Neda Aqa-Soltan, la studentessa iraniana uccisa a Teheran durante le manifestazioni di protesta contro la vittoria truffaldina di Ahmadinejad alle elezioni presidenziali, è stata scelta come personaggio del 2009 dal quotidiano londinese The Times. Le immagini drammatiche dell’agonia di Neda, bella ragazza di 26 anni colpita da un’arma da fuoco proprio al volto (un volto privo del velo, rifiutato in evidente opposizione ai dettami della Repubblica Islamica Iraniana) hanno fatto il giro del mondo attraverso il web e commosso e indignato le coscienze di tutti gli spiriti liberi. Il Times ha definito Neda “il simbolo globale dell’opposizione alla tirannia”, un simbolo paragonabile, ma assai più forte perché più cruento, a quello del giovane cinese che, nel 1989, bloccò in piazza Tienanmen i carri armati opponendo il proprio corpo inerme al loro avanzare. Dopo la morte di Neda, le manifestazioni d’opposizione al regime iraniano, inizialmente nate contro i brogli elettorali e intese a chiedere solo alcune riforme liberali, hanno assunto posizioni sempre più radicali, dichiarando la loro totale avversione ai leader della Repubblica Islamica e configurando la messa in discussione della stessa rivoluzione islamica del 1979 di Khomeini. Non sappiamo quali saranno gli sbocchi della rivolta di quella parte di popolo iraniano divenuto nel frattempo sempre più numeroso e agguerrito, i cui esiti appaiono al momento ancora molto incerti, ma la figura e il ruolo di Neda ci appaiono in ogni caso estremamente significativi per ciò che sta accadendo proprio nel paese dove è nato il revanscismo islamico antioccidentale più estremista e violento, movimento che, da quel già lontano 1979, ha infettato via via buona parte dei paesi d’area musulmana col suo integralismo fondamentalista. Non crediamo sia un caso se proprio l’immagine di una giovane donna che rifiuta il chador (contrassegno, nella società musulmana, della sottomissione femminile) e scende in piazza per reclamare la libertà negatale con un abbigliamento del tutto simile a quello dei ragazzi del mondo occidentale (camicia, jeans e scarpe sportive), diventi la figura simbolo della lotta al regime iraniano, dove la donna, come del resto in tutto il mondo islamico più conformista e retrivo, paga il prezzo più alto in termini d’inferiorità e asservimento. E non ci sembra neppure casuale che si sia voluto punire la sua ribellione colpendola al volto, quel volto di ragazza fiero e intelligente ch’ella mostrava al mondo col coraggio dello spirito libero che non è più disposto a tollerare le restrizioni imposte alla donna dall’intransigenza islamica. Le immagini delle giovani universitarie che ci rimandano le manifestazioni avvenute in Iran, numerosissime anche dopo la morte di Neda, testimoniano appunto d’una insofferenza sempre più rimarchevole da parte dell’universo femminile verso le imposizioni della società musulmana. E questo è indubbiamente l’elemento più rilevante della rivolta iraniana, poiché, come crediamo, è la posizione della donna nella comunità musulmana il punto nevralgico che potrebbe diventare il detonatore della contraddizione insanabile in cui si trova oggi il mondo islamico, sospeso tra il suo pervicace arroccamento a una rigida divisione dei sessi legata ancora agli albori dell’ordinamento sociale voluto dall’Islam, e il confronto sempre più serrato e pressante con la modernità dell’Occidente e la sua evoluzione storica, in cui la donna conosce ormai un’affermazione pubblica e sociale che ha ben poco da invidiare a quella dell’uomo. Questo confronto rischia di far apparire un’autentica aberrazione umana e psicologica la subalternità della donna laddove essa continua a vedersi esclusa da tutto un mondo di possibilità di vita e di lavoro che l’evoluzione del mondo musulmano in senso tecnologico ed economico non può ostinarsi a rifiutarsi di prospettarle. Infatti, se alle sue origini l’ordinamento della comunità musulmana ha potuto imporre, per rimediare agli inconvenienti e ai turbamenti derivanti dalla coesistenza dei sessi, una separazione sociale della donna rispetto all’uomo assai più rigorosa di quanto sia mai accaduto in passato nelle società dell’Occidente, oggi, in un mondo sempre più tecnologizzato e globalizzato, diventa davvero insostenibile la sua pretesa di continuare a considerare l’elemento femminile addirittura una presenza vergognosa, da nascondere e relegare nell’ambito chiuso della casa e della famiglia e la cui apparizione in luoghi pubblici può essere permessa solo dietro lo schermo difensivo/elusivo del burka o del velo. La condizione femminile conosce dunque nel mondo islamico un’indubbia inquietudine o insoddisfazione che configura una crisi d’identità sociale della donna forse non proprio prossima alla sua soluzione finale, ma con la quale L’Islam dovrà prima o poi fare i conti, e che in ogni caso si pone come una delle questioni fondamentali per l’evoluzione del mondo musulmano, ammesso che il termine evoluzione si possa adoperare per una cultura ripiegata su se stessa come quella islamica, il cui mutamento potrà verificarsi solo attraverso un rivolgimento radicale e sostanziale. La figura di Neda oggi ci permette almeno di concepire un sogno: immaginare che poggerà soprattutto sulle spalle solo apparentemente fragili della donna il compito di aprire varchi sempre più significativi nel muro granitico dell’Islam fino a sgretolarne l’ordinamento millenario, permettendogli così di liberarsi dall’odio fondamentalista nei confronti dell’Occidente e aprirsi finalmente alle conquiste di libertà del mondo moderno globalizzato.
Dionisio di Francescantonio