Un pamphlet di Rino Cammilleri per difendersi dai luoghi comuni della cultura e del politically correct
di Rino Cammilleri
Gli allegri (si fa per dire, perché in verità sono pateticamente tristi) sostenitori del melting pot di solito non vanno nemmeno al cinema, sennò saprebbero che gli Usa sono, sì, una società multietnica, ma niente affatto multiculturale. Chiunque vi si stabilisca ha una sola alternativa: diventare americano. Può, certo, praticare la sua religione, ma è l’unica diversità che può permettersi, altrimenti va fuori dai piedi.
Ma la democrazia americana, purtroppo, non è quella che gli europei hanno ereditato dal giacobinismo e dalle ideologie che esso ha figliato: è nata dalla necessità, non dall’utopia. Ne sanno qualcosa i francesi, nelle cui banlieuses (certune, almeno) ormai anche la polizia sconsiglia l’ingresso. Se ne devono essere accorti anche i danesi, che alle loro ultime elezioni hanno decretato il trionfo del partito che più si oppone all’immigrazione senza regole, il Dansk Folkeparti di Pia Kjaersgaard. Ai danesi, popolo civilissimo, non si possono certo dare lezioni di accoglienza e tolleranza per il «diverso». Ma anche il danese si preoccupa quando vede che gli immigrati turchi, per esempio, non hanno alcuna voglia di integrarsi: anche quelli di terza generazione vanno a cercarsi moglie in Turchia attraverso matrimoni combinati e sentono come un obbligo il chiamare i parenti di lei e di lui. In effetti, il rischio di ritrovarsi con un paese a «macchia di leopardo» è alto, e a poco serve, come abbiamo visto, il paragone con gli Usa. Insomma, c’è un problema «culturale» islamico che avrebbe potuto essere affrontato con i consueti strumenti culturali se non ci fosse di mezzo il terrorismo e la guerra in corso. Che fare?
Un precedente storico, se vogliamo, c’è: alla fine del XV secolo i Re Cattolici spagnoli, per far fronte a una situazione di ordine pubblico che rischiava di diventare ingovernabile, misero i loro sudditi musulmani di fronte all’alternativa secca tra il battesimo cristiano e l’espulsione. Non era altro che la presa d’atto dell’impossibilità per una società multietnica di essere anche multiculturale (prima di scandalizzarci pensiamo che si tratta dello stesso tipo di problema che hanno gli americani e che, mutatis mutandis, non viene affrontato in modo molto diverso). I più presero la via dei regni corsari africani, giurando vendetta. Alcuni finsero la conversione e rimasero a far da quinta colonna alla minacciata revanche maghrebina. A stanare questi, i moriscos, pensò l’Inquisizione. Ma sono passati cinque secoli e molta acqua sotto i ponti. Tuttavia, una soluzione c’è, ed è quella americana: una «religione civile» uguale per tutti, da accettare per amore o per forza, con l’Fbi al posto dell’Inquisizione. Ma, come si è detto, i liberals di casa nostra, quantunque si dichiarino cinefili, al cinema non ci vanno. Vanno al cineforum, che è tutt’altro.
Ma la democrazia americana, purtroppo, non è quella che gli europei hanno ereditato dal giacobinismo e dalle ideologie che esso ha figliato: è nata dalla necessità, non dall’utopia. Ne sanno qualcosa i francesi, nelle cui banlieuses (certune, almeno) ormai anche la polizia sconsiglia l’ingresso. Se ne devono essere accorti anche i danesi, che alle loro ultime elezioni hanno decretato il trionfo del partito che più si oppone all’immigrazione senza regole, il Dansk Folkeparti di Pia Kjaersgaard. Ai danesi, popolo civilissimo, non si possono certo dare lezioni di accoglienza e tolleranza per il «diverso». Ma anche il danese si preoccupa quando vede che gli immigrati turchi, per esempio, non hanno alcuna voglia di integrarsi: anche quelli di terza generazione vanno a cercarsi moglie in Turchia attraverso matrimoni combinati e sentono come un obbligo il chiamare i parenti di lei e di lui. In effetti, il rischio di ritrovarsi con un paese a «macchia di leopardo» è alto, e a poco serve, come abbiamo visto, il paragone con gli Usa. Insomma, c’è un problema «culturale» islamico che avrebbe potuto essere affrontato con i consueti strumenti culturali se non ci fosse di mezzo il terrorismo e la guerra in corso. Che fare?
Un precedente storico, se vogliamo, c’è: alla fine del XV secolo i Re Cattolici spagnoli, per far fronte a una situazione di ordine pubblico che rischiava di diventare ingovernabile, misero i loro sudditi musulmani di fronte all’alternativa secca tra il battesimo cristiano e l’espulsione. Non era altro che la presa d’atto dell’impossibilità per una società multietnica di essere anche multiculturale (prima di scandalizzarci pensiamo che si tratta dello stesso tipo di problema che hanno gli americani e che, mutatis mutandis, non viene affrontato in modo molto diverso). I più presero la via dei regni corsari africani, giurando vendetta. Alcuni finsero la conversione e rimasero a far da quinta colonna alla minacciata revanche maghrebina. A stanare questi, i moriscos, pensò l’Inquisizione. Ma sono passati cinque secoli e molta acqua sotto i ponti. Tuttavia, una soluzione c’è, ed è quella americana: una «religione civile» uguale per tutti, da accettare per amore o per forza, con l’Fbi al posto dell’Inquisizione. Ma, come si è detto, i liberals di casa nostra, quantunque si dichiarino cinefili, al cinema non ci vanno. Vanno al cineforum, che è tutt’altro.
«Il Giornale» del 18 gennaio 2010