DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Gender e nozze gay L’Europa ora frena Confronto riaperto per il documento sull’orientamento sessuale. PIERLUIGI FORNARI

L’ assemblea del consiglio d’Europa rinvia alla commissione delle questioni giuridi­che e dei diritti dell’uomo la bozza di riso­luzione sul gender. Il documento, in nome della lot­ta alla discriminazione contro l’orientamento ses­suale e il cosiddetto gender, opera una forte azio­ne di lobbying giuridica, politica e culturale per a­prire la strada nel vecchio Continente al matrimo­nio gay e alla possibilità di adozione per le coppie omosessuali, prefigurando anche una sorta di rea­to di opinione per chi osi esprimere valutazioni e­tiche o religiose in merito. Da notare che il Consi­glio, diversamente dall’Unione europea, raggrup­pa ben 47 stati membri, includendo numerosi pae­si dell’Est europeo di forti radici cristiane, che si af­facciano al confronto con il mondo occidentale do­po la chiusura del comunismo. Comunque il numero, circa settanta, e la portata de­gli emendamenti (molti a firma del neopresidente del gruppo del Ppe, Luca Volontè, di Renato Farina, di Lorenzo Cesa e del sammarinese Marco Gatti) in­duce il relatore, lo svizzero Andreas Gros del gruppo socialista, a chiedere un ulteriore approfondimento in ambito più ristretto prima di riportare nell’as­semblea parlamentare di Strasburgo in aprile la ri­soluzione. «Registro con soddisfazione - osserva Vo­lontè - che su una risoluzione che tratta una materia così controversa sia stato lo stesso relatore a chiede­re il ritorno in commissione, dove si potranno ap­profondire alcuni aspetti che si prestano ad inter­pretazioni pericolose per la sovranità dei Paesi mem­bri, per la libertà di espressione, la libertà di profes­sare la propria religione». Nonostante gli emendamenti, il dibattito forse ap­positamente calendarizzato nel giorno della memo­ria, sembra dominato dal politicamente corretto. Il gender, termine incompatibile con l’ordinamento giuridico italiano, diventa parola d’ordine per quasi tutti gli intervenuti. L’acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bi­sessuali, transessuali) la password per essere ammessi nei palazzi del potere europeo. C’è da dire anche che per motivi procedurali, sono rinviati al testo scritto ben deci interventi, tra cui numerosi erano i critici al­la bozza di risoluzione. A nome del Ppe, la serba El­vira Kovács pronuncia, invece, un intervento perfet­tamente allineato con le tesi di Gross, che infatti la rin­grazia esplicitamente. La critica invece Farina, rim­proverandole di non aver tenuto conto di quanto e­merso nella riunione del gruppo prima della seduta e dei principi ispiratori del Partito popolare europeo. Ma l’inglese John Austin del gruppo socialista sostie­ne che vietare la promozione dell’omosessualità nel­le scuole provoca maggior bullismo contro i gay, au­menta l’omofobia ed i reati di odio. Il connazionale Humfrey Malins del gruppo democratico europeo (Edg) si chiede, invece, se un prete che in un’omelia pronuncia un giudizio morale sulla omossessualità sarà considerato colpevole di tali reati. Il lituano Egi­dijus Vareikis del Ppe chiede attenzione per le fami­glia, composta da marito e moglie che hanno figli. Confuta l’idea che la mancanza di una legislazione specifica a favore degli omosessuali comporti qual­siasi discriminazione : «Sono cittadini come gli altri ed hanno gli stessi diritti degli altri». Vareikis ricorda, poi, ai socialisti che le cose non sono così semplici co­me sembra nella risoluzione, tant’è che un classico della loro cultura, Charles Darwin, sostenne che l’o­mosessualità pone problemi per la biodiversità.
Gross in replica rimprovera a Vareikis che in Lituania c’è una legge che vieta la di fare propaganda omo­sessuale e bisessuale rivolta ai bambini. Ma nota sod­disfatto : «Abbiamo già discusso del rapporto insie­me per lungo tempo, lo ricordo: la sua posizione era molto più dura». Applausi scroscianti dalle tribune dell’emiciclo dove assiste il pubblico. Un evento piut­tosto irrituale per una delle massime istituzioni eu­ropee. Martedì Amnesty, Human Rights Watch e Ilga hanno tenuto una riunione nel Palazzo d’Europa per sostenere la risoluzione.

Avvenire 28 gennaio 2010