigi nel 1981 da Giovanni
Paolo II e scomparso nell’estate 2007, è andato
al filosofo cattolico Jean-Luc Marion,
che insegna Metafisica alla Sorbona, è l’erede
di Paul Ricoeur all’Università di Chicago,
e ha le stesse posizioni del Vaticano
in fatto di bioetica e immigrazione. Eletto
al primo turno un anno fa, Marion è stato
accolto ieri da monsignor Claude Dagens
alla Coupole, l’edificio sulla Senna che da
quattro secoli ospita i 40 immortali, e ha
tenuto a sua volta un magnifico discorso su
monsignor Lustiger, nato ebreo da due polacchi
emigrati a Parigi, e convertito al cristianesimo
grazie alla lettura della Bibbia.
Marion è uno studioso di Cartesio, formato
nel più classico dei modi: liceo Condorcet,
Ecole Normale, assistente di Ferdinand
Alquié alla Sorbona. Nel 1975 fu
tra i fondatori di “Communio”, rivista voluta
da Jean Daniélou che ebbe in Joseph
Ratzinger il suo responsabile in Germania,
e impose tesi oggi correnti, come la razionalità
della fede cristiana e il suo diritto
a esporsi sulla pubblica piazza. Ma il
successore di Lustiger, che nel 1970 celebrò
le sue nozze e lo volle poi come suo
collaboratore a Notre Dame, ha avuto pure
la sua stagione heideggeriana alla scuola
di Jean Beaufret, un vecchio resistente
che da discepolo di Martin Heidegger ne
sdoganò il pensiero in Francia e poi finì filonegazionista.
Alla rue d’Ulm, Marion ha
frequentato Althusser, Deleuze, Derrida e
il decostruzionismo, preparandosi ad affrontare
la crisi della filosofia contemporanea,
“crisi della razionalità ridotta a calcolo
e quantificazione, specie se strumentalizzata
dal potere della tecnica e della
politica”, come ha ricordato Dagens. La
differenza, rispetto a un semplice heideggeriano,
è che Marion, forte della cultura
classica e cristiana recepita grazie ai giganti
della patristica come Henri de Lubac,
Marie-Joseph Le Guillou e Hans Urs
von Balthasar, concepisce la fine della metafisica
e la morte di Dio come il tramonto
di concetti idolatrici, di presunti valori supremi,
e sfida le tesi di Nietzsche con una
prova di verità, convinto com’è che non si
può rinunciare a Dio se si vuole superare
le strettoie del nichilismo in cui si è cacciata
la razionalità moderna.
L’altro grande tema della sua riflessione
è l’amore, che per il cattolico Marion
precede l’essere, e dunque permette di
correggere l’idea cartesiana della soggettività
come ego cogitans, e riscoprire da
moderni un fondamento metafisico che ha
nel dono il suo mistero. Lo dimostra il discorso
che Marion ha dedicato ieri al suo
predecessore, il cardinale Lustiger, dove
l’omaggio a una grande figura del cattolicesimo
contemporaneo, l’uomo che all’unisono
col Papa polacco seppe riconciliare
la chiesa e la modernità in nome dei diritti
dell’uomo, diventa anche l’elogio dell’ebreo
convertito, che riuscì a ripensare la
fedeltà del cristianesimo al giudaismo,
conciliando le due anime d’una stessa promessa
universale di elezione.

Marina Valensise

Il Foglio 22 gennaio 2010

Così la Francia riscrive, senza smagliature, le proprie regole di bioetica

Roma. Bisogna riaggiornare le leggi sula
bioetica? In Francia si fa così: invece
di focalizzarsi su posizioni, e proiezioni
delle stesse, incomponibili restando inchiodati
su fronti contrapposti, tipo
scientisti-progressisti da un lato e clericali-
oscurantisti dall’altro, si organizza il
consenso attraverso un dibattito pubblico.
Per mesi e mesi i francesi hanno convocato
gli stati generali della bioetica,
per discutere di embrioni e uteri in affitto,
dono di gameti e fecondazione post
mortem. L’Assemblea nazionale, intanto,
dava mandato a una trentina di parlamentari
per allestire una missione conoscitiva
e per un anno costoro hanno proceduto
a un centinaio di audizioni.
Esperti, filosofi, scienziati, medici, assistenti
sociali: non c’è categoria, gruppo
sociale o corporazione che non sia stata
ascoltata. Alla fine, Jean Léonetti, il deputato
Ump del Midi che nel 2004 diede
il nome alla prima legge sulla bioetica,
ha stilato una sintesi dei desiderata e dei
possibili in un rapporto che ieri pomeriggio
è stato presentato ai membri della
missione per essere messo ai voti.
Il rapporto Léonetti non ha nulla di rivoluzionario;
consta di 94 proposte che
rispettano i princìpi della gratuità, della
dignità e dell’anonimato che sinora hanno
ispirato il legislatore, e ne aggiunge
uno nuovo: “L’interesse del bambino a
nascere”. In tema di gravidanza per conto
terzi, per esempio, il rapporto ribadisce
il divieto dell’utero in affitto, tema
che ha suscitato un intenso dibattito, con
posizioni inattese come quella di Sylviane
Agacinski, consorte dell’ex premier
socialista Lionel Jospin, la quale ha bocciato
la pratica dell’utero in affitto in nome
dell’inviolabilità del corpo umano e
della dignità della donna. In tema di fecondazione
artificiale, il rapporto Léonetti
ribadisce l’anonimato del dono di
gameti (ovuli e spermatozoi), contro
quanti invece ne reclamavano la pubblicità,
secondo lo stesso principio che autorizza
un figlio adottivo a conoscere l’identità
dei suoi genitori naturali. Infine
il rapporto insiste nel limitare la procreazione
assistita alle sole coppie eterosessuali,
deludendo le attese di coppie
omosessuali e donne sterili ma sole.
La novità più clamorosa è che il rapporto
Léonetti autorizza, a titolo del tutto
eccezionale, l’impianto post mortem di
un embrione già formato in vitro, nel caso
di un progetto di fecondazione assistita
interrotto dalla morte accidentale del
padre. Il rapporto stabilisce infatti che il
trasferimento dell’embrione nell’utero
materno può essere autorizzato dopo tre
o sei mesi di vedovanza, e entro un lasso
di tempo di diciotto o ventiquattro mesi
dal momento del decesso. Ma il legislatore
francese continua a vietare l’utilizzazione
dei gameti post mortem, quindi
niente fecondazione con lo sperma di un
morto. L’argomento di Jean Léonetti, in
questo senso, è dirimente: “Un embrione
è un essere in divenire e in questo caso
non si può negare il progetto genitoriale”.
In effetti l’intento della missione parlamentare
d’inchiesta era di offrire al legislatore
tutte le garanzie per evitare il
rischio di commercializzazione, ha spiegato
il presidente della missione Alain
Clayes, deputato socialista, eletto a Vienna.
A malincuore, il socialista ha dovuto
ammettere che il rapporto Léonetti continua
a rispettare il divieto di ricerca sull’embrione
e le cellule staminali embrionali,
sancito dal 1994, ma attutito nel 2004
da un regime di deroga. Oggi infatti le ricerche
sugli embrioni possono essere autorizzate,
in deroga alla legge, dall’Agenzia
nazionale di biomedicina, per finalità
terapeutiche e per un periodo di cinque
anni. La novità del rapporto Leonetti
consiste nel sostituire alla “finalità terapeutica”
l’accezione più larga di “finalità
medica”, e nel sopprimere la durata della
deroga, fermo restando il principio di
vigilanza etica assicurato dall’Agenzia e
il divieto assoluto di clonazione e di creare
embrioni a scopo di ricerca. Ultima
novità, le coppie che ricorrono alla diagnosi
preimpianto perché portatrici di
gravi malattie genetiche possono chiedere,
in aggiunta, di individuare la trisomia
21. Il rapporto recepisce la proposta lanciata
dal Comitato nazionale di etica, restringendola
però a una condizione e
cioè in presenza di “fattori che predispongano
all’anomalia genetica, come
l’età della gestante”.
Marina Valensise

Il Foglio 19 gennaio 2010

Fischiato il vescovo che non vuole dire messa in latino. In Normandia cacciato il prete che segue il rito antico Ma i fedeli lo difendono

di Andrea Tornielli
Tratto da Il Giornale del 7 gennaio 2010

Il vescovo contestato, fischiato dai fedeli e lasciato fuori dalla chiesa perché voleva trasferire il parroco giudicato troppo tradizionalista. È accaduto a Thiberville, nella diocesi di Evreux, in Normandia e il caso fa discutere il mondo cattolico francese.

La parrocchia di Thiberville viene considerata uno dei rari casi in Francia di perfetta applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, con il quale nel 2007 Benedetto XVI decise di liberalizzare la messa antica in vigore prima del Concilio. L’abbé Francis Michel, parroco dal 1986, da tempo ormai celebra personalmente, ogni domenica, una messa pomeridiana in rito antico che si aggiunge alle tre celebrate secondo il messale post-conciliare. Tutte le messe, quelle alla vecchia maniera come quelle alla nuova, sono celebrate con il sacerdote rivolto verso oriente, che dunque dà le spalle ai fedeli.

La parrocchia, che conta 4. 500 anime, è fiorentissima: le chiese – ben tredici i campanili nel paese e nelle campagne circostanti – sono sempre piene, i bambini che frequentano il catechismo sono 120, una trentina le prime comunioni ogni anno. Si fanno ancora le processioni, si celebrano i battesimi individuali, c’è l’adorazione del Santissimo e i riti funebri sono sempre presieduti da un prete e non da laici come accade sempre più spesso nella secolarizzata Francia. Nonostante i risultati in controtendenza con quanto accade in altre zone della diocesi e del Paese, sono cresciuti i malumori tra il clero per i metodi dell’abbé Michel. Lo scorso maggio si sono diffuse le prime voci sul suo possibile trasferimento. Il provvedimento del vescovo, Christian Nourrichard, è arrivato nelle scorse settimane e domenica 3 gennaio il prelato si è presentato nella chiesa parrocchiale di Thiberville per celebrare la messa e insediare il nuovo parroco. Il paese si è mobilitato, con il sindaco e i consiglieri regionali in testa, per protestare. Rivestito di paramenti color arcobaleno, monsignor Nourrichard, non appena fatto l’ingresso, è stato aspramente contestato dai parrocchiani, che hanno cominciato a fischiarlo, hanno fatto scendere i loro figli chierichetti dall’altare, hanno abbandonato la chiesa per trasferirsi in un’altra, dove il parroco dimissionato celebrava la messa.

Il vescovo ha cercato di raggiungerli e di entrare nella chiesa, ma i fedeli lo hanno fermato e gli hanno impedito di entrare. Monsignor Nourrichard si è ripresentato in paese al pomeriggio, per la messa in rito antico, e ha constatato che la chiesa era piena e che la sua decisione di trasferire il parroco dovrà essere «attentamente valutata coi suoi collaboratori».

Molti fedeli sostengono che la decisione del vescovo, che conosce bene l’abbé Michel in quanto suo vecchio compagno di seminario, non aveva motivazioni se non quella di dare una direzione meno tradizionale alla parrocchia. Nei siti web blog vicini al mondo tradizionalista si esalta la resistenza degli abitanti di Thiberville: «Quella buona gente ha applicato senza conoscerlo – si legge nel blog messainlatino. it – il motto del neovescovo dell’Aquila, monsignor D’Ercole: se il vescovo dice o si comporta in modo diverso dal Papa, per evitare lo strabismo si guardi soltanto al Papa». Ma c’è chi esprime preoccupazione per l’atto di disobbedienza nei confronti del vescovo da parte del sacerdote e dei suoi fedeli.

Cattolici di Francia: un gregge poco praticante


Solo il 4,5% dei francesi che si dichiarano cattolici frequenta abitualmente la S.Messa domenicale, il 15% ci va una volta al mese...

questi i dati più significativi di un’inchiesta realizzata per conto del quotidiano cattolico “La Croix” e pubblicata lo scorso 28/12/2009.
La vasta indagine (131.141 interviste in un periodo compreso fra il 2005 e il 2009) ha quindi definito che, per la maggior parte degli intervistati, l’appartenenza religiosa non viene rappresentata dalla presenza domenicale alla celebrazione eucaristica; confrontando i dati con quelli di altri paesi cattolici europei la conclusione degli studiosi è che la Francia di oggi è il paese dove la pratica domenicale è la più bassa. Nel 1952 l’81% dei francesi si dichiarava cattolico, nel 2006 il 65%, inoltre se i praticanti nel 1952 erano il 27%, ora appunto non superano il 4,5%. Il calo più drastico si situa in un periodo che va dalla metà degli anni ’70 alla fine degli anni 80’ del secolo scorso.
La minoranza cattolica praticante è caratterizzata da una certa anzianità anagrafica rispetto alla media dei cittadini francesi, ma questo “nocciolo duro” di cattolici appartiene a ceti sociali medio-alti (solo il 18% di operai ed impiegati). Si nota anche che questi “praticanti” votano più a destra che i loro concittadini.

La grande fetta dei cosiddetti “cattolici non praticanti”, altrimenti classificabili anche nella famosa formula “credere senza appartenere”, mostrano un particolare attaccamento alle cosiddette “radici cattoliche della Francia” (54%), ma non “militano”.
Rilevante anche il fenomeno dell’inarrestabile crescita delle “altre religioni”, l’appartenenza ad altre confessioni si attesta intorno ad un 8%, dato raddoppiato rispetto all’indagine del 1987. Come evidenzia la tabella seguente il calo dei cattolici si compensa con l’aumento degli atei e appunto delle altre religioni. In particolare alcune forme di protestantesimo (evangelici e battisti) cominciano a divenire rilevanti per il sondaggio.


Per consultare l'indagine completa klikka QUI