Rete e valori Dal Wall Street Journal al saggista Deresiewicz, ora la domanda è: se abbiamo 768 «amici» su un social network, in che senso li abbiamo?
di Maria Laura Rodotà
Meno tempo assieme e affinità, più dialoghi tra (quasi) sconosciuti
Se siete su Facebook, lo sapete già. E in questi giorni ne avete avuto la conferma. Quest'anno si sono fatti meno auguri a voce e per telefono e anche per e-mail; e tantissimi via social network, magari urbi et orbi. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti in cui si riusciva a tirare il fiato, si andava online. Per scambiare due chiacchiere con qualcuno che non fosse un cognato; per annunciare sul proprio status che si era mangiato troppo; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25, con dei «forza e coraggio, tra poco è finita». Poi magari ci si è visti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari centinaia, che abbiamo su Fb. E che stanno portando la parte più evoluta del pianeta, insomma i 350 milioni di Facebook, quelli di Twitter e gli altri, a ridefinire il concetto di amicizia. Non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e (nella letteratura classica) la morte. Assai più spesso, un contatto collettivo labile che fa condividere video di Berlusconi, Lady Gaga, Elio e le storie tese. Non più una frequentazione continua fatta di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene si son visti due volte. Poi ci sono i ragazzini che stanno crescendo insieme ai social network. Ma loro sono - in parte - un'altra storia. Perché in questi tempi di social networking «l'amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto suo; nell' isolamento delle nostre caverne elettroniche, armeggiando con i tanti piccoli pezzi di connessione come una bambina solitaria gioca con le bambole». Eccoci sistemati tutti. Ecco perché, magari, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, non ci si sente appagati, casomai lievemente angosciati e col mal di testa. La cupa frase è di William Deresiewicz, ex professore di Yale e saggista, autore di un saggio su The Chronicle of Higher Education e una conferenza sulla National Public Radio dedicata alle «false amicizie». La preoccupazione è di molti, in America e fuori. Se ne è occupato persino il Wall Street Journal. La serie tv di nicchia «In Therapy» ha fornito la battuta-pietra tombale (speriamo di no): «Le famiglie sono ormai andate e gli amici stanno andando via per la stessa strada». Deresiewicz infierisce: «Essendo state relegate agli schermi dei computer, le amicizie sono qualcosa di più di una forma di distrazione? Quando sono ridotte alle dimensioni di un post in bacheca, conservano qualche contenuto? Se abbiamo 768 "amici", in che senso li abbiamo? Facebook non include tutte le amicizie contemporanee; ma di certo mostra il loro futuro».
Morale: «L'immagine del vero amico, un'anima affine rara da trovare e molto amata, è completamente scomparsa dalla nostra cultura». Oddio. Forse (si spera) non è scomparsa dalle vite dei 12 milioni di italiani che usano Facebook. Certo sono legami sempre più difficili da mantenere. Anche loro poi sono diventate figure facebokkare: i Bff, Best Friends Forever, migliori amici per sempre dei ragazzi, vengono cancellati al minimo screzio. Ma i ragazzi, si diceva, sono diversi. Perché: apparentemente, paradossalmente, le vittime della distorsione amicale di Facebook sarebbero gli adulti. I ragazzini, quelli a cui diciamo snervati «perché non smetti di chattare con gli amici e non esci con loro» padroneggiano il mezzo in modo meno tossico, secondo alcuni. Lo sostiene uno studio fatto da 28 ricercatori universitari finanziato dalla MacArthur Foundation. I ragazzi, dice Heather Horst, una delle autrici, «usano i network per socializzare, per informarsi, e per sapere tutto sulle loro passioni personali, e coinvolgersi». Dice un' altra autrice, Dana Boyd, meno pessimista sulle false amicizie: «I più giovani usano il Web per stare sempre in contatto. Questi siti sono i loro centri di raccolta, dove discutono e si organizzano». E poi «possono stabilire relazioni fuori dalla scuola e dalla loro città. È fondamentale per i nerd tecnologici, i piccoli intellettuali, gli appassionati di politica, i membri di minoranze etniche, i gay e le lesbiche. In qualche caso si creano amicizie, in molti altri senso di appartenenza a una comunità, scambio e partecipazione». Buono da tenere presente. Noi grandi impigriti da Facebook, invece, in questi giorni di digestione difficile, proviamo ad andare online per vedere se qualcuno vuol fare due passi con noi; non tutte le amicizie sono perdute, volendo.
Uno studio americano finanziato dalla MacArthur Foundation afferma che, a causa dei social network, sono gli adulti a rischiare di più di banalizzare le proprie amicizie. Per i giovani la rete è soprattutto un modo per informarsi e socializzare meglio
Uno studio americano finanziato dalla MacArthur Foundation afferma che, a causa dei social network, sono gli adulti a rischiare di più di banalizzare le proprie amicizie. Per i giovani la rete è soprattutto un modo per informarsi e socializzare meglio
In rete c'è un contatto collettivo labile che spesso fa condividere video di Berlusconi, Lady Gaga, Elio e le storie tese
«Corriere della Sera» del 27 dicembre 2009