DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Le maledizioni dell’isola scomparsa. Per secoli l’isola è stata nell’immaginario un centro purulento di infezione morale e politica

Le piaghe di Haiti dal vomito nero ai Tonton Macute, zii orchi

Per secoli l’isola è stata nell’immaginario un centro purulento di infezione morale e politica, tra massacri ed emigrazione coatta

Quando ripartì da Saint-Domingue, la parte francese di
Santo Domingo che oggi si chiama Haiti, Paolina Bonaparte
era vedova. Suo marito, il generale della Repubblica
francese Charles Victor Leclerc, era morto sull’isola,
“più giallo di una mela gialla”. L’epidemia di febbre
gialla (detta anche vomito nero o febbre delle Antille) aveva
ucciso forse metà dei soldati francesi, generale Leclerc
in testa, mandati dal primo console Napoleone Bonaparte
a riconquistare alla Francia la neonata Repubblica di
Haiti. Nel 1802 della malattia si sapeva poco e si sapeva
nulla dei virus. Non si sospettava ancora che il vettore fosse
la zanzara che quasi un secolo dopo sarebbe stata classificata
come Aedes aegypti. Si sapeva che l’epidemia aveva
infierito quaranta anni prima a Philadelfia e ricompariva,
con diversa virulenza ma con una costanza preoccupante,
qua e là sul continente americano, da San Salvador
di Bahia alla Nouvelle Orléans. Alcuni medici ne attribuirono
l’origine agli schiavi che avevano portato la malattia
dall’Africa, altri erano convinti che derivasse da una
scimmia platirrina, originaria del Nuovo Mondo. Che l’epidemia
si presentasse un po’ dappertutto non bastò a impedire
che si formasse la convinzione che il luogo di diffusione
fossero le Antille e in particolare Haiti. Non c’era
stata una recrudescenza proprio a New Orléans, dove si
erano raggruppati in maggior numero i creoli venuti via
da Haiti per sfuggire agli eccessi della rivoluzione? Curiosamente,
ma forse non troppo, il calco di pensiero si è
ripetuto quasi identico nei primi tempi dell’insorgenza
della sindrome di immunodeficienza acquisita. Anche
per l’origine dell’Hiv si parlò di Africa e di scimmie, ma
soprattutto si raccontò di due haitiani che sarebbero stati
all’origine della diffusione del male.
Per secoli Haiti ha rappresentato nell’immaginario
una specie di piaga nell’occidente, un centro purolento
di infezione morale e politica. Era stata per la Francia
una colonia prospera e redditizia, ma la rivoluzione la
gettò nel caos. Cosa pensavano i rivoluzionari francesi
della schiavitù? Erano naturalmente contrari, in nome
dell’uguaglianza di tutti gli uomini. Ma qualcuno all’Assemblea
nazionale aveva accusato di tradimento chi ne
chiedeva l’abolizione. Non era l’abolizione della schiavitù
un’iniziativa dei nemici inglesi, per colpire l’economia
degli Stati Uniti, da poco indipendenti? Toussaint,
uno schiavo che aveva avuto la possibilità di studiare, che
si riteneva un monarchico lealista, cattolico fervente e insieme
un massone militante, organizzò un vero esercito.
Combatté per il re contro inglesi e spagnoli. Combatté
con inglesi e spagnoli, dopo la decapitazione del re.
Quando la Convenzione abolì la schiavitù, si proclamò repubblicano
e combatté contro inglesi e spagnoli. Le stampe
con l’immagine di lui a cavallo, vestito da generale
inondarono l’Europa. Riuscì nonostante i massacri e la
fuga dei coloni a rimettere in moto l’economia, fondata
soprattutto sulla produzione dello zucchero e sulla tratta
clandestina degli schiavi. Fu rapito da Leclerc con la famiglia
e mandato a morire di tisi e stenti in Francia. Leclerc
invece non tornò da Haiti.
La vendita della Louisiana agli americani e l’estrazione
dello zucchero dalla barbabietola raffreddò l’interesse
della Francia per l’isola. Le incisioni rappresentavano
ora un nuovo capo, Jean-Jacques Dessalines, sempre in feluca
piumata. Era il nuovo crudele imperatore della parte
nord dell’isola. A sud la Repubblica di Alexandre Pétion
diede a Haiti un ruolo di motore nella lotta di indipendenza
delle colonie americane dalla Spagna. A Haiti
si rifugiarono i sopravvissuti della Repubblica di Cartagena.
Da Haiti, con l’appoggio di Pétion, ripartì Simón
Bolívar per liberare le colonie. Fu l’ultimo momento di luce
nell’isola. Se mai era esistita, la vita democratica annegò
sempre più in un’economia asfittica, in un sistema di
potere autoritario in cui solo i colpi di stato permettevano
un ricambio al vertice. Tra il 1914 e il 1934 ci fu un’occupazione
diretta degli Stati Uniti, che riuscì a creare
qualche infrastruttura, ma non a eliminare il groviglio di
violenza e di superstizione che dominava l’isola. Haiti finì
per diventare un luogo notturno persino per il dittatore di
Santo Domingo Trujillo, che lanciò la “dehaitizzazione”
per sopprimere un gran numero di abitanti neri di Santo
Domingo. Proprio quando i casinò e gli alberghi di Cuba
chiudevano e la parte ispanica dell’isola di santo Domingo
godeva di un rilancio economico grazie alla voga del turismo
di massa, imperversò sull’isola un nuovo dittatore,
un medico addestrato negli Stati Uniti per combattere le
malattie croniche tropicali. Figlio di un giudice e di una
pazza, François Duvalier, più noto come Papa Doc, si prese
cura dei suoi concittadini con i Tonton Macute, gli zii
orchi, una milizia specializzata nel fare sparire oppositori
di ogni tipo. L’obiettivo era di ridurre l’intera popolazione
alla specialità locale, gli zombi, i morti viventi che
ubbidiscono ciecamente, inconsapevoli della loro condizione,
finché qualcuno non gli dà del sale. Due secoli di
massacri e di emigrazione coatta hanno asciugato l’energia
dell’isola. Non ci mancava che il terremoto.