Tratto da Avvenire del 7 gennaio 2010
Guadalupe aveva 17 anni quando suo padre, dieci anni fa, le ordinò di sposarsi con Manuel. La ragazza non l’aveva mai visto ma non poteva rifiutarsi: l’uomo – di quindici anni più vecchio – aveva offerto per lei settemila pesos (poco meno di 550 dollar i). A Santa Maria de Asuncion – un minuscolo Paese sperduto nella regione di Oaxaca, nel Sud del Messico –, dove Guadalupe è nata, la “compravendita” delle donne è un’usanza diffusa. Qui – come nei vicini Sta- ti di Chiapas, Guerrero, Veracruz, Tabasco, Campeche – dove l’80 per cento della popolazione è india, la gran parte dei matrimoni è combinata da parenti e capi-villaggio. Una tradizione antica: secondo le leggi indigene, sono i familiari della ragazza a scegliere il marito adatto a lei. Quest’ultimo deve “guadagnarsi” il consenso con un’offerta. Che, per secoli, è stata simbolica: sacchi di grano, sementi, un capo di bestiame. Negli ultimi anni, però, la “dote” si è trasformata in un vero e proprio prezzo, fissato in dollari.
A pagarlo, sempre più spesso come hanno dimostrato recenti indagini della Procura generale, non sono aspiranti fidanzati ma i “mercanti di donne”. Trafficanti senza scrupoli che si recano nelle zone più povere del Messico – il Chiapas è al secondo posto nella classifica nazionale delle regioni più emarginate – alla caccia di ragazze da “acquistare” e rivendere nel mercato della prostituzione, della pornografia o del lavoro clandestino. In altri parti del Messico o all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. I malviventi pagano circa 2. 300 dollari. Ma il costo varia in relazione all’età della giovane. Per una bambina di 12 anni – r ivelano le inchieste –, sono disposti a sborsarne anche 6mila. Per le famiglie, questo denaro è l’unica speranza di sopravvivere, come ha sottolineato il Centro per i diritti umani Tlachinollan. Nel 2009, l’Istituto nazionale delle donne (Inmujeres) ha denunciato che varie bambine di Oaxaca, Guerrero e Chiapas sono state «acquistate da famiglie benestanti della capitale» come “cameriere”.
«È una forma di schiavitù – ha dichiarato la direttrice dell’organizzazione Rocio Gaytan –. È una vergogna che si ritorni a pratiche di questo tipo». Altre, invece, vengono portate dai presunti mariti nei postriboli di Tijuana e Juarez o, attraverso il deserto di Sonora, in quelli degli Stati Uniti. Non esistono cifre ufficiali del fenomeno. Secondo un recente rapporto dell’Ong “Coalizione contro il traffico di donne” ben cinque milioni di ragazze dell’America Latina sarebbero vittime di tratta. Un decimo sarebbero messicane. Un affare miliardario – da 7 a 12mila milioni di dollari in base ai dati dell’ufficio Onu per la prevenzione della delinquenza, Unadoc – per le bande criminali. Il governo messicano sta cercando di intensificare i controlli nelle aree “a rischio” per fermare la compravendita di donne.
Un compito non facile perché il fenomeno è radicato nella cultura locale. Lo Stato, però, non rinuncia a combatterla. A Oaxaca, per esempio, l’Istituto per la donna ha cominciato una campagna per rendere le ragazze consapevoli del loro diritto a scegliersi il marito. E per convincere le famiglie a non vendere le figlie agli sconosciuti. La strada da fare è ancora lunga.