Caro Direttore,
il giorno dopo Capodanno eravamo in 150 nel patio della Lazarus Home a Betania. L'incontro con Samar Sahhar e con tutte le sue figlie (senza virgolette, con lei non sono più orfane) è stato per tutti il momento più forte del nostro pellegrinaggio in Terra Santa. Quasi alla fine del nostro cammino tra Galilea e Giudea, ci è stato chiaro che è meritato venire qui solo e soprattutto per questo: che Gesù era lì in quel momento, esattamente come nella Grotta della Natività di Betlemme o in cima al Monte Tabor.
Poter entrare in casa di Samar - ci ha ricordato Charlie di Avvenimenti - è un dono di per sé: non si è mai sicuri di poterlo fare fino a poco prima. In questa dura "no man's land" stretta tra il muro israeliano e la cupa sagoma di una moschea in costruzione, le minacce alla presenza di Samar sono quotidiane. Ci può essere sempre qualcuno che tira sassi agli amici di Samar, che a Betania vuol costruire un ospedale che non c'è, ma è cristiana e non porta il velo. O ci può essere un padre che assedia l'unico orfanotrofio femminile della Palestina, perché non tollera che una bimba (non un bimbo) picchiata e abbandonata, per strada possa essere soccorsa da qualcuno: anche se questo qualcuno è una palestinese che dal 1971 si batte - prima con le opere, poi anche con le parole, sempre con la fede cristiana - perché tra la sua gente ci sia più famiglia, più salute, più educazione, più futuro, più civiltà dell'uomo.
Anche con noi Samar non ha certo perso tempo in convenevoli. Ci ha raccontato una storia viva e sanguinante. Ci ha detto di parlarne in giro, perché e' questione di giorni e c'è di mezzo la vita di una donna e il destino delle sue cinque figlie. Noi abbiamo cantato Mattone su mattone con Diana, che aveva due anni quando, nel 2004, fu lasciata assieme alle sue sorelle Tabet, Naziha, Lulu e Imtiaz davanti alla casa di Samar.
(Continua qui)
DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi
Dalla Terra Santa l'appello di Samar: "Pietà per Saiwa e le sue figlie"
Da Il sussidiario: