1. «Catechizzare» nel Nuovo Testamento
Se ci chiediamo qual è la figura del catechista nel Nuovo Testamento, a un primo esame dei testi rischiamo di rimanere delusi.
Il termine «catechizzare» ricorre piuttosto raramente. Ma anche una prima occhiata a queste ricorrenze - 8 in tutto - ci dà subito un orientamento e permette una prima inquadratura del problema.
Si parla di una catechesi ricevuta e che deve essere ulteriormente approfondita, all'inizio del Vangelo di Luca (Lc 1,4). Se ne riparla negli Atti a proposito di Apollo: «facendo catechesi» (At 18,25), prepara, apre la via del Signore.
Paolo applica il termine a se stesso: dice di voler «catechizzare» nel senso di dare un vero insegnamento comprensibile e approfondito (1 Cor14,19). Parla di catechesi - «catechizzante e catechizzato» - come di una attività che si svolge nella Chiesa (cfr. Gal6,6) e richiede una reciprocità.
Accanto a questo uso cristiano, troviamo «catechizzare» in un contesto giudaico: Paolo ci parla del giudeo «catechizzato dalla legge» (Rom2,18) e quindi più responsabile. Due volte «catechizzare» è usato in senso neutro e profano col significato semplicemente di «informare ripetutamente» (cfr. At18.25; 21,21.24).
Ne viene allora un problema: catechesi - il senso greco da cui deriva Katecheo ha come senso fondamentale “riecheggiare” – significa risonanza. Si tratta di una notizia, di una dottrina, di un insegnamento destinati ad avere una certa eco in un ambiente, in una persona. La persona e l’ambiente reagiscono alla notizia, all’insegnamento, che trovano così una loro risonanza.
Che significa questa risonanza che si può avere anche in campo profano e giudaico, quando viene attuata in un contesto cristiano? Chi, cos’è propriamente ciò che “risuona”? Chi provoca la risonanza? Qual è l’ambiente in cui si realizza?
2. La catechesi «risonanza» di Cristo nella Chiesa
Luca parlandoci di catechesi, ci dice che il suo contenuto aveva per oggetto quanto avevano tramandato «i testimoni oculari e i servitori della parola» (Lc1,1): si tratta di Cristo. Luca stesso ce lo esplicita quando, all'inizio degli Atti, ci dice che si è interessato di «tutto ciò che Gesù cominciò a fare e a insegnare» (At1,1).
L'oggetto della catechesi è Cristo stesso.
E’ Lui che deve «risuonare». L'accuratezza di Luca che ci parla di fonti, di testimoni oculari e auricolari consultati, di indagini fatte con tutta precisione sempre intorno alla sua persona e alla sua opera, richiama questa prospettiva irrinunciabile. La catechesi deve esprimere Cristo e solo Lui, lo deve esprimere seriamente, con tutta l'accuratezza, la precisione che merita. Una catechesi che minimizzasse questa centralità cristologica, che parlasse di Cristo in maniera nebulosa, approssimativa: non sarebbe più all'altezza del suo oggetto.
Ma la catechesi - ci dice ancora Luca negli Atti - prepara, apre la strada. Non si contenta di annunciare Cristo con la dovuta serietà, ma, come suggerisce l'immagine della strada - una strada da percorrere fino a raggiungere la meta che si vuole - ha il compito di portare Cristo a contatto con gli uomini, con la loro situazione specifica, con la loro cultura. La via da percorrere li deve raggiungere dove sono. E l'annuncio di Cristo, avrà, a seconda delle situazioni concrete che raggiunge nell'ambiente culturale in cui è presentato, una sua risonanza specifica.
E quanto troviamo nella comunità della Chiesa primitiva.
Alcuni esempi di questa «risonanza» esaminati da vicino ci aiuteranno a comprendere meglio che cos'è la catechesi e qual'è la figura del catechista che l'annuncia.
3. La risonanza di Cristo nelle comunità giudaiche
Cominciamo dalle comunità che si sono formate nell'ambiente geografico di Gesù. Le possiamo ricostruire specialmente dal Vangelo di Matteo, dalla Lettera di Giacomo e anche dalla riscoperta recente di altri elementi
riguardanti le comunità giudaico-cristiane primitive.
La comunità del Vangelo di Matteo è particolarmente sensibile alla risonanza della catechesi. Aveva alle spalle, per quanto possiamo dedurre da un'analisi del Vangelo stesso, un'esperienza prolungata, condotta con passione e intelligenza, dei valori proposti dall'Antico Testamento. L'incontro con Cristo trova la comunità preparata e sensibilizzata. La novità del suo messaggio è tanto più apprezzata e gustata, in quanto toglie le lacune che l'Antico Testamento comportava e porta al massimo sviluppo i suoi valori.
Gesù - comprenderà con gioia la comunità - non è venuto ad abolire, ma a perfezionare (Mt5,17). Ne deriva un'insistenza particolare su quello che è un approfondimento comparativo dell'Antico e del Nuovo Testamento: si tratta cioè di comprendere e di far comprendere sempre di più e sempre meglio come l'Antico Testamento si salda con Cristo e viceversa.
Il Vangelo di Matteo - è stato detto - è il Vangelo del catechista. Potremmo aggiungere e precisare: è il Vangelo del catechista che si sente in funzione di una comunità la quale trova nello sviluppo ascendente e continuo della storia della salvezza l'aspetto che l'affascina di più.
Nell'ambiente giudaico dell'Antico Testamento era nota e aveva un'importanza determinante la figura dello scriba. Lo scriba dedicava le sue energie migliori alla parola di Dio rivelata: si trattava di capirla, di spiegarla, di insegnarla bene, per comprendere con precisione il punto di aggancio con l'uomo occorreva praticarla di persona. Ciò spesso non si verificava: sono tipiche del Vangelo di Matteo le parole di condanna drastica di Gesù per quegli scribi - molti di essi erano anche Farisei - che dividevano la parola di Dio dalla pratica di vita (Mt23,4-36). Non senza una punta di amarezza Gesù era costretto a dire alla gente: «sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli scribi e i Farisei. Conservate ed eseguite tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo la loro condotta. Dicono, infatti, e non fanno» (Mt23,2-3). Lo scriba era il catechista dell'Antico Testamento.
Esiste una figura di catechista tipica nel Nuovo Testamento espressa dalla comunità di Matteo? Da quanto abbiamo visto, la risposta non può non essere affermativa. Troviamo, difatti, proprio nel Vangelo di Matteo un ritratto interessantissimo dello scriba-catechista cristiano. Gesù dopo aver espresso a lungo il suo insegnamento in parabole, termina con queste parole rivolte ai discepoli: «Avete compreso tutto questo? Risposero: sì.
Perciò ogni scriba ammaestrato in fatto di regno dei cieli è simile a un padre di famiglia che trae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove» (Mt13.51-52).
L'immagine si riferisce allo scriba catechista e merita di essere analizzata da vicino. Lo scriba catechista ha un deposito, un «tesoro» a sua disposizione. Non è uno sprovveduto: ha accumulato, e in grande quantità, dottrina e esperienza. E che cosa c'è in questo deposito rifornito con abbondanza?
«Cose antiche e cose nuove»: si tratta del contenuto dell'AT e del Nuovo Testamento. Lo scriba catechista conosce l'Antico Testamento, conosce il Nuovo Testamento, è familiarizzato con l'uno e con l'altro al punto da poterli considerare un tesoro a sua disposizione. Questo tesoro è presentato agli altri momento per momento, situazione per situazione, persona per persona, con l'attenzione , la discrezione, la premura saggia di un padre di famiglia.
La chiesa giudaica, dicevamo, si esprime anche nella Lettera di Giacomo. Tutta la Lettera, potremmo dire, è un esempio di catechesi, espressa con lo stile appassionato, talvolta violento, tipico di Giacomo. Giacomo si sente catechista, maestro. Come tale si preoccupa di far vedere tutte le implicazioni ulteriori che, dopo il primo annuncio e una prima adesione, il messaggio di Cristo comporta nella vita di ogni giorno e di ogni uomo.
La risonanza del messaggio di Gesù ha un suo dinamismo irrinunciabile: deve tradursi nella pratica della vita vissuta, che Giacomo denomina «opere». Senza questa pratica, senza le opere, la prima adesione della fede subirebbe un'involuzione recessiva, morirebbe (Gc2,17).
Maestro convinto e appassionato, Giacomo parla di maestri in termini drasticamente chiari: «Non diventate maestri in molti, fratelli miei! Sappiate che avremo un giudizio più severo!» (Gc3,1). Giacomo avverte così acutamente la responsabilità dell'ufficio di maestro da averne quasi timore e si premura di mettere in guardia contro ogni entusiasmo facilone.
Ma Giacomo, pur svolgendo il suo ruolo di maestro catechista con questo senso di trepidazione, in fondo ne è contento. Ama tanto l'uomo da non potersi esimere, nonostante il rischio di un giudizio più severo, dall’insegnargli ad approfondire il messaggio di Cristo.
Un ultimo esempio della risonanza del messaggio di Cristo in un ambiente giudaico, lo troviamo nella vita di alcune comunità cristiane primitive fiorite soprattutto in Galilea. Alcune scoperte archeologiche recenti - come la «casa-chiesa» nell'abitazione di Pietro a Cafarnao e l'altra scoperta sugli scavi della basilica di Nazareth - hanno permesso di riscoprire alcune comunità cristiane primitive e di rivalorizzare quella che era una manifestazione della loro fede - una risonanza appunto - confluita nei Vangeli apocrifi e su altri libri del genere.
E una risonanza tipica interessante e stimolante; il messaggio di Gesù, le sue parole e perfino il mistero della sua persona sono espressi in termini di canto, di danze, nella forma di esempi e di racconti popolari. La catechesi non esita a diventare folklore.
4. La catechesi nelle comunità paoline
Diversa, più complessa ma - almeno sotto certi aspetti che vedremo - anche più interessante è la risonanza del messaggio di Cristo nelle comunità fondate da Paolo.
Sia negli Atti degli Apostoli che, a partire dal capitolo 16, ci presentano Paolo come protagonista attivo della chiesa missionaria, sia nelle lettere di Paolo il messaggio di Cristo, percorrendo la sua via fino a raggiungere gli uomini, non rimbalza sulla loro cultura, ma vi penetra dentro, vi si immedesima dando luogo a una «risonanza» nuova, anche rispetto all'ambiente giudaico-cristiano della Palestina.
Vediamo di fissarne alcuni aspetti. Le comunità in cui essa avviene hanno alle spalle una vita pagana da lasciare, e una mentalità, talvolta una cultura che invece dovevano essere conservate. Una volta chiarito il vero concetto di Dio (cfr.At17,22-29) veniva presentato il Vangelo (cfr.At17,30-31): veniva cioè annunciato il Cristo morto e risorto. L'accoglienza radicale di questo annuncio, senza pregiudiziali e senza condizioni, era l'apertura della fede.
Seguiva il battesimo e l'inizio di una trasformazione di tutta la vita - a livello individuale e collettivo - attuata sotto l'influsso dello Spirito. La «risonanza» caratteristica di queste comunità cristiane provenienti dal paganesimo, la loro dimensione propriamente catechetica comincia dal momento del battesimo.
Paolo lo ricorda con precisione. Scrivendo ai Corinti riconosce di aver la missione di «evangelizzare», di portare cioè alle genti il primo annuncio di Cristo, soltanto occasionalmente amministra il rito del battesimo. E quando il primo annuncio di Cristo ha già fatto presa su una comunità, Paolo si sente spinto dall'impegno specifico della sua missione ad andare altrove (Rom15,19-21). Paolo non è quindi propriamente un catechista, o, come lui si esprime non si sente «il carisma del maestro» (1 Cor 12,27-31). Ma è convinto che tale carisma non solo esiste, ma è indispensabile alla vita della comunità.
L'evangelizzatore - è l'immagine che Paolo usa - pone il fondamento dell'edificio. Dopo occorre costruire sopra. Questo lavoro di costruzione ulteriore è quello che poi ci dà l'edificio completo. È il lavoro proprio del catechista. A Corinto la figura che gli corrisponde di più è quella di Apollo che abbiamo già trovato impegnato a catechizzare negli Atti degli Apostoli. «Paolo pianta, Apollo irriga» viene detto (1 Cor3,6).
Il lavoro di Apollo suppone quello di Paolo. Ma anche il lavoro di Paolo evangelizzatore rimarrebbe una piantina senza sviluppo con il rischio addirittura di seccare o quanto meno di uno sviluppo stentato e parziale, senza il lavoro tipico di Apollo.
Ma, riprendendo l'immagine dell'edificio e sviluppandola, Paolo precisa ulteriormente la fisionomia del lavoro del catechista. “Secondo la grazia di Dio che mi è stata donata - così si esprime in 1 Cor3,10-15 - come un architetto competente ho gettato le fondamenta. Altri poi costruiranno sopra! Nessuno infatti può porre un fondamento diverso da quello posto che è Gesù Cristo”.
Il fondamento dell'annuncio di Cristo posto dall'evangelizzatore ha una sua esigenza di coerenza e di continuità. La costruzione che si fa sopra dovrà corrispondergli adeguatamente: «Se qualcuno costruendo anche sopra il fondamento con oro, argento, pietre preziose, oppure legno e canne, il lavoro fatto da ciascuno apparirà per quello che è: il giorno (del Signore) lo manifesterà».
Ci sarà una verifica, che Paolo collega col ritorno di Cristo, quando la storia della salvezza avrà raggiunto il suo culmine. Allora apparirà il valore genuino della costruzione fatta sopra il fondamento del primo annuncio di Cristo. Prendendo, secondo il suo stile ricco di sbalzi e spesso con sviluppi
imprevedibili, l'immagine del fuoco - si tratta di un'immagine: non c'è un riferimento all'inferno e neppure al purgatorio - collegata già nell'AT con le manifestazioni del Signore, Paolo prosegue e conclude: «Il giorno si manifesta col fuoco e sarà il fuoco a collaudare l'opera svolta da ciascuno, facendone vedere la qualità. Se il lavoro che uno, costruendo, avrà eseguito, rimarrà, questi ne riceverà la ricompensa. Se invece sarà distrutto dal fuoco, ne avrà un danno. Lui comunque si salverà, però come se passasse attraverso il fuoco».
Sul fondamento - allora - che è Cristo stesso è possibile costruire con un materiale valido e allora la costruzione reggerà. Ma si può avere anche l'illusione di costruire con del materiale scadente e non adatto. Allora prima o dopo - al più tardi nel giorno del Signore quando apparirà tutta la costruzione nella completezza - l'autenticità o meno del materiale usato si manifesterà.
Bisogna costruire. Non si può lasciare il fondamento solo. E la prima cosa da fare per poter costruire è la raccolta di un materiale di costruzione valido. Ciò comporta in termini realistici per il catechista un impegno serio a trovare ed esprimere creativamente nel suo ambiente culturale, quegli elementi che dovrebbero corrispondere a Cristo, inteso non più soltanto come fondamento, ma anche come costruzione che si vede.
Un lavoro del genere - oggi lo chiameremmo l'inculturazione del Vangelo - deve essere fatto anche se comporta dei rischi. C'è il rischio della approssimazione, oppure all'opposto dell'integrismo, quando si cerca nel Vangelo una ricetta già pronta per la soluzione cristiana dei problemi sociali e politici. C'è il rischio del gusto della facciata, del trionfalismo; c'è anche - e non va sottovalutato - il rischio di una miscela eterogenea nel materiale di costruzione, mettendo insieme alle esigenze del Vangelo di Cristo elementi personali, ma che non sono compatibili con esso.
Come impegnarsi in questa costruzione difficile quanto necessaria, superando i rischi dell'inautenticità? Paolo ci dà un'indicazione che può essere risolutiva: occorre confrontare continuamente, con coraggio e radicalità, il contenuto della catechesi, col Cristo del primo annuncio. Dovrà emergere volta per volta una corrispondenza persuasiva. La risonanza deve essere sempre anche una consonanza. Varrà la pena, allora, perfezionare, correggere, migliorare il materiale sulla linea, rimisurandolo sulla figura del Cristo allo stato puro.
Se avessimo raccolto del materiale scadente ed eterogeneo dovremmo avere il coraggio di scartarlo subito. Si potrà avere, altrimenti, l'impressione di costruire, e di costruire su Cristo, ma la verifica che avverrà dopo - magari anche prima del compimento della salvezza, come dimostrano nella storia della Chiesa tanti esempi di teologie nate e tramontate - mostrerà puntualmente che si trattava solo di illusioni.
5. La risonanza del messaggio nella chiesa di Giovanni
La risonanza di crescita e di inculturazione del messaggio che riscontriamo nelle chiese delle grandi lettere Paoline assume nelle chiese di Giovanni una dimensione assai diversa. La chiesa che ha alle spalle lunghi anni di esperienza di vita cristiana, maturata in modo particolare in una pratica liturgica intensa, ha raggiunto un suo livello di completezza e di omogeneità.
È stata definita la «chiesa del presbitero» (Martini), del cristiano maturo. E il cristiano maturo ha ancora bisogno dell'approfondimento del messaggio tipico della catechesi? Rileggendo con questo interrogativo il materiale del Nuovo Testamento relativo alle chiese di Giovanni - o come oggi si preferisce dire il "circolo giovanneo" (Cullmann), cioè il IV Vangelo, le tre Lettere e l'Apocalisse - troviamo una doppia istanza, una doppia tendenza di approfondimento e di crescita, all'interno e all'esterno, alla vita della Chiesa.
C'è una spinta di approfondimento all'interno. La Chiesa, i cristiani che hanno già accettato il messaggio di Cristo che lo vivono con un impegno di intensità notevole, sono invitati a progredire. C'è come una catechesi endogena che li interessa e li stimola.
Ciò appare, ad esempio, nell'episodio di Nicodemo, l'unico personaggio che nel IV Vangelo, oltre a Gesù, è chiamato maestro. È un maestro che si ferma a metà strada: invitato da Gesù a fare il salto qualitativo che dall'Antico Testamento l'avrebbe portato nella spirale dello Spirito, esita e si arresta, ritorna nell'ombra dell'Antico Testamento e vi si perde. È un maestro mancato (Gv3,1-10).
Il suo fallimento ricorda alle chiese di Giovanni la necessità imprescindibile di abbandonarsi allo Spirito per poter comprendere fino in fondo il messaggio di Gesù.
Ma la spinta a un approfondimento sotto il profilo catechetico viene, alla chiesa di Giovanni, da Giovanni stesso. Egli sembra restio a parlare di se stesso e quando lo fa usa un linguaggio discreto ed allusivo. Ci dice, ad esempio, dopo aver presentato la trafittura al fianco di Gesù: «Colui che vide ha testimoniato queste cose e la sua testimonianza è veritiera: lui sa che dice il vero perché crediate anche voi» (Gv19,35). Nella conclusione del Vangelo si esprime in termini equivalenti, quasi si ripete: «Questo è stato scritto perché crediate che Gesù è il Figlio di Dio (Gv20,31; 21,24).
Giovanni vuole che la sua chiesa creda, creda pienamente come ha creduto lui. Non si tratta della prima iniziazione, ma di quella fede solida, matura, capace di accogliere la verità di Cristo a quel livello di ripensamento approfondito che troviamo nel IV Vangelo.
Giovanni ha questo tipo di fede e sente il bisogno di testimoniarlo alla Chiesa.
Come si svolge in concreto, l'espressione di questa testimonianza? Portato dall'esigenza di una fede più completa che accolga e valorizzi il materiale riguardante Gesù, Giovanni dopo aver ripreso nel prologo (1,1-18) un inno nato nella sua Chiesa, dando così a tutto il Vangelo che segue il tono di un canto liturgico, presenta, ripensandola, l'interpretazione costante del Padre costituita dalla vita di Gesù. Non vuole passare per maestro. Questo titolo conviene pienamente solo a Gesù. Giovanni sente l'esigenza di insegnare, ma lo fa presentando, rivivendo, rielaborando l'insegnamento di Gesù, per riascoltarlo insieme alla sua comunità. Fa il maestro rimettendosi lui stesso in ascolto di Gesù maestro per eccellenza.
E l'ascolto di Giovanni è creativo. Facendo parlare Gesù, presentandolo come maestro, ricostruendo i suoi dialoghi e i suoi discorsi con un'arte o un'efficacia tutta sua, Giovanni fa «risuonare» di nuovo il messaggio: è insieme evangelista e catecheta. Il messaggio, così, si muove, appare sempre nuovo, diventa una spirale ascendente che si sviluppa tanto più quanto maggiore è la maturità raggiunta dal cristiano. È la trafila affascinante che porterà, sotto la guida dello Spirito, la Chiesa di Giovanni verso la meta della «verità completa» (Gv16,13).
C'è nel circolo giovanneo una spinta che interessa la crescita della Chiesa all'esterno nel rapporto con l'ambiente. Era un ambiente particolarmente insidioso: la cultura gnostica, dato il suo sincretismo accentuatissimo sembrava condividere alcuni valori cristiani. Ma poi ne faceva uno sviluppo diverso e tutto suo e finiva in pratica per negarli o trasformarli in modo radicale. La Chiesa stimolata e quasi obbligata a un confronto approfondito elabora anche sotto un aspetto più intellettuale il messaggio di Cristo di cui si sente portatrice.
Se ne precisano i vari aspetti, come ad esempio la realtà della passione, la necessità di non scambiare ogni manifestazione straordinaria per una espressione dello Spirito di Cristo, ecc. C'è insomma tutta una problematica di risonanza autentica da sviluppare e verificare come tale. Si dovrà precisare il vero messaggio di Cristo, contrapponendolo anche alle sue deformazioni. È la problematica catechetica delle Lettere di Giovanni.
Ma c'è, sempre nel circolo giovanneo, un altro tipo di risonanza che ritroviamo nell'Apocalisse. La Chiesa è invitata a distaccarsi da qualunque compromesso col mondo pagano - per esempio la Chiesa di Tiatira è esortata pressantemente a difendersi dall'influsso di una falsa profetessa «che insegna e inganna» (Ap2,20) - e a rinnovarsi costantemente dall'interno sottomettendosi ad un giudizio purificatore di Cristo risorto.
In questo atteggiamento di conversione permanente la Chiesa sarà in grado di leggere in profondità il senso religioso degli eventi della storia che sta vivendo
traendone le dovute conseguenze operative.
La «risonanza» catechetica appare qui come la capacità di trovare nella storia sempre nuova la novità inesauribile di Cristo. Il catecheta è colui che è in grado, di ascoltare lo spirito che «parla alle chiese» (cf Ap2,7 ss) e di approfondire il messaggio di Cristo fino a coglierne e ad esprimerne tutta la portata applicativa (Ap13,18).
6. La risonanza nelle Lettere Pastorali e in quelle di Pietro e di Giuda
Nelle Lettere Pastorali - prima e seconda a Timoteo, lettera a Tito, nelle lettere di Pietro e di Giuda - troviamo una risonanza tutta particolare del messaggio, con molti dettagli che riguardano da vicino il nostro tema. Timoteo e Tito sotto dei pastori impegnati in una attività molteplice: si tratta di organizzare la vita ecclesiale secondo dei quadri più precisi, di stimolarla, di annunciare il Vangelo, di rinnovarne e farne approfondire il contenuto dove è stato annunciato.
In questo quadro complesso acquista rilievo particolare proprio la figura del maestro. Si parla della sua funzione, delle sue qualità, si insiste particolarmente sul tipo di dottrina che deve insegnare.
Esaminiamo da vicino alcuni aspetti, ma per comprenderli dobbiamo prima richiamare il contesto ecclesiale in cui si situano. Le comunità ecclesiali si trovano a vivere in una società pagana che viene da esse accettata come tale, ma con gli stimoli e le tensioni che ne seguono. Le comunità sentono l'esigenza di consolidarsi dal di dentro nei loro valori portanti, sentono anche l'esigenza di mantenere la propria identità in un ambiente che, se anche non è ancora ostile apertamente, è certamente eterogeneo.
Non si chiudono in se stesse: si sottolinea, tra l'altro, l'esigenza di pregare per tutti gli uomini e anche per l'imperatore (1Tim2,1-7). Ma la Chiesa avverte l'esigenza di essere più omogenea che è possibile, di coincidere con se stessa, di sentirsi «colonna e baluardo della verità» (1Tim3,15).
In questo ambiente ecclesiale si trova ad agire Timoteo come maestro. Dovrà esercitare la sua funzione con coraggio, sempre tenendo presente che l'insegnamento della parola deve essere accompagnato da quello della vita: «Annuncia tutte queste cose e insegna. Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma fatti modello dei fedeli nella parola, nella condotta, nell'amore, nella fede, nell'integrità» (1Tim4,11-12).
In questo ambiente pluralistico l'applicazione del Vangelo alla vita si fa inevitabilmente più complessa. Ciò dovrà costituire un arricchimento e portare a una comprensione maggiore del Vangelo, ma sono evidenti i rischi di un movimento centrifugo. Si può scadere nella verbosità. Paolo parla di «battaglie di parole» (1Tim6,4). Si può girare a vuoto finendo in una specie di dilettantismo intellettuale. E Paolo ne è preoccupato. «Annuncia la parola, insisti senza tregua, metti in crisi, rimprovera, esorta con magnanimità e con dottrina. Ci sarà un tempo in cui non sopporteranno la dottrina sana, ma cercheranno di trovare tutti i maestri possibili secondo i loro gusti, col desiderio di ascoltare ciò che accarezza l'orecchio, si allontaneranno dalla verità per rivolgersi a dei miti (2Tim4,2-4).
Per superare queste degenerazioni, per evitare che ne sorgano di nuove, Timoteo e Tito sono invitati a proporre nella loro funzione catechetica una «dottrina sana» (2Tim4,3; Tt1,9; 2,1). Viene da chiedersi che cosa significa questa espressione nuova e la risposta è relativamente semplice. La dottrina sarebbe malata e malsana quando rimanesse su un piano estetizzante - «accarezza l'orecchio» - quando girasse su se stessa senza riuscire ad agganciare la vita, perdendosi magari in elucubrazioni astratte, tipo le ricerche sui «miti» che ritroviamo nella letteratura ellenistica contemporanea.
Ma ci sono - e interessano di più - delle caratteristiche positive che fanno risaltare la sanità della dottrina: «Prendi come tipo di discorsi sani quelli che hai imparato da me», dice Paolo e poi precisa: «Quelli che si muovono nell'ambito dell'amore e della fede di Cristo. Custodisci questo deposito prezioso per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi». E ancora più esplicitamente: «Rimani fedele a ciò che hai imparato e hai creduto, sapendo da chi lo hai imparato. Hai imparato fin dalla giovinezza la Sacra Scrittura, che è in grado di renderti sapiente mediante la fede in Gesù Cristo. Ogni parte della Scrittura è ispirata da Dio ed è utile per la dottrina, per mettere alla prova, per costruire, per educare nella rettitudine: l'uomo di Dio diventa così preparato, adatto a compiere ogni opera buona» (2Tim3,14-17).
La dottrina sarà sana, in ultima analisi, se lo sarà il maestro che la presenta. Questi troverà nel messaggio del Vangelo, e, allargando la prospettiva,
in tutta la Bibbia a partire dall'Antico Testamento, il mezzo più idoneo per acquistare e mantenere la propria efficienza. In un contesto continuo di verifica col messaggio di Cristo e l'Antico Testamento la sua dottrina sarà davvero sana e risanante.
L'interesse per la missione dei maestri si fa sempre più acuta col passare del tempo. Nella seconda Lettera di Pietro e nella Lettera di Giuda - gli ultimi scritti, con tutta probabilità, del Nuovo Testamento - si parla a lungo, con insistenza e anche con preoccupazione, del loro ruolo. La confluenza della cultura ebraica, ellenistica e romana rendeva la risonanza del messaggio ancora più complessa. Il ruolo del maestro diventava insieme più necessario e delicato.
Si comprende allora il richiamo, che non esita ad assumere toni drastici e violenti alla responsabilità di chi insegna. Se un maestro diventasse «falso» - sia nel contenuto che propone, sia nella vita incoerente rispetto a quello che insegna - ciò sarebbe disastroso. La comunità sente che deve camminare, che deve confrontarsi con le culture dell'ambiente: ha paura di sbagliare strada per l'influsso negativo che i «falsi maestri» (cfr.2Pt2,1-22; Gd4,13) possono esercitare su di lei: ma è decisa, nonostante tutto, a continuare il suo cammino e sente che i maestri veri le sono indispensabili per muoversi.
7. Conclusione: Chiesa, catechesi e catechista nel Nuovo Testamento
Qual è la figura della catechesi come essa appare dal Nuovo Testamento e di conseguenza, la figura tipica del catechista che ne emerge? Dopo l'esame analitico, siamo in grado di rispondere raccogliendo a fattore comune alcune indicazioni conclusive.
La catechesi, abbiamo visto, non è tanto il primo annuncio di Cristo, quanto piuttosto la risonanza ulteriore che esso provoca. Tale risonanza passa per la via della «cultura», intesa in senso generale, come la somma di tutte le caratteristiche storico-geografiche, come la situazione di un ambiente. Il Vangelo possiede un dinamismo dal di dentro che lo porta a incarnarsi in tutti i tipi di cultura umana, «risuona» in tutte le situazioni. L'evangelizzazione tende a diventare catechesi.
Il soggetto portante dello sviluppo dall'evangelizzazione alla catechesi è la comunità ecclesiale. Il messaggio di Cristo che essa accoglie la penetra in tutte le sue dimensioni e la spinge continuamente verso un'elaborazione ulteriore. La comunità si trova, così, in una situazione di crescita che la spinge ad essere sempre più se stessa e a confrontarsi arditamente con la situazione storica esterna in cui vive.
Nello sviluppo della comunità ecclesiale secondo queste due dimensioni parallele, interiore ed esteriore, si inserisce la figura del maestro, del catechista. Egli è, si può dire, figlio della sua comunità: condivide con essa la prima accoglienza del messaggio, il ritmo di crescita, la spinta coraggiosa all’inculturazione,
Non sarebbe pensabile in un isolamento individualista che lo dividesse dalla sua comunità. Non potrà permettersi ne l'avventura delle fughe in avanti, ne la nostalgia indolente del passato. Camminerà col ritmo del cammino della Chiesa. Ma il catechista, coinvolto pienamente nel giro della vita ecclesiale, non scompare in una massificazione anonima. Ha anche, rispetto alla sua comunità, una fisionomia propria, una responsabilità specifica, un suo tipo di servizio da prestare.
Le varie situazioni ecclesiali determinano di più: Giacomo, Timoteo, Tito, Giovanni hanno la loro funzione catechetica nell'ambito più ampio della responsabilità pastorale di insieme. Altrove la figura del catechista, scriba o maestro, è più specificata. In ogni caso per essere in grado di prestare un servizio importante, il catechista dovrà averne la competenza: dovrà conoscere ciò che deve insegnare. L'Antico Testamento, il messaggio di Cristo nel Nuovo Testamento, il cammino di tutta la Chiesa guidata dallo Spirito verso la «verità completa» gli dovranno essere familiari. Il catechista sa che ha sempre ancora da imparare e ci si impegna.
Gli dovrà essere familiare il mondo degli uomini in cui vive. Attento ai segni dei tempi, capace di saperli leggere e interpretare, sarà aperto e sensibile ai problemi, alla mentalità, ai modi di esprimersi dei suoi contemporanei. Sarà un uomo del suo tempo, senza lasciarsi dominare dal suo tempo. La sua figura ideale non sarà quindi né quella di un intellettuale che si chiude oziosamente nel giro delle sue elucubrazioni (cfr.2Pt1,16), né quella dell'empirico praticone che agisce senza idee.
Saprà mettere il messaggio a contatto con la vita e la vita a contatto col messaggio. Il catechista, maestro, impara anche dalla vita ciò che insegna. Un aspetto irrinunciabile dei suo servizio ecclesiale è l'impegno non solo a evitare una dicotomia tra il contenuto che presenta e la vita che conduce, ma, positivamente, a imparare provando e riprovando di persona.
Queste tre dimensioni unite insieme - conoscenza di Cristo, conoscenza dell'uomo, impegno appassionato nella vita - comporteranno un tono di autenticità, di aderenza, di creatività che permetteranno al catechista di rendere persuasivo il suo discorso. «È parso bene anche a me - scrive Luca proprio all'inizio del suo Vangelo - dopo essere riandato alla sorgente dei fatti, di scrivertene in ordine e con esattezza, carissimo Teofilo, poiché tu possa conoscere più approfonditamente la solidità dei discorsi mediante i quali fosti catechizzato» (Lc1,3-4).
Luca ci mostra che sia il catechista che la Chiesa catechizzante hanno bisogno di confrontarsi con le fonti per una conoscenza più approfondita dell’oggetto della loro catechesi. C'è un movimento ciclico, ma a spirale ascendente. Si partirà sempre dal messaggio di Cristo, gli si farà strada fino a trovare gli uomini dove sono, facendolo germogliare nella loro cultura.
Ma, poi il movimento di inculturazione, sviluppandosi, dovrà riprendere contatto col messaggio primigenio, confrontarsi radicalmente con esso, e ripartire per una nuova fase, un nuovo giro della spirale ascendente, finché «non ci incontriamo tutti nella unità della fede e della conoscenza approfondita del Figlio di Dio, crescendo ora verso l'uomo perfetto, verso la misura della statura della pienezza di Cristo» (Ef4,13).