A distanza di sei anni si torna a parlare di ridurre gl`intervallo tra separazione e divorzio che, da più parti dello schieramento politico, si vorrebbe ridurre ad un anno o addirittura a sei mesi. Le posizioni sono molto diverse, sia sul piano delle proposte legislative sia su quello culturale. Fino all`idea "estremista" di Annamaria Bernardini De Pace che, sul Giornale di mercoledì, coglie l`occasione per chiedere non tanto un periodo più breve, ma "semplicemente" l`accesso diretto al divorzio tout court, senza passare affatto dalla separazione. Tutte scelte per le quali ribadiamo il nostro deciso "no". E non certo per mettere i bastoni tra le ruote alle coppie che vogliono dividersi definitivamente o, addirittura, per assumere un ruolo punitivo nei loro confronti. Ci sono due punti che ci sembra importante riaffermare. In primo luogo dobbiamo ricordare che l`idea che le crisi coniugali possono essere recuperate - pur se gravi e anche dopo la separazione propriamente detta - appartiene allo spirito e alla lettera della legge attuale. La domanda obiettivo sociale da porsi in maniera prioritaria, quindi, dovrebbe essere: "quanto aiutiamo le coppie in difficoltà a restare insieme?" e non facilitare il più possibile la rottura. Su questo terreno il totale fallimento dell`intervento dei consultori è evidente. Di conseguenza richiamiamo la responsabilità sociale di offrire non solo servizi di mediazione per "separarsi meglio", ma soprattutto innovativi servizi di prevenzione, consulenza, accompagnamento e riconciliazione "per restare insieme meglio". In secondo luogo - pur nel massimo della comprensione per la sofferenza che accompagna la rottura di un progetto di vita di coppia - crediamo che il valore sociale da difendere sia la stabilità matrimoniale, contrapposta al concetto "liquido" del matrimonio e delle responsabilità assunte nei confronti della società, come quello che guida la richiesta di accorciare il più possibile (o addirittura di eliminare) i tempi tra separazione e divorzio. La privatizzazione delle relazioni familiari è il vero rischio che sta correndo la nostra società. È evidente che le scelte personali sono e restano tali. È altrettanto evidente, però, oltre che di rilevanza costituzionale, come esse abbiano implicazioni di primaria importanza per la società. Per i figli eventualmente coinvolti anzitutto, ai quali occorre prestare rinnovata attenzione. Ma anche per la coppia in quanto tale. È ora che il nostro Paese si prenda cura delle numerosissime coppie in crisi che trovano come unica risposta codificata quella della separazione e del divorzio, offrendo loro percorsi alternativi di natura conciliativa che mirino a salvaguardare per quanto possibile l`unità familiare, lasciando la separazione quale extrema ratio. Un obiettivo, questo, indicato anche da fronti laici diversi, come nel caso di Hillary Clinton, secondo la quale: «Come un organismo richiede una massa critica di cellule sane per poter vivere, così la società richiede una massa critica di famiglie tradizionali per poter stare in piedi». E basterebbe verificare gli effetti della riforma Zapatero per comprendere lo tsunami sociale che sta per abbattersi nella vicina Spagna del "divorzio express". Chiediamo quindi che il Parlamento, se di divorzio si deve occupare, non tenti di introdurre percorsi di "facilitazione" alla rottura dei legami per costruire invece finalmente una rete di servizi di protezione e prevenzione. A tutela della libertà di scelta delle persone, ma soprattutto del benessere relazionale della coppia, dei figli, della famiglia nel suo complesso. Anche così si difende la coesione sociale nel nostro Paese.
Avvenire 15 Gennaio 2010 di Francesco Belletti