Il mistero svelato di Israel Zolli rabbino che volle farsi cattolico Per la prima volta dagli archivi della comunità ebraica la storia della clamorosa conversione nella Roma del ' 45 ( Corriere della Sera, 3 giugno 2006):
Se avvenisse oggi, in un' epoca di dialogo interreligioso, la conversione di un rabbino al cattolicesimo non farebbe scalpore. Ma oltre sessant' anni fa, nel febbraio 1945, la notizia che Israel Zolli, rabbino capo di una comunità particolarmente segnata dalle persecuzioni naziste come quella romana, si era appena battezzato sollevò discussioni e polemiche destinate a durare decenni, non solo in Italia.
Da parte ebraica, Zolli - che aveva esercitato le sue funzioni fino al giorno precedente la conversione - venne considerato un traditore del suo popolo; da parte cattolica, invece, la scelta dell' ex rabbino, che convertendosi aveva assunto il nome di Eugenio per gratitudine verso un pontefice che aveva aiutato gli ebrei, è stata più volte richiamata in relazione alle polemiche sui presunti silenzi di Pio XII di fronte alla Shoah.
Ma ora tutta la vicenda può essere finalmente esaminata sotto una nuova luce grazie al libro di un giovane studioso, Gabriele Rigano, basato per la prima volta su una documentazione assai ampia e di straordinario interesse. In particolare, l' aver avuto accesso all' archivio dell' Unione delle comunità ebraiche ha consentito all' autore di inserire la vicenda di Zolli nel quadro delle polemiche accesissime che attraversarono negli anni Trenta l' ebraismo italiano. Quando Zolli, rabbino capo di Trieste, venne chiamato a Roma, nel settembre 1939, la persecuzione antiebraica era già all' opera da alcuni mesi (lo stesso rabbino era stato appena privato della cittadinanza italiana che, nato in Galizia, aveva preso nel 1922).
Eppure, in una situazione così grave, la comunità ebraica romana sembrava soprattutto dilaniata dalla lotta tra due correnti, divise perfino sull' atteggiamento da assumere di fronte al regime. Per quanto possa apparire sorprendente, infatti, molti ebrei erano animati da un sentimento patriottico così forte da condurli a difendere (ancora dopo le leggi razziali!) posizioni filofasciste.
Aldo Ascoli, presidente della comunità ebraica romana, nel dicembre 1938 rivendicava la necessità di aderire «con vero cuore alla Patria Fascista» e di collaborare lealmente con uno Stato «diventato grande» grazie al Duce. Fu appunto in questo genere di polemiche che si trovò coinvolto suo malgrado il nuovo rabbino Zolli, che tuttavia riuscì a stabilire rapporti almeno formalmente buoni con i nuovi vertici della comunità, a cominciare dal presidente Ugo Foà, che nel 1940 aveva sostituito il filofascista Ascoli, assumendo una posizione più ferma nei confronti del regime.
Ma tra il settembre e l' ottobre 1943, nei circa trenta giorni che vanno dall' occupazione tedesca della capitale alla razzia del ghetto, si verifica una crisi decisiva nei rapporti tra il rabbino e la comunità. Zolli ritiene infatti che gli ebrei debbano disperdersi, quasi - diremmo oggi - passare alla clandestinità, poiché prevede (giustamente) che quanto è avvenuto altrove in Europa ai loro danni è destinato a verificarsi presto anche a Roma. La sua stessa origine di ebreo galiziano, che ha conosciuto l' antisemitismo violento dell' Europa orientale, oltre che le notizie ricevute direttamente dalla Germania lo inducono a non farsi illusioni sul comportamento dei nazisti.
I vertici della comunità, invece, pensano che sia possibile comportarsi con i tedeschi come si è fatto per cinque anni con il governo fascista, garantendosi una situazione di relativa tranquillità. «Anche le autorità tedesche sono interessate al buon ordine», è la stupefacente opinione di Foà, il quale invita dunque Zolli a non suscitare pericolosi allarmismi. A fine settembre il rabbino prende atto della situazione e decide di rendersi irreperibile. In tal modo si salva da una morte quasi certa (di lì a poco, la sua casa sarà la prima ad essere violata dai tedeschi), ma separa anche il proprio destino da quello della comunità ebraica romana. Il 16 ottobre avviene infatti la razzia del ghetto, seguita dalla deportazione ad Auschwitz di oltre mille ebrei (la gran parte dei quali verrà uccisa il giorno stesso dell' arrivo).
Era dunque inevitabile che dopo la liberazione di Roma del giugno ' 44 i rapporti tra Zolli e la comunità fossero tesissimi: il rabbino, accusato di aver abbandonato il suo posto nel momento del pericolo, imputava a sua volta ai capi dell' ebraismo romano di aver obiettivamente favorito, con la loro passività, la razzia tedesca. Senonché, la destituzione di Zolli venne allora bloccata dall' intervento del governo militare alleato, che decapitò i vertici della comunità nella convinzione (errata) che, essendo stati eletti in epoca fascista, fossero compromessi con il regime.
Da parte di Zolli, la decisione di convertirsi matura in un clima fattosi per lui sempre più pesante. Per alcuni mesi appare effettivamente indeciso: tenta in ogni modo di non perdere il posto di rabbino, ma inizia anche a valutare la prospettiva di diventare cattolico. Come scrive Rigano, «almeno fino al gennaio 1945», dunque fino alla vigilia della conversione, Zolli «non volle chiudersi nessuna via d' uscita». Sembrerebbe dunque inevitabile concludere che tale conversione fosse dovuta in buona misura a considerazioni pratiche, legate all' ostilità nei suoi confronti diffusa nell' ebraismo romano.
E tuttavia dalla ricerca di Rigano emerge che, se un tale scontro fece precipitare la decisione, questa era anche il risultato di una lunga maturazione, a partire dal modo in cui Zolli aveva sempre considerato l' ebraismo e l' esperienza religiosa in generale. Nelle sue memorie, pubblicate negli Stati Uniti nel 1954, Zolli assegnò una funzione essenziale alla visione di Cristo avuta proprio durante la celebrazione dello Yom Kippur, nel settembre 1944. Tuttavia l' episodio, pur continuamente citato dalla letteratura di parte cattolica, andrebbe considerato, secondo Rigano, come frutto di una successiva reinterpretazione personale: non a caso compare nella traduzione inglese, mentre è assente nella versione originale delle memorie, scritta in italiano e rimasta inedita fino a pochi anni fa.
Ma effettivamente la figura di Cristo aveva sempre esercitato su Zolli un fascino notevole, ben prima che si affacciasse la possibilità di una conversione, che va probabilmente spiegata (nei limiti, ovviamente, in cui è lecito tentare di spiegare decisioni del genere) in relazione a una concezione della religione fortemente caratterizzata in senso mistico, con la propensione a sottolineare le «grandi somiglianze» esistenti tra i vari sistemi religiosi. A giudizio di Rigano ci troveremmo dunque di fronte a un' esistenza liminare tra ebraismo e cristianesimo, a uno spirito religioso che tendeva a dare un' importanza relativa agli apparati dogmatici e alle divisioni di fede.
Del resto Zolli, come aveva dedicato da ebreo alcuni studi importanti alla figura di Cristo, continuò a manifestare da cattolico «una passione affettuosa» per il popolo di Israele. Tanto che nel febbraio 1945, subito dopo la conversione, ricevuto da Pio XII, gli domandò se fosse possibile eliminare, nella liturgia del Venerdì Santo, l' aggettivo «perfidi» attribuito ai giudei (che però in latino significava letteralemnte: che non hanno la vera fede,ndr).
Quasi che, essendo diventato cattolico, non avesse cessato d' essere e di sentirsi, almeno in parte, anche ebreo. il saggio Il saggio di Gabriele Rigano «Il caso Zolli. L' itinerario di un intellettuale in bilico tra fedi, culture e nazioni» (pagine 434, 29,50) è edito da Guerini e Associati Israel Zolli (1881-1956) fu rabbino capo di Roma e si convertì al cattolicesimo. Le sue memorie, intitolate «Prima dell' alba», sono edite in Italia dalla San Paolo, che su Zolli ha pubblicato anche il libro di Judith Cabaud «Il rabbino che si arrese a Cristo».
Inoltre:
Di lui si è parlato per oltre mezzo secolo. L'evocare il suo nome significa ancora oggi creare imbarazzo, sdegno, scandalo. La sua autobiografia, Before the Dawn ("Prima dell'alba") splendido racconto di una conversione, non è mai stata pubblicata in Italia, nonostante il protagonista abbia vissuto nel nostro Paese la maggior parte della sua vita. Israel Zoller, italianizzato Italo Zolli, il rabbino capo di Roma che nel 1944 decise di chiedere alla Chiesa cattolica il battesimo - prendendo il nome di Eugenio in onore di Pio XII - perché era "arrivato" all'incontro decisivo con il Messia delle Sacre Scritture, è un personaggio cancellato dalla memoria della comunità ebraica e dimenticato dai cristiani.
Eppure, proprio nella storia di un grande studioso che disse di non aver rinnegato nulla del suo passato d'israelita ma soltanto di aver portato a compimento un percorso che dall'Antico Testamento porta a Cristo, è possibile ritrovare un originale spunto per una maggiore reciproca conoscenza tra cattolici ed ebrei.
È stata un'altra ebrea convertita, Judith Cabaud, a pubblicare la prima biografia di Zolli, tradotta in italiano dalla San Paolo (Il rabbino che si arrese a Cristo). Zolli era nato a Brodi, in Galizia nel settembre 1881, da una famiglia rabbinica benestante che perse poco dopo le sue ricchezze, confiscate dalla Russia zarista.
Fin da piccolo, Israel rimane colpito dalla figura di Gesù. Lo aveva visto la prima volta appeso a un muro, nella casa di un compagno di scuola e aveva chiesto: "Chi è quell'uomo crocifisso come un criminale?". Trasferitosi in Italia ai primi del Novecento, ottiene la laurea in Filosofia e diventa vice-rabbino e quindi rabbino capo di Trieste.
Nel 1938 pubblica un libro intitolato Il Nazareno, dedicato alla figura di Gesù. Nel volume, frutto di studi approfonditi, Israel non nasconde la sua crescente ammirazione per Cristo e arriva a scrivere che il Nazareno è colui che era stato annunciato da Isaia. Il rabbino si è dunque già convinto che il cristianesimo sia la continuazione e il compimento dell'ebraismo. in Europa, in quel periodo, il libro di Zolli passa inosservato: sono ben altre le preoccupazioni della comunità ebraica alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, quando gli israeliti sono già da tempo vittime della barbara persecuzione nazista. Israel non intende compiere il passo definitivo in un momento così grave, non vuole che si possa neanche lontanamente pensare che lascia la religione dei suoi padri per aver salva la vita.
Nel 1940 gli viene offerto l'incarico di rabbino capo di Roma, cioè della più importante ed antica comunità ebraica della diaspora. La scelta cade su di lui non soltanto perché è uno studioso di grande valore, ma anche perché, dal punto di vista politico, è assolutamente al di sopra delle parti. Da anni, lui che conosceva il tedesco e aveva letto le farneticanti opere hitleriane in lingua originale, andava gridando la sua preoccupazione per la sorte degli ebrei. Molti dei capi della comunità romana, invece, sono collaboratori leali del governo fascista, e si credono fuori pericolo.
Dopo l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi, l'8 settembre 1943, a nulla servono gli avvertimenti di Zolli, che invita i suoi correligionari a darsi alla macchia, e vorrebbe chiudere la Sinagoga, far sparire gli elenchi con i nomi degli israeliti. Il presidente della comunità, Ugo Foà, non gli dà ascolto, ma anzi lo accusano di essere un codardo. Quando la Gestapo mette una forte taglia sulla sua testa - il rabbino era il primo ad essere catturato e ucciso quando i nazisti mettevano le mani su una città - Zolli si rifugia in casa di amici cristiani, ma lascia il recapito di un intermediario e dunque può essere rintracciato in ogni momento dai membri della comunità.
Quando il colonnello Herbert Kappler chiede agli ebrei un riscatto di cinquanta chili d'oro per risparmiare loro la deportazione, Israel Zolli va personalmente in Vaticano a chiedere aiuto. Il Papa Pio XII dispone che l'oro mancante venga messo a disposizione, ma non servirà, dato che i romani hanno risposto generosamente all'appello e la comunità ebraica è riuscita da sola a mettere insieme il prezioso metallo. Il riscatto non servirà purtroppo ad evitare il terribile rastrellamento dei Ghetto di Roma, che avviene il 16 ottobre.
I capi della comunità che deridevano Zolli sono costretti a fuggire, oltre duemila saranno deportati, quasi tutti non faranno mai ritorno dai lager nazisti. Alla fine della guerra, gli Alleati richiamano Zolli come rabbino capo: non è mai stato un collaborazionista, ma si rifiuta di accusare i suoi correligionari di fronte alle autorità americane.
Nel settembre 1944, durante la festa dello Yom Kippur nella Sinagoga di Roma, il rabbino ha una visione. Gesù gli appare e gli dice che quella sarebbe stata l'ultima volta che celebrava in quel luogo. Il 13 febbraio 1945, in gran segreto, riceve il battesimo, seguito nei mesi successivi dalla moglie e dalla figlia. Sceglie il nome di Eugenio, perché, spiega "L’ebraismo mondiale ha un debito di grande gratitudine verso Pio XII". Gli ebrei fanno di tutto per dissuaderlo: gli vengono offerte dagli Usa cifre esorbitanti di denaro. Sarà da allora dipinto come un "serpente", un "traditore". Per anni lui e la sua famiglia, che vivrà in assoluta povertà, sarà oggetto di ingiurie, al punto da vedersi costretto a rifugiarsi nell'università dei Gesuiti. Eugenio Zolli, l’"arrivato", morirà nel marzo 1956.
Ricorda: "Gesù che avrebbe potuto convertire le pietre in pane, digiuna per quaranta giorni nel deserto; egli che avrebbe potuto chiamare in sua difesa intere legioni di angeli, comanda a Pietro di rinfoderare la spada con cui ha tagliato l'orecchio di Malco; ma egli ridona la vista ai ciechi, monda i lebbrosi, risuscita i morti; egli combatte contro un nemico solo: il male; e i nemici vanno perdonati e fatti oggetto di preghiere al Padre". (Eugenio Zolli, L'Ebraismo, Editrice Studium, Roma 1953, p. 57).
Bibliografia
Judth Cabaud, Il rabbino che s'arrese a Cristo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2002. Eugenio Zolli, Before the dawn, riflessioni autobiografiche, Sheed and Ward, New York 1954. Eugenio Zolli, Christus, Edizioni AVE, Roma 1946.
Eugenio Zolli, L'Ebraismo, Editrice Studium, Roma 1953.