DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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I ragazzi violenti e i genitori condannati

di Claudio Risé
Tratto da Il Mattino di Napoli dell'8 febbraio 2010
Tramite il blog di Claudio Risé

Punire i genitori per ammonire i ragazzini violenti. È questa la strategia di diversi Tribunali civili, di fronte alle richieste di risarcimento provenienti dai molti danneggiati da minorenni fuori controllo.

Qualche giorno fa, ad esempio, il Tribunale di Milano ha condannato i genitori di cinque adolescenti che avevano ripetutamente abusato di una compagna più piccola a versarle quasi 450mila euro di risarcimento. La sentenza è stata lodata. Ma i genitori sono davvero i colpevoli?

Al centro della sentenza milanese c’è, sembra, il fatto che questi genitori non abbiano fornito ai loro figli un’adeguata educazione ai sentimenti. È importante: l’educazione sentimentale è centrale nello sviluppo e formazione della personalità. Se non le si insegna a riconoscere e rispettare i sentimenti, propri e degli altri, la personalità diventa sorda, spesso violenta. E la coscienza non riesce a dirigere in modo equilibrato il mondo emotivo ed affettivo.

Il sottoscritto insisteva ostinatamente sulla centralità dell’educazione sentimentale, quando (fino a poco fa) si parlava solo di educazione sessuale, oppure di educazione ai diritti. Tuttavia il mondo dei sentimenti è rimasto, in realtà, un roccioso, persistente tabù all’interno di tutto il discorso psico-pedagogico, dove veniva sbrigativamente scambiato col sentimentalismo. Mentre, in realtà, tutti gli altri aspetti accanitamente difesi da potenti lobby psicologiche, ed anche politico-economiche (la sessualità, le emozioni, i diritti), trovano la loro vera composizione all’interno dello sviluppo del sentimento, funzione psicologica centrale nell’equilibrio della personalità, tanto quanto lo è il pensiero.

Se il mio sentimento d’amore e rispetto verso l’altro (e verso me stesso) non è stato curato e sviluppato, rischierò di non accorgermi, e di forzare la sua sensibilità sessuale, o di calpestare i suoi molteplici diritti di “altro” da me, illustrati nelle lezioni su diritti umani e pari opportunità, ma rimasti un dato intellettuale.

Di tutto ciò, però, cosa sa il genitore medio? Chi gliene ha mai parlato, se nella formazione scolastica italiana tutto era mirato all’apprendimento di nozioni, non certo allo sviluppo del sentimento, di cui non si trova traccia (fino a tempi recentissimi), nei programmi pedagogici?

Infatti i genitori condannati si sono difesi dicendo di essersi impegnati nell’ottenere dai figli buoni risultati scolastici, puntualità negli orari di rientro a casa, educazione verso le altre persone, e la frequentazione delle previste lezioni di educazione sessuale. Insomma le cose richieste al buon genitore dalla prassi e dal sentire corrente.

Il Tribunale ha detto che tutto ciò “evidentemente non bastava a contrastare l’evidente carenza o inefficacia a un’educazione all’attenzione ai sentimenti e desideri altrui”.

Ma sono i genitori soli responsabili di questa non idoneità? O lo è - forse molto di più - ad esempio la televisione, dove “i sentimenti e desideri altrui”, di qualsiasi tipo siano, sono costantemente oggetto di scherno, di polemica, di aggressione anche violenta, ai fini di aumentare l’audience? Che ne pensano i Tribunali dell’educazione sentimentale impartita dai Grandi Fratelli, o dalle Isole dei famosi? E quali pensano che siano i margini di negoziazione coi figli di un genitore medio verso queste portaerei di nichilismo sentimentale?

I genitori hanno responsabilità enormi. Ma i loro poteri sono stati molto limitati, anche dallo stesso Stato (come dimostrano le recenti sentenze al mantenimento perpetuo). I suoi Tribunali dovrebbero ricordarlo, prima di condannarli.

La tratta delle spose-bambine.Allarme nel Sud del Messico: «Minorenni vendute ai trafficanti per duemila dollari»

di Lucia Capuzzi
Tratto da Avvenire del 7 gennaio 2010

Guadalupe aveva 17 anni quando suo padre, dieci an­ni fa, le ordinò di sposarsi con Manuel. La ragazza non l’aveva mai visto ma non poteva rifiutarsi: l’uomo – di quindici anni più vec­chio – aveva offerto per lei settemi­la pesos (poco meno di 550 dollar i). A Santa Maria de Asuncion – un mi­nuscolo Paese sperduto nella regio­ne di Oaxaca, nel Sud del Messico –, dove Guadalupe è nata, la “com­pravendita” delle donne è un’usan­za diffusa. Qui – come nei vicini Sta- ti di Chiapas, Guerrero, Veracruz, Ta­basco, Campeche – dove l’80 per cento della popolazione è india, la gran parte dei matrimoni è combi­nata da parenti e capi-villaggio. U­na tradizione antica: secondo le leg­gi indigene, sono i familiari della ra­gazza a scegliere il marito adatto a lei. Quest’ultimo deve “guadagnar­si” il consenso con un’offerta. Che, per secoli, è stata simbolica: sacchi di grano, sementi, un capo di be­stiame. Negli ultimi anni, però, la “dote” si è trasformata in un vero e proprio prezzo, fissato in dollari.

A pagarlo, sempre più spesso come hanno dimostrato recenti indagini della Procura generale, non sono a­spiranti fidanzati ma i “mercanti di donne”. Trafficanti senza scrupoli che si recano nelle zone più povere del Messico – il Chiapas è al secon­do posto nella classifica nazionale delle regioni più emarginate – alla caccia di ragazze da “acquistare” e rivendere nel mercato della prosti­tuzione, della pornografia o del la­voro clandestino. In altri parti del Messico o all’estero, soprattutto ne­gli Stati Uniti. I malviventi pagano circa 2. 300 dollari. Ma il costo varia in relazione all’età della giovane. Per una bambina di 12 anni – r ivelano le inchieste –, sono disposti a sbor­sarne anche 6mila. Per le famiglie, questo denaro è l’unica speranza di sopravvivere, come ha sottolineato il Centro per i diritti umani Tlachi­nollan. Nel 2009, l’Istituto naziona­le delle donne (Inmujeres) ha de­nunciato che varie bambine di Oaxaca, Guerrero e Chiapas sono state «acquistate da famiglie bene­stanti della capitale» come “came­riere”.

«È una forma di schiavitù – ha di­chiarato la direttrice dell’organizza­zione Rocio Gaytan –. È una vergo­gna che si ritorni a pratiche di que­sto tipo». Altre, invece, vengono por­tate dai presunti mariti nei postri­boli di Tijuana e Juarez o, attraverso il deserto di Sonora, in quelli degli Stati Uniti. Non esistono cifre uffi­ciali del fenomeno. Secondo un re­cente rapporto dell’Ong “Coalizio­ne contro il traffico di donne” ben cinque milioni di ragazze dell’Ame­rica Latina sarebbero vittime di trat­ta. Un decimo sarebbero messica­ne. Un affare miliardario – da 7 a 12mila milioni di dollari in base ai dati dell’ufficio Onu per la preven­zione della delinquenza, Unadoc – per le bande criminali. Il governo messicano sta cercando di intensi­ficare i controlli nelle aree “a rischio” per fermare la compravendita di donne.

Un compito non facile perché il fe­nomeno è radicato nella cultura lo­cale. Lo Stato, però, non rinuncia a combatterla. A Oaxaca, per esem­pio, l’Istituto per la donna ha co­minciato una campagna per rende­re le ragazze consapevoli del loro di­ritto a scegliersi il marito. E per con­vincere le famiglie a non vendere le figlie agli sconosciuti. La strada da fare è ancora lunga.