DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

EllaOne, basta la parola. Un “contraccettivo d’emergenza” che assomiglia molto a un abortivo

La chiamano “pillola del dopodomani”
per distinguerla dalla pillola
del giorno dopo, rispetto alla quale
presenta il “vantaggio” di poter essere
usata fino a centoventi ore dopo il
rapporto sessuale a rischio di concepimento,
anziché fermarsi alle settantadue
ore del Norlevo. Il suo nome
commerciale è EllaOne, è già arrivata
in Francia, in Gran Bretagna e in Germania
e, grazie all’autorizzazione al
commercio concessa dall’Agenzia europea
per i farmaci (Emea), sembra
prossimo il suo sbarco anche in Italia,
fin dall’inizio previsto nella strategia
di lancio dell’azienda produttrice di
EllaOne, la francese HRA Pharma.
Ora, a parte che parlare di “contraccezione”,
sia pure “d’emergenza”,
per un preparato che agisce fino a cinque
giorni dopo il rapporto sessuale è
abbastanza ridicolo, scopriamo che il
princio attivo di EllaOne, l’ulipristal
acetato, è un antagonista del progesterone
dall’azione molto simile a
quella del mifepristone, un altro antagonista
del progesterone che costituisce
il principio attivo della pillola
abortiva Ru486. Succede, insomma,
che alla base della diversa tipologia
di registrazione di preparati dotati
della stessa azione, c’è sicuramente
un diverso dosaggio ma anche una diversa
strategia di mercato. EllaOne si
guarda bene dal proporsi come abortivo,
ma “nella fisiologia della riproduzione,
l’embrione a cinque giorni
dal concepimento è in utero per annidarsi”
(come scrive il ginecologo Lucio
Romano, presidente di Scienza e
Vita, nell’ultima newsletter dell’associazione).
EllaOne si presenta come
contraccettivo ma il suo principio attivo
è simile all’abortivo mifepristone.
D’altra parte, si sa che sono in corso
sperimentazioni per fare anche del
mifepristone, a dosi più basse che nella
Ru486, un bel “contraccettivo d’emergenza”.
Basta cambiare definizione
e si rassicura sulla natura non
abortiva ma “contraccettiva” di ciò
che, con ogni evidenza, impedisce a
un embrione di cinque giorni, già formato,
di annidarsi in utero.

Il Foglio 30 gennaio 2010