di Maurizio Crippa
Negli
Sembra a volte che negli anni terribili della persecuzione razziale e dello sterminio degli ebrei un solo silenzio colpevole abbia riempito l’aria di Roma e dell’Europa: quello di Pio XII. Anche durante la visita alla Sinagoga di Roma di Benedetto XVI, il rabbino capo Riccardi Di Segni ha evocato, per quanto con diplomatica sfumatura, questo vulnus: “Il silenzio di Dio o la nostra incapacità di sentire la sua voce davanti ai mali del mondo sono un mistero imperscrutabile. Ma il silenzio dell’uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio”. Se sull’atteggiamento pubblico di Pio XII il dibattito è sempre aperto, in attesa di una sistemazione storica definitiva, esiste invece un silenzio altrettanto grave, tombale, su cui molto in fretta è passata la mano di una frettolosa autoassoluzione. Inistere sul silenzio del Papa ha permesso una vera e propria rimozione: è come se tutti gli altri, a partire dagli intellettuali, avessero invece alzato la voce con chissà quale coraggio e continuità.
“E’ una falsificazione pietosa della storia, in realtà il silenzio dei gruppi intellettuali è stato compatto e vergognoso, come anche la disponibilità verso le leggi razziali”, spiega l’editorialista del Corriere della Sera e scrittore Pierluigi Battista. Per nulla giustificazionista in materia, Battista ha appena fatto il contropelo a “I conformisti”. Ma in passato si è occupato anche del colpevole, o nei casi migliori poco lusinghiero, silenzio delle nostre classi intelletuali durante il fascismo. “Ancora in questi giorni si è sottolineato che quel 16 ottobre 1943 Pio XII non uscì per le strade del ghetto, come fece per le bombe di San Lorenzo, per tentare di bloccare la deportazione”, dice Battista. “Peccato che, come ha ricostruito Enzo Forcella, non uno dei bollettini, dei volantini, dei dispacci della Resistenza romana di quei mesi e dei successivi riporti un solo accenno a quella deportazione. Semplicemente, persino nella Resistenza non era un problema percepito. Silenzio”. Ovviamente un silenzio non assolve l’altro, le cose non sono in relazione. Ma certo c’è stata una rimozione “e il fatto che l’imputato principale sia il Papa, ha lasciato in ombra altre riflessioni”. Qualcuno insomma ha provveduto a “Cancellare le tracce”, come si intitola appunto il libro in cui Battista ricostruisce quegli scabrosi silenzi intellettuali. “Il punto fondamentale è il 1938 – dice – Né Croce, né Einaudi, né De Nicola, senatori del regno d’Italia, si presentarono in aula quel 20 dicembre 1938 in cui si approvarono le leggi razziali. Disertarono la seduta”. E non è solo questo, spiega Battista: c’è anche l’atteggiamento spesso dimenticato e minimizzato degli accademici rispetto al questionario sulla razza che il fascismo sottopose loro.
Come ha ricostruito la storica Annalisa Capristo, “gli intellettuali italiani non opposero resistenza”, tranne, in questo caso, Benedetto Croce, quasi a fare ammenda della diserzione nell’aula del Senato. Ma “l’aspetto più penoso e sconcertante”, ha scritto la storica, e che essi parteciparono alla umiliante pratica ben oltre il richiesto, ma anzi “con uno sfoggio di zelo di chi aggravò l’atto di sottomissione con un entusiasmo davvero sorprendente”. Lo stesso entusiasmo, riprende Battista, con cui furono occupate le cattedre lasciate vuote dagli ebrei, come disse Ernesto Rossi, e più in generale venne rimpiazzata in un silenzio connivente la loro presenza sociale ed economica. ‘Il giardino dei Finzi Contini’, in questo, resta un documento esplicito”. Dunque un silenzio che riguarda tutti gli intellettuali, non solo il Vaticano. E c’è un aspetto aggravante particolare: “Neppure nelle corrispondenze private, nei carteggi, vi è praticamente traccia di queste vicende. Dai diari di Calamandrei agli scritti di Giaime Pintor, per fare degli esempi, il problema degli ebrei è semplicemente assente. Ci fu non solo silenzio pubblico, ma persino un clamoroso silenzio privato”.
A che cosa va attribuito un fatto così abnorme per estensione e uniformità? “Di certo anche al fatto nelle classi intellettuali, e non nel popolino, la persecuzione in atto non era avvertita. La maggior parte di essi non ne percepì la gravità. E questo per limitarci alla situazione italiana. Ma ormai è noto a livello documentale come le informazioni sulla Shoah fossero in possesso degli Alleati. Eppure non bombardarono mai i binari per Auschwitz. Per non dire della Francia, anche al di là del collaborazionsmo. Paradossalmente, il fascista e antisemita Robert Brasillach fu giustiziato in quanto traditore della patria, e non certo perché aveva scritto articoli approvando la deportazione degli ebrei. Sono silenzi ancora difficili da spezzare”.
“E’ una falsificazione pietosa della storia, in realtà il silenzio dei gruppi intellettuali è stato compatto e vergognoso, come anche la disponibilità verso le leggi razziali”, spiega l’editorialista del Corriere della Sera e scrittore Pierluigi Battista. Per nulla giustificazionista in materia, Battista ha appena fatto il contropelo a “I conformisti”. Ma in passato si è occupato anche del colpevole, o nei casi migliori poco lusinghiero, silenzio delle nostre classi intelletuali durante il fascismo. “Ancora in questi giorni si è sottolineato che quel 16 ottobre 1943 Pio XII non uscì per le strade del ghetto, come fece per le bombe di San Lorenzo, per tentare di bloccare la deportazione”, dice Battista. “Peccato che, come ha ricostruito Enzo Forcella, non uno dei bollettini, dei volantini, dei dispacci della Resistenza romana di quei mesi e dei successivi riporti un solo accenno a quella deportazione. Semplicemente, persino nella Resistenza non era un problema percepito. Silenzio”. Ovviamente un silenzio non assolve l’altro, le cose non sono in relazione. Ma certo c’è stata una rimozione “e il fatto che l’imputato principale sia il Papa, ha lasciato in ombra altre riflessioni”. Qualcuno insomma ha provveduto a “Cancellare le tracce”, come si intitola appunto il libro in cui Battista ricostruisce quegli scabrosi silenzi intellettuali. “Il punto fondamentale è il 1938 – dice – Né Croce, né Einaudi, né De Nicola, senatori del regno d’Italia, si presentarono in aula quel 20 dicembre 1938 in cui si approvarono le leggi razziali. Disertarono la seduta”. E non è solo questo, spiega Battista: c’è anche l’atteggiamento spesso dimenticato e minimizzato degli accademici rispetto al questionario sulla razza che il fascismo sottopose loro.
Come ha ricostruito la storica Annalisa Capristo, “gli intellettuali italiani non opposero resistenza”, tranne, in questo caso, Benedetto Croce, quasi a fare ammenda della diserzione nell’aula del Senato. Ma “l’aspetto più penoso e sconcertante”, ha scritto la storica, e che essi parteciparono alla umiliante pratica ben oltre il richiesto, ma anzi “con uno sfoggio di zelo di chi aggravò l’atto di sottomissione con un entusiasmo davvero sorprendente”. Lo stesso entusiasmo, riprende Battista, con cui furono occupate le cattedre lasciate vuote dagli ebrei, come disse Ernesto Rossi, e più in generale venne rimpiazzata in un silenzio connivente la loro presenza sociale ed economica. ‘Il giardino dei Finzi Contini’, in questo, resta un documento esplicito”. Dunque un silenzio che riguarda tutti gli intellettuali, non solo il Vaticano. E c’è un aspetto aggravante particolare: “Neppure nelle corrispondenze private, nei carteggi, vi è praticamente traccia di queste vicende. Dai diari di Calamandrei agli scritti di Giaime Pintor, per fare degli esempi, il problema degli ebrei è semplicemente assente. Ci fu non solo silenzio pubblico, ma persino un clamoroso silenzio privato”.
A che cosa va attribuito un fatto così abnorme per estensione e uniformità? “Di certo anche al fatto nelle classi intellettuali, e non nel popolino, la persecuzione in atto non era avvertita. La maggior parte di essi non ne percepì la gravità. E questo per limitarci alla situazione italiana. Ma ormai è noto a livello documentale come le informazioni sulla Shoah fossero in possesso degli Alleati. Eppure non bombardarono mai i binari per Auschwitz. Per non dire della Francia, anche al di là del collaborazionsmo. Paradossalmente, il fascista e antisemita Robert Brasillach fu giustiziato in quanto traditore della patria, e non certo perché aveva scritto articoli approvando la deportazione degli ebrei. Sono silenzi ancora difficili da spezzare”.
«Il Foglio» del 18 gennaio 2010