DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Testo dei Lineamenta per il Sinodo sul Medio Oriente

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo integrale dei Lineamenta dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano, 10-24 ottobre 2010) sul tema “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola' (At 4, 32)”.





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PREFAZIONE

Gli Atti degli Apostoli mettendo in risalto la comunione e la testimonianza dei cristiani, discepoli di Gesù Cristo, sottolineano, in due sommari, la loro comunanza dei beni. Nel primo si constata: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). Da tale profonda unità proveniva il loro modo di vivere: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (At 2, 44). Dal secondo brano è stato scelto il motto dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi che avrà luogo dal 10 al 24 ottobre 2010: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola (At 4, 32). Per quanto riguarda l’applicazione di tale affermazione, San Luca presenta due esempi. Il primo, edificante, di Giuseppe, soprannominato Barnaba, che vendette il campo che possedeva “e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli” (At 4, 37). L’altro esempio, negativo, racconta la vicenda dei coniugi Anania e di sua moglie Saffìra che si misero d’accordo di consegnare solo una parte del ricavato della vendita di un terreno, e di ritenerne l’altra per loro. Il loro inganno fu scoperto e la punizione drammatica suscitò “grande timore” nella comunità ecclesiale (cf. At 5, 1-11). Tali esempi insegnano che i cristiani sono chiamati a vivere concretamente l’ideale di comunione e di testimonianza, sforzandosi di realizzarlo non in modo parziale bensì pieno, raggiungendo, appunto un cuore solo e un’anima sola (At 4, 32).

La stupenda trama di evangelizzazione raccontata dagli Atti degli Apostoli, prende l’avvio dalla comunità cristiana in Terra Santa. A tale Terra, benedetta dalla presenza del Signore Gesù, rivolgono lo sguardo tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà, in modo particolare in occasione della preparazione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi che il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto il 19 settembre 2009, nel corso della riunione con i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche. Il Sommo Pontefice ha anche annunciato il tema dell’Assise sinodale: La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32).

Il Santo Padre, che ha visitato la Terra Santa dall’8 al 15 maggio 2009, ha prontamente accolto la richiesta di numerosi confratelli nell’episcopato di convocare un’Assemblea sinodale per il Medio Oriente. Essa dovrebbe approfondire l’insegnamento degli Atti degli Apostoli, per rivivere l’esperienza della comunità primitiva ad un livello ancora più maturo, e per rendere testimonianza con le parole e, soprattutto, con le opere di un’autentica vita cristiana a gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, nella complessa situazione odierna dei Paesi del Medio Oriente. Di tale fede deve nutrirsi la speranza cristiana, salda “contro ogni speranza” (Rm 4, 18), perché fondata non su progetti umani bensì sul potere di Dio. La fede e la speranza devono sbocciare, poi, nella carità verso il prossimo. Nella Chiesa Cattolica in Medio Oriente essa ha una particolare espressione nella presenza ininterrotta dai tempi di Gesù dei cristiani in tale terra, che è la loro patria. Ovviamente, essa si manifesta anche in numerose e preziose opere con le quali i membri della Chiesa Cattolica rendono testimonianza della loro fede e al contempo offrono un notevole contributo allo sviluppo integrale dell’intera società.

Per svolgere in modo compiuto tale vocazione, il Santo Padre Benedetto XVI ha disposto che sia seguito un iter regolare nella preparazione dell’Assemblea sinodale. Pertanto, per incarico del Sommo Pontefice, è stato formato un Consiglio Presinodale per il Medio Oriente composto da 7 Patriarchi, in rappresentanza di 6 Chiese Patriarcali e del Patriarcato Latino di Gerusalemme, da 2 Presidenti delle Conferenze Episcopali, come pure da 4 Capi dei Dicasteri della Curia Romana, che ha redatto il testo dei Lineamenta che ora viene pubblicato in 4 lingue: arabo, francese, inglese ed italiano. Ogni capitolo del Documento è accompagnato da alcune domande che hanno lo scopo di suscitare la discussione in tutte le Chiese del Medio Oriente. Le rispettive risposte dovrebbero pervenire alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi dopo la solennità di Pasqua, che quest’anno tutti i cristiani celebrano nella stessa data il 4 aprile 2010. Come è noto, riprendendo il contenuto di tali risposte sarà redatto l’Instrumentum laboris, Documento di lavoro dell’Assise sinodale che il Santo Padre Benedetto XVI consegnerà ai rappresentanti qualificati dell’episcopato cattolico del Medio Oriente nel corso della Sua Visita Apostolica a Cipro nel mese di giugno 2010.

Affidiamo la preparazione all’Assemblea Speciale per il Medio Oriente all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, fiore purissimo della Terra Santa. Ha portato Gesù al mondo a Betlemme, lo ha educato a Nazareth, accompagnandolo per le strade della Galilea e della Giudea fino a Gerusalemme, città santa per Cristiani, Ebrei e Musulmani. In forza della testimonianza dei cristiani, la celebrazione dell’Assise sinodale diventi un’occasione propizia anche per incrementare il dialogo con il mondo ebraico e quello musulmano, fino ad allargare i confini della comunione a tutti gli uomini di buona volontà nel Medio Oriente.

Mons. Nikola Eterović
Arcivescovo titolare di Cibale
Segretario Generale

Dal Vaticano, 8 dicembre 2009.



INTRODUZIONE

1. A seguito del suo pellegrinaggio in Terra Santa (8-15.05.09), il 19 settembre 2009 il Santo Padre ha annunciato, nel corso di una riunione con i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori d’Oriente, la convocazione di una Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010. Tale iniziativa scaturisce dalla “preoccupazione” del Successore di Pietro “per tutte le chiese” (2 Cor 11, 28) e costituisce un avvenimento importante, che denota l’interesse della Chiesa universale nei confronti delle Chiese di Dio in Oriente. Queste stesse Chiese sono invitate a vivere intensamente tale avvenimento, affinché esso sia un evento di grazia nella vita dei cristiani d’Oriente.

I pellegrinaggi di Benedetto XVI in Terra Santa (Giordania, Israele e Palestina), così come quello in Turchia (28.11-1.12.06), ci danno, con i loro discorsi ricchi e circostanziati, una luce particolare per poter comprendere la Parola di Dio, leggere i segni dei tempi e definire il comportamento cristiano e la vocazione delle nostre Chiese.

A. Obiettivo del Sinodo

2. L’obiettivo dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi è duplice: confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti, e ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente. Le nostre Chiese cattoliche non sono sole in Medio Oriente, perché ci sono anche quelle Ortodosse e le comunità protestanti. La dimensione ecumenica è fondamentale affinché la testimonianza cristiana sia autentica e credibile. “Perché tutti siano una sola cosa perché il mondo creda” (Gv 17, 21).

3. È necessario, pertanto, rafforzare la comunione a tutti i livelli: all’interno di ciascuna Chiesa cattolica d’Oriente, tra tutte le Chiese cattoliche e con le altre Chiese cristiane. Occorre, nel contempo, fortificare la testimonianza che diamo agli ebrei, ai musulmani e agli altri credenti o non credenti.

4. Il Sinodo ci offre altresì l’occasione di fare il punto della situazione religiosa e sociale, per dare ai cristiani una visione chiara del senso della loro presenza nelle loro società musulmane (araba, israeliana, turca o iraniana), del loro ruolo e della loro missione in ciascun Paese, preparandoli, così, ad essere testimoni autentici di Cristo. Si tratta, dunque, di una riflessione sulla situazione presente, situazione che non è facile in quanto di conflitto, instabilità e maturazione politica e sociale nella maggior parte dei nostri Paesi.

B. Riflessione guidata dalle Sacre Scritture

5. La nostra riflessione sarà guidata dalle Sacre Scritture, che sono state redatte nelle nostre terre, nelle nostre lingue (ebraico, aramaico o greco), in ambiti ed espressioni culturali e letterali che sentiamo nostri. La Parola di Dio è letta nella Chiesa. Queste Scritture ci sono pervenute attraverso le comunità ecclesiali, sono state trasmesse e meditate nelle nostre sacre Liturgie e sono un riferimento indispensabile per scoprire il senso della nostra presenza, comunione e testimonianza nel contesto attuale delle nostre Nazioni.

6. Cosa dice la Parola di Dio, qui ed ora, ad ogni Chiesa in ciascuno dei nostri Paesi? Come si manifesta la Provvidenza benevola di Dio attraverso tutti gli avvenimenti facili o difficili della nostra vita quotidiana? Cosa ci domanda Dio in questi giorni? Restare, per impegnarci nel corso degli avvenimenti, che è poi quello della Provvidenza e della grazia divina? Oppure emigrare?

7. Si tratta dunque – ed è uno degli obiettivi di questa Assemblea Speciale – di riscoprire la Parola di Dio nelle Scritture che si rivolgono a noi oggi, che ci parlano oggi e non solo nel passato, e ci spiegano, come ai due discepoli di Emmaus, quanto accade attorno a noi. Questa scoperta ha luogo anzitutto nella lettura meditata delle Sacre Scritture, personalmente, in famiglia e nella comunità viva. Ma la cosa essenziale è che essa guidi le nostre scelte quotidiane nella vita personale, familiare, sociale e politica.

Domande

1. Leggete le Sacre Scritture personalmente, in famiglia o nella comunità viva?

2. Esse ispirano le vostre scelte nella vita familiare, professionale o politica?

I. LA CHIESA CATTOLICA IN MEDIO ORIENTE

A. Situazione dei cristiani in Medio Oriente

1. Breve excursus storico: unità nella varietà

8. Tutte le Chiese cattoliche in Medio Oriente, così come ciascuna comunità cristiana nel mondo, risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme, unita dallo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste. Esse si divisero nel V secolo, dopo i Concili di Efeso e Calcedonia, principalmente per questioni cristologiche. Questa prima divisione diede vita alle Chiese conosciute oggi con il nome di “Chiesa Apostolica Assira d’Oriente” (che veniva chiamata nestoriana) e “Chiese Ortodosse Orientali”, cioè le Chiese copte, siriane ed armene, che venivano chiamate monofisite. Spesso tali divisioni ebbero luogo anche per motivi politico-culturali, come mostrano i teologi medievali d’Oriente appartenenti alle tre grandi tradizioni denominate “melchite”, “giacobite” e “nestoriane”. Tutti loro hanno sottolineato che alla base di tale divisione non c’era alcun motivo dogmatico. Ci fu, in seguito, il grande scisma dell’XI secolo, che separò Costantinopoli da Roma e, successivamente, l’Oriente Ortodosso dall’Occidente Cattolico. Tutte queste divisioni esistono ancor’oggi nelle varie Chiese del Medio Oriente.

9. Dopo le divisioni e le separazioni, furono intrapresi periodicamente degli sforzi per ricostituire l’unità del Corpo di Cristo. In questo sforzo d’ecumenismo si formarono le Chiese cattoliche orientali: armena, caldea, melchita, siriaca e copta. All’inizio tali Chiese furono tentate dalla polemica con le Chiese ortodosse sorelle, ma spesso furono anche ardenti difensori dell’Oriente cristiano.

10. La Chiesa maronita ha mantenuto la propria unità in seno alla Chiesa universale e non ha conosciuto, nel corso della sua storia, una divisione ecclesiale interna. Il Patriarcato Latino di Gerusalemme, istituito con le Crociate, fu ristabilito nel XIX secolo, grazie alla presenza continua dei Padri Francescani, specialmente in Terra Santa, dall’inizio del XIII secolo.

11. Oggi le Chiese cattoliche d’Oriente sono sette, in maggioranza arabe o arabizzate. Alcune di loro sono presenti anche in Turchia e Iran. Provengono da tradizioni culturali, e dunque anche liturgiche, differenti: greca, siriaca, copta, armena o latina, il che costituisce la loro ammirabile ricchezza e complementarietà. Esse sono unite nella stessa comunione con la Chiesa universale attorno al Vescovo di Roma, successore di Pietro, corifeo degli apostoli (hâmat ar-rusul). La loro ricchezza deriva dalla loro stessa diversità, ma l’attaccamento eccessivo al rito e alla cultura può impoverirle. La collaborazione tra i fedeli è abituale e naturale, a tutti i livelli.

2. Apostolicità e vocazione missionaria

12. Le nostre Chiese, del resto, sono d’origine apostolica e i nostri Paesi sono stati la culla del Cristianesimo. Come ha detto il Santo Padre Benedetto XVI il 9 giugno 2007, esse sono custodi viventi delle origini cristiane[1]. Sono terre benedette dalla presenza di Cristo stesso e delle prime generazioni cristiane. Sarebbe una perdita per la Chiesa universale se il Cristianesimo dovesse sparire o affievolirsi proprio là dove è nato. Abbiamo qui una grave responsabilità: non soltanto mantenere la fede cristiana in queste terre sante, ma più ancora mantenere lo spirito del Vangelo in queste popolazioni cristiane e nei loro rapporti con quelle non cristiane, e conservare la memoria delle origini.

13. In quanto apostoliche, le nostre Chiese hanno la missione particolare di portare il Vangelo in tutto il mondo. Nel corso della storia, questo slancio ha stimolato diverse nostre Chiese: in Nubia ed Etiopia, nella Penisola Arabica, in Persia, in India, fino in Cina. Oggi dobbiamo constatare che tale slancio evangelico è spesso frenato e la fiamma dello Spirito sembra essersi affievolita.

14. Ora, per la nostra storia e la nostra cultura, noi siamo vicini a milioni di persone, tanto culturalmente quanto spiritualmente. Spetta a noi, perciò, condividere con loro il messaggio d’amore del Vangelo che abbiamo ricevuto. In questo momento in cui intere popolazioni sono disorientate e cercano un barlume di speranza, noi possiamo dare loro la speranza che è in noi per lo Spirito che è stato diffuso nei nostri cuori (cf. Rm 5, 5).

3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo

15. A dispetto delle loro differenze, le nostre società arabe, turche ed iraniane hanno caratteristiche comuni. La tradizione e il modo di vita tradizionale prevalgono, in particolare per quel che riguarda la famiglia e l’educazione. Il confessionalismo segna i rapporti tra i cristiani come con i non cristiani e si riflette profondamente nelle mentalità e nei comportamenti. La religione è un elemento d’identificazione che può separare dall’altro.

16. La modernità penetra sempre più nella società: l’accesso alle reti televisive del mondo e a Internet ha introdotto, nella società civile e tra i cristiani, nuovi valori ma anche una perdita di valori. Come risposta, si diffondono sempre più i gruppi fondamentalisti islamici. Il potere reagisce con l’autoritarismo, il controllo della stampa e dei media, mentre la maggioranza aspira a una vera democrazia.

17. Benché in Medio Oriente i cristiani siano quasi ovunque una scarsa minoranza (ad eccezione del Libano), che va da meno dell’1% (Iran, Turchia) al 10% (Egitto), essi tuttavia irradiano attivo dinamismo. Il pericolo sta nel ripiegamento su di sé e nella paura dell’altro. È necessario perciò che rafforziamo la fede e la spiritualità dei nostri fedeli e, allo stesso tempo, rinsaldiamo il legame sociale e la solidarietà tra di loro, senza cadere in un atteggiamento ghettizzante. L’educazione, d’altronde, è l’investimento maggiore. Le nostre Chiese e le nostre scuole potrebbero aiutare di più i meno fortunati.

B. Le sfide che i cristiani devono affrontare

1. I conflitti politici nella regione

18. I conflitti politici in corso nella regione hanno un’influenza diretta sulla vita dei cristiani, in quanto cittadini e in quanto cristiani. L’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi rende difficile la vita quotidiana per la libertà di movimento, l’economia e la vita religiosa (accesso ai Luoghi Santi condizionato da permessi militari concessi agli uni e agli altri, per motivi di sicurezza). Inoltre, alcune teologie cristiane fondamentaliste giustificano, basandosi sulle Sacre Scritture, l’occupazione della Palestina da parte di Israele, il che rende ancor più delicata la posizione dei cristiani arabi.

19. In Iraq, la guerra ha scatenato le forze del male nel Paese, nelle confessioni religiose e nelle correnti politiche. Essa ha mietuto vittime tra tutti gli iracheni, ma i cristiani sono stati tra le vittime principali in quanto rappresentano la comunità irachena più esigua e debole, e la politica mondiale non ne tiene alcun conto.

20. In Libano, i cristiani sono profondamente divisi sul piano politico e confessionale e nessuno ha un progetto che possa essere accettato da tutti. In Egitto, la crescita dell’Islam politico, da una parte, e il disimpegno dei cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita esposta all’intolleranza, alla disuguaglianza e all’ingiustizia. Inoltre, questa islamizzazione penetra nelle famiglie anche mediante i mass media e la scuola, modificando le mentalità che, inconsapevolmente, si islamizzano. In numerosi Paesi, l’autoritarismo, cioè la dittatura, spinge la popolazione, compresi i cristiani, a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale. In Turchia, il concetto attuale di laicità pone ancora dei problemi alla piena libertà religiosa del Paese.

21. Questa situazione dei cristiani nei Paesi arabi è stata descritta al § 13 della 10a Lettera Pastorale dei Patriarchi cattolici (del 2009). La conclusione stigmatizza l’atteggiamento disfattista: “Di fronte a queste diverse realtà, gli uni restano fermi nella loro fede e nel loro impegno nella società, condividendo tutti i sacrifici e contribuendo al progetto sociale comune. Gli altri, al contrario, si scoraggiano e non hanno più fiducia nella società e nella sua capacità di garantire l’uguaglianza tra tutti i cittadini. Per questo abbandonano ogni impegno e si ritirano nella loro Chiesa e nelle sue istituzioni, vivendo in nuclei isolati, senza interagire con il corpo sociale”[2].

2. Libertà di religione e di coscienza

22. In Oriente, libertà di religione vuol dire, di solito, libertà di culto. Non si tratta, dunque, di libertà di coscienza, cioè della libertà di rinunciare alla propria religione o di credere in un’altra. In Oriente, la religione è, in generale, una scelta sociale e perfino nazionale, non individuale. Cambiare religione è ritenuto un tradimento alla società, alla cultura e alla nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa.

23. La conversione è vista come il frutto di un proselitismo interessato, non di una convinzione religiosa autentica. Per l’ebreo e il musulmano, essa è spesso vietata dalle leggi dello Stato. Anche il cristiano sperimenta una pressione e un’opposizione, benché molto più lieve, da parte della famiglia o della tribù a cui appartiene, ma resta libero di farlo. Spesso, la conversione non avviene per convinzione religiosa, ma per interessi personali, o sotto la pressione del proselitismo musulmano, specialmente per potersi liberare dei propri obblighi di fronte a difficoltà di tipo familiare.

3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo

24. Nella loro ultima lettera pastorale, i Patriarchi cattolici d’Oriente affermano: “La crescita dell’Islam politico, a partire dagli anni ’70, è un fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo. Questo Islam politico comprende differenti correnti religiose che vorrebbero imporre un modo di vita islamico alle società arabe, turche o iraniane e a tutti coloro che vi vivono, musulmani e non musulmani. Per loro, la causa di tutti i mali è l’allontanamento dall’Islam. La soluzione, quindi, è il ritorno all’Islam delle origini. Di qui lo slogan: l’Islam è la soluzione. […] A questo scopo, alcuni non esitano a ricorrere alla violenza”[3].

Tale atteggiamento riguarda anzitutto la società musulmana, ma ha conseguenze anche sulla presenza cristiana in Oriente. Tali correnti estremiste sono quindi una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme.

4. L’emigrazione

25. L’emigrazione dei cristiani e dei non cristiani del Medio Oriente è iniziata verso la fine del XIX secolo. Le due cause principali erano politica ed economica. I rapporti religiosi non erano dei migliori, ma il sistema dei “millet” (comunità etnico-religiose) aveva assicurato una certa protezione ai cristiani in seno alle loro comunità, il che impediva sempre i conflitti di carattere religioso e tribale allo stesso tempo. Questa emigrazione si è accentuata oggi con il conflitto israelo-palestinese e l’instabilità che ha causato in tutta la regione, per finire con la guerra dell’Iraq e la precarietà politica del Libano.

26. Nel gioco delle politiche internazionali, poi, si ignora spesso l’esistenza dei cristiani, ed anche questa è una delle cause principali dell’emigrazione. Ora, nella situazione politica attuale del Medio Oriente, è difficile creare un’economia che possa procurare un livello di vita degno per tutta la società. Si possono prendere alcune misure per ridurre l’emigrazione, ma alla base ci sono le realtà politiche esistenti. È qui che bisognerebbe agire, e la Chiesa è invitata ad impegnarsi in questo senso.

27. Un altro aspetto potrebbe aiutare a limitare l’emigrazione: rendere i cristiani più consapevoli del senso della loro presenza. Ciascuno, nel proprio Paese, è portatore del messaggio di Cristo alla sua società e ancora di più nelle difficoltà e nella persecuzione. È ciò che Cristo ci annuncia nel Vangelo: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno ... Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 11-12). È a questo livello che bisogna elevarsi con l’aiuto di Cristo.

5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente

28. I Paesi del Medio Oriente ricevono, come lavoratori immigrati, centinaia di migliaia di africani dell’Etiopia e soprattutto del Sudan, e di asiatici, principalmente delle Filippine, dello Sri Lanka, del Bangladesh, del Nepal, del Pakistan e dell’India. Si tratta, il più delle volte, di donne che lavorano come domestiche per permettere ai propri figli un’educazione e una vita più dignitose. Queste donne (e uomini) sono spesso oggetto di ingiustizie sociali, sfruttamento e abusi sessuali, tanto da parte degli Stati che le accolgono e delle agenzie che le fanno venire, quanto dei datori di lavoro.

29. Ciò richiama ad una responsabilità pastorale per accompagnare queste persone, tanto sul piano religioso che sociale. Tali immigrati devono spesso far fronte a dei drammi, e la Chiesa non può fare molto. Parallelamente, è urgente e indispensabile un’educazione dei nostri cristiani alla dottrina sociale della Chiesa e alla giustizia sociale, per evitare ogni atteggiamento di superiorità, cioè di disprezzo. Inoltre, le leggi e le convenzioni internazionali non sono rispettate.

C. Risposte dei cristiani nella loro vita quotidiana

30. Il comportamento dei cristiani nelle nostre Chiese e società, di fronte alle sfide menzionate sopra, è vario e differente:

- C’è il cristiano credente e impegnato, che accetta e vive con fedeltà la propria fede nella vita privata e pubblica.

- C’è anche il cristiano “laico”, che abbiamo visto, nei nostri Paesi, specialmente nel corso della storia contemporanea, impegnarsi a fondo nella vita pubblica, fondare partiti politici, soprattutto di sinistra, o diventarne membro, spesso sacrificando la sua fede.

- C’è poi il cristiano che ha una fede tradizionale, fatta di devozioni e pratiche esteriori, che non ha influenza sulla sua vita concreta o sulla scala dei valori. Egli condivide invece i criteri e i valori pragmatici della sua società, a volte anche in contraddizione con il Vangelo. Adotta gli atteggiamenti di lotta della società e si differenzia dagli altri soltanto per le sue pratiche religiose esteriori, le sue feste o il suo nome di cristiano.

- C’è, infine, il cristiano che si considera una persona debole. È complessato per il numero ridotto della sua comunità in una società a maggioranza musulmana, ha paura, è pieno di ansie ed è preoccupato di vedere i propri diritti violati.

31. La maniera di vivere la propria fede si riflette direttamente sull’appartenenza del cristiano alla Chiesa. Una fede profonda porta ad un’appartenenza solida e impegnata. Una fede superficiale equivale ad un’appartenenza superficiale. Nel primo caso, l’appartenenza è autentica e vera e il credente partecipa alla vita della Chiesa e vi impegna tutta la sua fede. Nel secondo, l’appartenenza è soltanto confessionale[4]. In questo caso, il fedele esige che la sua Chiesa si prenda cura di tutti gli aspetti della sua vita materiale e sociale, il che porta all’“assistenzialismo” e alla passività[5].

32. Ciò richiede una conversione personale dei cristiani, ad iniziare dai Pastori, mediante un ritorno allo spirito del Vangelo, affinché la nostra vita divenga una testimonianza dell’amore di Dio, che si esprime nell’amore concreto verso tutti e ciascuno. Essere testimone di Cristo risorto: (“Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù … [At 4, 33]), per superare il nostro egoismo, le nostre rivalità e le nostre debolezze personali.

33. Nei nostri Paesi la vita consacrata è presente a vari livelli. Là dove manca la dimensione contemplativa, sarebbe auspicabile sollecitarla. La prima missione dei monaci e delle monache è la preghiera e l’intercessione per la società: per più giustizia nella politica e nell’economia, più solidarietà e rispetto nei rapporti familiari, più coraggio per denunciare le ingiustizie, più onestà per non lasciarsi trascinare nelle dispute della civitas o nella ricerca degli interessi personali. Così è l’etica che pastori, monaci, monache, religiosi, educatori, devono proporre nelle nostre istituzioni (scuole, università, centri sociali, ospedali, ecc.), affinché i nostri fedeli siano anch’essi testimoni autentici della Resurrezione nella società.

34. La formazione del nostro clero e dei fedeli, le omelie e la catechesi, devono dare al credente un senso autentico della sua fede, e la coscienza del proprio ruolo nella società in nome di questa stessa fede. Egli deve imparare a cercare e vedere Dio in ogni cosa e in ogni persona, sforzandosi di renderLo presente nella nostra società, nel nostro mondo, mediante la pratica delle virtù personali e sociali: giustizia, onestà, rettitudine, accoglienza, solidarietà, apertura del cuore, purezza di costumi, fedeltà, ecc.

35. A questo scopo, deve essere fatto uno sforzo particolare per scoprire e formare i “quadri” necessari, sacerdoti, religiosi, religiose, laici – uomini e donne –, affinché siano, nella nostra società, veri testimoni di Dio Padre e di Gesù Risorto, e dello Spirito Santo che Egli ha inviato alla sua Chiesa, per confortare i loro fratelli e sorelle in questi tempi difficili e contribuire all’edificazione della civitas.

Domande

3. Che fanno le nostre Chiese per suscitare e incoraggiare le vocazioni alla vita religiosa e contemplativa?

4. Come contribuire a migliorare l’ambiente sociale nei vari Paesi?

5. Quale ruolo svolge la vostra Chiesa per aiutare a integrare la modernità nelle vostre società, con il necessario sguardo critico?

6. Come far crescere il rispetto della libertà di religione e della libertà di coscienza?

7. Cosa si può fare per arrestare o rallentare l’emigrazione dei cristiani del Medio Oriente?

8. Come seguire e restare in rapporto con i cristiani emigrati?

9. Cosa dovrebbero fare le nostre Chiese per insegnare ai fedeli il rispetto degli immigrati e il loro diritto ad essere trattati con giustizia e carità?

10. Cosa fa la vostra Chiesa per assicurare la cura pastorale agli immigrati cattolici e per proteggerli dagli abusi e dallo sfruttamento da parte dello Stato (polizia e personale carcerario), delle agenzie e dei datori di lavoro?

11. Le nostre Chiese si adoperano per formare “quadri” cristiani che possano contribuire alla vita sociale e politica dei nostri Paesi? Cosa potrebbero fare?

II. LA COMUNIONE ECCLESIALE

A. Introduzione

36. La comunione cristiana ha per fondamento il modello della vita divina nel mistero della Santissima Trinità. Dio è amore (cf. 1 Gv 4, 8), e i rapporti tra le persone divine sono rapporti d’amore. Così la comunione nella Chiesa tra tutte le membra del Corpo di Cristo è fondata su rapporti d’amore: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola” (Gv 17, 21). È necessario che, in seno a ciascuna Chiesa, viviamo tra di noi la comunione stessa della Santissima Trinità. La vita della Chiesa e delle Chiese d’Oriente deve essere comunione di vita nell’amore, sul modello dell’unione del Figlio con il Padre e lo Spirito.

37. Gesù ci ha raccomandato questa unità di vita nell’esempio della vigna e dei tralci (cf. Gv 15, 1-7). San Paolo sviluppò questa realtà di vita cristiana con l’esempio dell’unità di vita nel corpo con la pluralità delle membra (cf. 1 Cor 12, 12-21). Tutta la Chiesa fonda, dunque, la sua comunione di vita sul fatto reale che ciascun membro della Chiesa è, mediante il battesimo, membro del Corpo di Cristo che ne è il capo. La comunione tra le Chiese o in seno alla Chiesa stessa consiste, pertanto, nel prendere consapevolezza del fatto che ogni persona è membro di un Corpo il cui capo è Cristo. Ogni membro, perciò, deve essere degno del capo a cui è intimamente legato.

B. Comunione nella Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese

38. Questa comunione in seno alla Chiesa universale si manifesta mediante due segni principali: il primo, la comunione nell’Eucaristia e, il secondo, la comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro e capo di tutta la Chiesa. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali ha codificato, sul piano della legge, questa comunione di vita nell’unica Chiesa di Cristo. Al servizio di questa comunione sono anche la Congregazione per le Chiese Orientali e i vari Dicasteri della Curia Romana.

39. A livello dei fedeli, le nostre scuole e gli istituti d’istruzione superiore, ma anche le istituzioni caritative quali ospedali, orfanotrofi e case di riposo, accolgono tutti i cristiani indistintamente. Nelle città, i fedeli cattolici di Chiese diverse praticano spesso nella chiesa più vicina, pur restando fedeli alla propria comunità confessionale, nella quale ricevono i Sacramenti (battesimo, confermazione, matrimonio ...).

C. Comunione tra Vescovi, clero e fedeli

40. La comunione, nella stessa Chiesa o Patriarcato, tra i vari membri avviene sul modello della comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma. A livello della Chiesa Patriarcale, la comunione si esprime mediante il sinodo che riunisce i Vescovi di tutta una comunità attorno al Patriarca, Padre e capo della sua Chiesa. Al livello dell’eparchia, è attorno al Vescovo che avviene la comunione del clero, dei religiosi e delle religiose, come pure dei laici. La preghiera, la presenza eucaristica e l’ascolto della Parola di Dio, sono i momenti che unificano la Chiesa e la riconducono all’essenziale, al Vangelo. Spetta al Vescovo preoccuparsi di armonizzare il tutto, nonostante i momenti di debolezza.

41. Questa grazia dal Vescovo viene comunicata ad ogni pastore di una parrocchia o assemblea di credenti, nella quale ci saranno membri forti ed altri meno forti. Malgrado i loro limiti, essi restano strumenti tra le mani di Dio il quale ha affidato loro un tesoro contenuto in vasi d’argilla (cf. 2 Cor 4, 7). Egli fa di loro lo strumento della sua grazia. “Quando sono debole, è allora che sono forte”(2 Cor 12, 10).

42. Ma ciò significa che le membra del Corpo di Cristo e coloro che cercano di seguirlo più da vicino, hanno una grave responsabilità nella comunità, non soltanto per gestire la Chiesa di Dio a livello locale[6], ma più ancora sul piano spirituale e morale: essi sono modello ed esempio per gli altri. La comunità attende da loro che vivano concretamente, e in maniera esemplare, i valori del Vangelo. Non ci si stupirà del fatto che i fedeli attendano da Vescovi, sacerdoti, monaci e religiose una maggiore semplicità di vita, un reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica edificante della castità e una purezza di costumi trasparente. Non sempre è così e ciò scandalizza profondamente i fedeli.

43. Inoltre, lo spirito dei due apostoli Giacomo e Giovanni, che chiedevano a Gesù di concedere loro il primo posto alla Sua destra e alla Sua sinistra[7], persiste ancora e provoca turbamenti tra i fedeli. Invece di ritrovarci assieme per far fronte alle difficoltà, ci disputiamo a volte tra di noi e contiamo il numero dei nostri fedeli, come per sapere quale è il più grande. Lo spirito di rivalità ci distrugge; l’emulazione spirituale e pastorale, al contrario, può stimolare la nostra creatività al servizio di tutti. È questa emulazione, per servire, che bisogna incoraggiare e, come tutte le Chiese del mondo, le nostre Chiese devono continuamente purificarsi. Questo Sinodo desidera aiutare a compiere un esame di coscienza sincera per scoprire i punti forti, allo scopo di promuoverli e svilupparli, e i punti deboli, per avere il coraggio di correggerli.

44. Dobbiamo ritrovare il modello della comunità primitiva: “La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso (At 4, 32-34).

45. Le Associazioni e i movimenti apostolici, d’origine locale o internazionale, provenienti da ogni Paese, devono adeguarsi alla mentalità e all’ambiente di vita offerti loro dalla tradizione ecclesiale e da quella del Paese che li accoglie. È indispensabile uno spirito di umiltà per obbedire al Vescovo e per informarsi delle tradizioni, della cultura e soprattutto della lingua del Paese. Alcuni movimenti internazionali, che pur svolgono un lavoro degno di lode, devono incarnarsi maggiormente nelle nostre società, senza però perdere il loro carisma specifico.

Domande

12. Cosa vuol dire vivere la comunione nella Chiesa?

13. Come si manifesta la comunione tra le varie Chiese d’Oriente con il Santo Padre?

14. Come possono migliorare i rapporti tra le varie Chiese negli ambiti dell’azione religiosa, caritativa e culturale?

15. L’atteggiamento della “gente di Chiesa” nei confronti del denaro vi pone problemi?

16. La partecipazione dei vostri fedeli a celebrazioni di altre Chiese cattoliche rappresenta un problema?

17. Come migliorare i rapporti di comunione tra le varie persone nella Chiesa: tra Vescovi e sacerdoti, persone di vita consacrata, laici?

III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA

46. La fede vissuta porta frutti abbondanti: una fede senza opere è una fede morta (cf. Gc 2, 17). Le nostre Chiese sono attive: numerosi sono i progetti, molti i movimenti di giovani, molte le istituzioni educative e caritative, ecc. A volte queste attività sono professionalmente efficaci, ma non sempre sono una testimonianza d’amore disinteressato che invita a conoscerne la fonte evangelica.

A. Testimoniare il Vangelo nella Chiesa stessa: catechesi ed opere

47. L’evangelizzazione ordinaria è fatta mediante le omelie in occasione della celebrazione eucaristica o dell’amministrazione dei Sacramenti. È fatta anche nella catechesi nelle scuole, nelle parrocchie o nelle “scuole della domenica” per gli studenti degli istituti statali che non hanno corsi d’educazione religiosa cristiana. È necessario far sì che i catechisti siano ben formati e siano modelli vivi per i giovani (gli stessi parroci fanno sempre meno la catechesi). L’evangelizzazione si fa anche attraverso le riviste, i libri e Internet. Esistono altresì centri di formazione biblica e teologica ovunque, per non parlare delle università e dei centri internazionali presenti a Gerusalemme o altrove.

48. Nei nostri Paesi, più ancora che in altre parti nel mondo, le Sacre Scritture devono occupare il posto principale, ed è importante saperne a memoria molti passaggi. È essenziale, altresì, conoscere bene la propria tradizione ecclesiale così come è importante conoscere, lungi da ogni pregiudizio negativo, coloro con cui viviamo, musulmani o ebrei, e sapere quali sono le obiezioni rivolte al Cristianesimo, al fine di essere capaci di presentare meglio la fede cristiana.

49. È essenziale che su tutti gli argomenti che preoccupano la società civile, il punto di vista cristiano sia chiaramente, solidamente e intelligentemente esposto. Occorre formare i giovani e i fedeli al lavoro in équipe, alla solidarietà con i più poveri e all’amore sincero verso tutti, cristiani e non, formarli ad operare per il bene comune di tutta la società.

50. I nuovi mezzi di comunicazione sono molto efficaci per testimoniare il Vangelo: Internet (in particolare per i giovani), radio e televisione, ma da noi sono ancora troppo poco utilizzati. Segnaliamo due media cattolici libanesi: «La Voix de la Charité» (Sawt al-Mahabba) e TéléLumière/Noursat, diffusi in tutto il Medio Oriente e anche nel resto del mondo. Esse meriterebbero di essere maggiormente sostenute, al pari degli altri centri d’informazione cattolici nei nostri Paesi.

51. Vivendo in società in cui numerosi sono i conflitti di ogni tipo, la catechesi deve poter preparare i giovani ad impegnarvisi, forti della loro fede e della luce del comandamento dell’amore. Cosa vuol dire l’amore per il nemico? Come viverlo? Come vincere il male con il bene? Occorre insistere sull’impegno nella vita pubblica come cristiani, con la luce, la forza e la dolcezza della propria fede. Viste le numerose divisioni fondate sulla religione, sui clan familiari o su quelli politici, i giovani devono essere formati a superare queste barriere e ostilità interne, e a vedere il volto di Dio in ogni essere umano, per collaborare insieme e edificare una città comune accogliente. Tutto ciò deve essere messo in risalto nella catechesi, soprattutto nelle nostre scuole cattoliche, che preparano i giovani a costruire un avvenire fatto non di conflitti e instabilità, ma di collaborazione e pace.

52. D’altra parte, l’azione della Chiesa si manifesta con un gran numero di opere sociali: cliniche, ospedali, orfanotrofi, case per anziani e per disabili, ecc. Anche qui i laici giocano un ruolo essenziale e non subalterno. Il pericolo è che queste opere sociali si possano trasformare in rivalità confessionale. È assolutamente necessario, allora, un coordinamento tra le Chiese per evitare ripetizioni non necessarie in certi settori e dei vuoti in altri.

B. Testimoniare insieme con le altre Chiese e Comunità

53. I legami di comunione, reale benché imperfetta, tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e comunità cristiane si fondano sulla fede in Cristo crocifisso e glorificato e sul Sacramento del battesimo[8]. I rapporti, generalmente buoni e amichevoli, sono di due tipi:

- sul piano individuale o tra Chiese, o tra Vescovi, parroci o fedeli laici, in segno d’amicizia o di collaborazione;

- sul piano comunitario, quando i Vescovi di una grande città si incontrano su base regolare, per trattare questioni pastorali, sociali o politiche.

54. A livello delle parrocchie, in generale i rapporti tra i parroci sono amichevoli anche se, a volte, suscitano rivalità o critiche. A livello delle Chiese, si devono rilevare due difficoltà.

Una d’ordine pastorale: alcune Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche esigono, in caso di matrimonio misto, un nuovo battesimo del coniuge cattolico. Un’altra difficoltà sempre d’ordine pastorale proviene da sette “evangeliche” che fanno del proselitismo e aumentano la divisione tra i cristiani.

L’altra difficoltà, d’ordine storico, riguarda la Terra Santa ove lo statuto dei Luoghi Santi è sottoposto al regime dello statu quo. I rapporti sono a volte difficili[9] nei due grandi santuari della cristianità, cioè il Santo Sepolcro e la Basilica della Natività.

55. Il dialogo ecumenico viene condotto nel quadro del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, (commissione “fede e unità”), che raggruppa tutte le Chiese in quattro famiglie: la famiglia greco ortodossa, la famiglia ortodossa orientale (le Chiese copta, siriaca ed armena), la famiglia cattolica con le sei Chiese patriarcali e la Chiesa latina, e la famiglia protestante (anglicani, luterani, presbiteriani e altre denominazioni). Questo Consiglio rappresenta praticamente tutti i cristiani del mondo arabo e, con le sue molteplici commissioni (fede, istituti teologici e seminari, giustizia e pace, gioventù, ecc.), compie un lavoro ecumenico che apporta alle Chiese un soffio nuovo e una capacità di frequentare e rispettare gli altri.

56. La Santa Sede, inoltre, prosegue il dialogo teologico fecondo e fruttuoso con le Chiese Ortodosse nel loro insieme e un dialogo separato con tutta la famiglia delle Chiese Ortodosse Orientali, al quale prendono parte attivamente le Chiese Orientali Cattoliche. La Fondazione pro Oriente di Vienna riunisce saltuariamente le Chiese cattoliche ed ortodosse della regione per incontri di riflessione teologica ed ecumenica.

57. Le scuole cattoliche accolgono tutti i cristiani. Se i genitori sono d’accordo, gli studenti ortodossi possono avvicinarsi ai Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ogni proselitismo deve essere respinto. Gli studenti ortodossi sono invitati a conoscere la loro Chiesa e a restarle fedeli. Esistono, inoltre, numerosi progetti sociali comuni, iniziati e gestiti dagli stessi fedeli.

58. Non mancano, poi, progetti pastorali comuni elaborati nel Consiglio dei Patriarchi Cattolici riuniti con i Patriarchi Ortodossi di Libano e Siria. Essi riguardano quattro punti: i matrimoni misti tra diverse confessioni cristiane, la prima comunione, un catechismo comune e una data comune per il Natale e la Pasqua. Sono stati raggiunti degli accordi per quanto riguarda i primi tre argomenti. Il catechismo comune è arrivato al 6° libro per la 6a elementare. La questione dell’unificazione della data del Natale e della Pasqua, trattata dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, incontra difficoltà insormontabili (di disciplina, tradizione, ecc.). È tuttavia grande desiderio dei fedeli in tutti i Paesi del Medio Oriente, poter celebrare un giorno queste due feste insieme.

59. Sul piano accademico, le università, le facoltà o gli istituti di teologia collaborano tra di loro. Lo studio del patrimonio religioso, siriaco ed arabo, suscita un reale interesse presso le istituzioni accademiche e anche le gerarchie. Si tratta di un settore molto promettente che potrebbe essere fonte di arricchimento spirituale: il ritorno alla Tradizione comune può essere un mezzo eccellente di riavvicinamento teologico. Inoltre, il patrimonio cristiano di lingua araba, accademicamente valorizzato, favorisce un vero dialogo culturale e religioso tra i cristiani e con i musulmani.

60. C’è un ambito che meriterebbe una collaborazione su base regolare tra cattolici ed ortodossi: è quello della liturgia. Sarebbe auspicabile uno sforzo di rinnovamento, radicato nella tradizione e che tenga conto della sensibilità moderna e dei bisogni spirituali e pastorali attuali. Tale lavoro dovrebbe essere realizzato, per quanto possibile, congiuntamente.

C. Rapporti particolari con l’ebraismo

61. Vista la situazione politica conflittuale tra Palestinesi e mondo arabo da un lato, e Stato d’Israele dall’altro, il dialogo è poco sviluppato nelle Chiese della regione. I rapporti con l’ebraismo sono la peculiarità delle Chiese di Gerusalemme[10]. In Palestina e Israele, esistono molteplici associazioni di dialogo ebraico-cristiano. Allo stesso modo, esistono iniziative di dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani. La più importante è quella del “Consiglio interreligioso delle Istituzioni religiose”, le cui origini risalgono all’anno 2001 (esso comprende il grande rabbinato, il grande qādi e il ministro dei Waqf, e i tredici Patriarchi o capi di Chiesa di Gerusalemme). Il dialogo più importante è quello che si produce a livello di Santa Sede (e che include anche partecipanti delle Chiese locali) con il Grande Rabbinato d’Israele.

62. Il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente menziona i rapporti con l’ebraismo già nella sua 2a Lettera Pastorale (1992). Nella 10a ed ultima Lettera (2009), si afferma: “Queste relazioni sono una questione che riguarda tanto i cristiani arabi, quanto tutto il mondo arabo. Per questo sono da considerare a tre livelli: umano, religioso e politico.

Sul piano umano, ogni persona umana è creatura di Dio. A questo livello di incontro, ognuno di noi vede il volto di Dio nell’altro, ne riconosce la dignità e lo rispetta qualunque sia la sua religione o nazionalità.

Sul piano religioso, le religioni sono invitate all’incontro e al dialogo e ad essere operatori di riavvicinamento tra le genti, soprattutto in tempo di crisi e di guerra [...]. Il ruolo del capo religioso, in ogni religione, è difficile, soprattutto quando l’ostilità continua tra due parti [...]. Le nostre società hanno bisogno di capi religiosi sinceri, servitori del loro popolo e dell’umanità, che vedano che l’essenziale della religione, in ogni circostanza, consiste nell’adorare Dio e nel rispettare ogni Sua creatura.

63. Sul piano politico, questa relazione è ancora segnata da una situazione d’ostilità tra Palestinesi e mondo arabo da un lato, e Stato d’Israele dall’altro [aggravata da concezioni religiose]. Causa di questa ostilità è l’occupazione da parte d’Israele dei Territori Palestinesi e di qualche territorio libanese e siriano”[11]. A questo livello, spetta ai capi politici coinvolti, con l’aiuto della comunità internazionale, prendere le decisioni necessarie in accordo con le risoluzioni delle Nazioni Unite.

64. Lo ha giustamente affermato il Santo Padre Benedetto XVI durante la Visita Apostolica in Terra Santa, nelle due Cerimonie di Benvenuto. A Betlemme, il 13 maggio 2009, diceva: “Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei Suoi antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”[12]. E nel discorso all’aeroporto Ben Gurion, di Tel Aviv, l’11 maggio 2009, auspicava “che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”[13].

65. Spetta a noi, come cristiani, incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa condurre alla pace attraverso la giustizia. Rientra altresì nella nostra missione rammentare sempre la distinzione tra piano religioso e piano politico. E, come ricordava il compianto Giovanni Paolo II, “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”[14]. Dobbiamo imparare a perdonare, pur non accettando mai l’ingiustizia.

66. Adoperarsi per creare gruppi d’amicizia e di riflessione in vista della pace tra ebrei, musulmani e cristiani, è compito essenzialmente ed eminentemente cristiano. Come Cristo ha distrutto il muro che separava Ebrei e Greci, assumendo il male su di sé, sulla propria carne (cf. Ef 2, 13-14), così noi dovremo far cadere il muro di paura, diffidenza e odio, con la nostra amicizia con ebrei e musulmani, israeliti e palestinesi.

67. Sul piano teologico, secondo l’insegnamento di Nostra aetate, n° 4, è opportuno spiegare ai nostri fedeli il legame religioso esistente tra Giudaismo e Cristianesimo, fondato sul legame tra Antico e Nuovo Testamento, per evitare che le ideologie politiche arrivino ad intaccare questo rapporto. È essenziale distinguere bene i piani politico e teologico: non utilizzare la Bibbia a scopi politici, né la politica a scopi teologici.

D. Rapporti con i musulmani

68. Il rapporto tra cristiani e musulmani va compreso a partire da due principi: da una parte, come cittadini di uno stesso Paese e di una stessa patria che condividono lingua e cultura, come gioie e dolori dei nostri Paesi; dall’altra, noi siamo cristiani nelle e per le nostre società, testimoni di Cristo e del Vangelo. Le relazioni sono, più o meno spesso, difficili, soprattutto per il fatto che i musulmani generalmente non fanno distinzione tra religione e politica, il che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini.

69. Durante il Concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965, la Chiesa ha proclamato di fronte al mondo la sua posizione in rapporto all’Islam: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini”[15].

70. Tocca a noi, perciò, lavorare, con spirito d’amore e lealtà, per creare un’uguaglianza totale tra i cittadini a tutti i livelli: politico, economico, sociale, culturale e religioso, e questo conformemente alla maggioranza delle Costituzioni dei nostri Paesi. Con questa lealtà alla patria, e in questo spirito cristiano, noi facciamo fronte alla realtà vissuta, che potrebbe essere irta di difficoltà quotidiane, cioè di dichiarazioni e minacce da parte di certi movimenti. Constatiamo, in molti Paesi, la crescita del fondamentalismo, ma anche la disponibilità di un gran numero di musulmani a lottare contro questo estremismo religioso crescente.

71. A motivo di questa situazione generale, le relazioni tra cristiani e musulmani non sono sempre facili. È certo che va fatto tutto ciò che possa contribuire a risanare e a placare la situazione, quali che siano le difficoltà. L’iniziativa, il più delle volte, viene dai cristiani: essa deve essere perseverante. Queste relazioni (che possono evolversi verso il dialogo) vanno dal buon vicinato alla collaborazione più franca, al livello di individui e gruppi delle due religioni. I centri di dialogo tra musulmani e cristiani, ove esistono, sono molto utili, soprattutto in periodi di crisi. Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha un ruolo importante in ragione della sua posizione di organismo ufficiale della Santa Sede.

72. Le nostre scuole e istituzioni svolgono un ruolo importante nell’approfondimento di queste relazioni. Esse sono aperte a tutti, musulmani e cristiani, e sono un’occasione per conoscersi meglio reciprocamente, per allontanare taluni pregiudizi ed avere idee più esatte su ciò che è un cristiano e il Cristianesimo. L’educazione ai diritti dell’uomo e alla libertà di coscienza fa parte della formazione religiosa e umana generale: essa è vitale per le nostre società e deve essere sviluppata.

73. Conoscersi reciprocamente è la base di ogni dialogo. Per questo deve essere fatta quanto prima, assieme agli altri cristiani della regione, una presentazione semplice del Vangelo e di Cristo, in lingua locale, basata essenzialmente sul Nuovo Testamento e accessibile alla mentalità degli uomini delle nostre società; essa sarebbe benefica tanto per cristiani quanto per i musulmani, nel dialogo come nella vita quotidiana.

74. Esistono oggi numerose catene televisive cristiane o musulmane, in lingua araba o in altri idiomi, che permettono, a chi lo vuole, di conoscere l’altro. Sarebbe auspicabile, a questo riguardo, una collaborazione con tutte le Chiese. È essenziale rimanere obiettivi nell’informazione fornita, e rispettosi dell’altro nel dialogo, affinché la grazia del Vangelo possa essere veramente condivisa.

E. Contributo dei cristiani alla società

1. Due sfide ai nostri Paesi

75. Le sfide che oggi i nostri Paesi devono affrontare riguardano tutti: cristiani, ebrei e musulmani, contemporaneamente. Di fronte ai conflitti e alle ingerenze militari, le sfide della pace e della violenza hanno una grande rilevanza. Parlare di pace e operare per la pace, mentre la guerra e la violenza ci sono praticamente imposte, è una sfida. La soluzione dei conflitti è nelle mani del Paese forte che occupa un Paese o gli impone la guerra. La violenza è nelle mani del forte ma anche del debole, che, per liberarsi, può ugualmente ricorrere alla violenza a portata di mano. Diversi nostri Paesi (Palestina, Iraq) vivono la guerra e tutta la regione ne soffre direttamente, da generazioni. Questa situazione è sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale.

76. Troppo spesso i nostri Paesi identificano l’Occidente con il Cristianesimo. Se è vero che l’Occidente (Europa e America) ha una tradizione cristiana e se è vero che le sue radici sono cristiane, è certo che questi Paesi hanno oggi un regime e governi laici e sono lungi dall’ispirarsi, nella loro politica, alla fede cristiana. Tale confusione, che si spiega con il fatto che il mondo musulmano non distingue facilmente tra aspetto politico e religioso, nuoce grandemente alle Chiese della regione. In effetti, le scelte politiche degli Stati occidentali sono addebitate alla fede cristiana. È importante spiegare il senso della laicità, e ricordare ai nostri Paesi che non esiste una “Lega degli Stati cristiani” simile all’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI).

77. In queste circostanze, il contributo del cristiano consiste nel presentare e nel vivere secondo i valori evangelici, ma anche nel dire la parola di verità di fronte ai forti che opprimono o seguono politiche che vanno contro gli interessi del Paese, e di coloro che rispondono all’oppressione con la violenza. La pedagogia della pace è la più realistica, anche se è respinta dalla maggior parte; essa ha anche più possibilità di essere accolta, visto che la violenza tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto, nella regione del Medio Oriente, unicamente a fallimenti e a un’impasse generale. Il nostro contributo, che esige molto coraggio, è indispensabile.

78. La modernità si presenta come una realtà ambigua. Da un lato, ha un volto attraente, che promette confort e benessere nella vita materiale, perfino una liberazione da tradizioni culturali o spirituali opprimenti. La modernità, del resto, è anche lotta per la giustizia e l’uguaglianza, difesa dei diritti dei più deboli, parità tra tutti gli uomini e le donne, credenti e non credenti, ecc. In poche parole, è tutto ciò che è stato apportato dai Diritti dell’Uomo, immenso progresso per l’umanità. Dall’altro lato, per il musulmano credente essa si presenta con un volto ateo e immorale. Egli la vive come un’invasione culturale che lo minaccia, rovinando il suo sistema di valori. Non sa come farvi fronte: alcuni lottano contro di essa con tutte le loro forze. La modernità attira e respinge allo stesso tempo. Il nostro ruolo, nelle nostre scuole come attraverso i media, è quello di formare persone capaci di discernere il positivo dal negativo, per prendere solo il meglio.

79. La modernità è anche un rischio per i cristiani. Le nostre società sono allo stesso modo minacciate dall’assenza di Dio, dall’ateismo e dal materialismo, e più ancora dal relativismo e dall’indifferentismo. È necessario che ricordiamo il posto di Dio nella vita civile e in quella personale, e che diventiamo sempre più uomini di preghiera, testimoni dello Spirito, che edifica e unisce. Tali rischi, al pari dell’estremismo, possono facilmente distruggere le nostre famiglie, società e Chiese. Da questo punto di vista, musulmani e cristiani devono percorrere una strada comune.

2. I cristiani al servizio della società nei loro Paesi

80. Noi apparteniamo al Medio Oriente e con esso ci identifichiamo. Ne siamo una componente essenziale. Come cittadini, condividiamo le responsabilità per costruire e risanare. Inoltre, come cristiani, ciò è per noi un impegno. Di qui l’obbligo a doppio titolo di condividere la lotta contro i mali delle nostre società, che siano d’ordine politico, giuridico, economico, sociale o morale, e di contribuire a edificare una società più giusta, solidale e umana.

81. Così facendo, seguiamo le tracce delle generazioni dei cristiani che ci hanno preceduto: il loro apporto alla società è stato immenso, al livello dell’educazione, della cultura e delle opere sociali, e ciò da numerose generazioni. Essi hanno svolto un ruolo essenziale nella vita culturale, economica e politica dei loro Paesi. Sono stati i pionieri della rinascita della nazione araba.

82. Oggi la loro presenza nella politica, a parte il Libano, è più limitata, soprattutto a motivo del loro numero ridotto. Pur tuttavia, il loro ruolo è riconosciuto nella società. La Chiesa è presente nella società grazie alle numerose istituzioni tenute dalle Chiese e dalle Congregazioni religiose, e questa presenza è generalmente apprezzata. È auspicabile che i laici cristiani si impegnino sempre più nella società.

3. Rapporti Stato-Chiesa

83. Nell’Islam non c’è laicità, ad eccezione della Turchia: l’Islam è, in generale, religione di Stato, principale fonte della legislazione, ispirata dalla charia. Per lo statuto personale (famiglia ed eredità in alcuni Paesi), esistono statuti particolari per le comunità cristiane i cui tribunali ecclesiastici sono riconosciuti e le loro decisioni applicate. Tutte le Costituzioni affermano l’uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato. L’educazione religiosa è obbligatoria nelle scuole private e pubbliche, ma non sempre è garantita ai cristiani.

84. Alcuni Paesi sono Stati islamici, ove la charia è applicata non soltanto nella vita privata, ma anche in quella sociale, anche per i non musulmani. Ciò è sempre discriminatorio e, pertanto, contrario ai diritti dell’uomo.

Quanto alla libertà religiosa e a quella di coscienza, esse sono sconosciute nella mentalità musulmana, che riconosce la libertà di culto, ma non quella di proclamare una religione diversa dall’Islam e meno ancora di abbandonare l’Islam. Inoltre, con la crescita dell’integralismo islamico, aumentano un po’ ovunque gli attacchi contro i cristiani.

F. Conclusione: contributo specifico e insostituibile del cristiano

85. Il cristiano ha un contributo specifico e insostituibile in seno alla società in cui vive, per arricchirla dei valori del Vangelo. Egli è testimone di Cristo e dei valori nuovi da Lui apportati all’umanità. È per questo che la nostra catechesi deve formare, nel contempo, credenti e cittadini che operano nei vari settori della società. Un impegno politico privo dei valori del Vangelo è una contro-testimonianza e arreca più male che bene. Su più di un punto, questi valori, in particolare i diritti dell’uomo, si uniscono con quelli del musulmano, e c’è dunque interesse a promuoverli insieme.

86. In Medio Oriente esistono diversi conflitti nati a partire dal focolaio principale che è il conflitto israelo-palestinese. Il cristiano ha un contributo speciale da apportare nell’ambito della giustizia e della pace. È nostro dovere, pertanto, denunciare con coraggio la violenza da qualunque parte essa provenga, e suggerire un soluzione, che non può passare che per il dialogo. Inoltre, mentre, da una parte, si esige giustizia per l’oppresso, è necessario, dall’altra, introdurre il messaggio della riconciliazione basata sul perdono reciproco. La forza dello Spirito Santo ci rende capaci di perdonare e chiedere perdono. Solo questo atteggiamento può creare un’umanità nuova. I poteri pubblici hanno bisogno di questa apertura spirituale che può procurare loro un apporto cristiano umile e disinteressato. Permettere allo Spirito di penetrare i cuori degli uomini e delle donne che soffrono nella nostra regione situazioni conflittuali, ecco un contributo specifico del cristiano e il servizio migliore che egli può rendere alla sua società.

Domande

18. La catechesi prepara i nostri giovani a comprendere e a vivere la fede?

19. Le omelie rispondono alle attese dei fedeli? Li aiutano a comprendere e a vivere la fede?

20. I programmi radiofonici e televisivi cristiani sono soddisfacenti? Vorreste qualcosa di diverso nel vostro Paese? Quali programmi vi sembrano mancare?

21. Come promuovere concretamente i rapporti ecumenici?

22. La riscoperta del patrimonio comune (siriaco, arabo, ecc.) ha una qualche importanza?

23. Ritenete che la Liturgia avrebbe bisogno di essere riformulata?

24. Come testimoniare la fede cristiana nei nostri Paesi del Medio Oriente?

25. Come migliorare i rapporti con gli altri cristiani?

26. Come interpretare i rapporti con l’ebraismo come religione, e come promuovere la pace e la fine del conflitto politico?

27. Quali sono gli ambiti in cui può avvenire la collaborazione con i musulmani?


CONCLUSIONE GENERALE:
QUALE AVVENIRE PER I CRISTIANI NEL MEDIO ORIENTE?
“NON TEMERE, PICCOLO GREGGE!”

A. Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriente?

87. La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi. Si tratta, al tempo stesso, di una questione di politica e di una questione di fede.

88. Per il momento, questa fede è vacillante e perplessa. I nostri atteggiamenti vanno dalla paura allo sconforto, perfino tra alcuni pastori. Questa fede deve diventare più adulta e fiduciosa mentre noi stessi dobbiamo prendere in mano il nostro avvenire. Dipenderà dalla maniera con cui sapremo trattare e stringere alleanze con gli uomini di buona volontà della nostra società. Abbiamo bisogno di una fede impegnata nella vita della società, che ricordi ai cristiani del Medio Oriente queste parole sempre attuali: “Non temere, piccolo gregge” (Lc 12, 32). Tu hai una missione, tu l’adempirai e aiuterai la tua Chiesa e il tuo Paese a crescere e a svilupparsi nella pace, nella giustizia e nell’uguaglianza di tutti i suoi cittadini.

B. La speranza

89. La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà del mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli. In tutti i nostri Paesi, questa speranza ci sostiene, con la parola di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12, 32).

90. Ma la speranza significa, da un lato, riporre la propria fiducia in Dio e nella Provvidenza divina che veglia sul corso della storia di tutti i popoli; dall’altro, vuol dire agire con Dio, essere “collaboratori di Dio” (1 Cor 3, 9), fare il possibile per contribuire a questa evoluzione in cammino. La nostra catechesi ha bisogno di una maggiore apertura, sulla misura dell’amore di Dio per tutti, e di una di catechesi che faccia dei nostri fedeli veri collaboratori, con la grazia di Dio, in tutti gli aspetti della vita pubblica nelle nostre società.

91. Il nostro abbandono alla Provvidenza di Dio significa anche, da parte nostra, una maggiore comunione. Ciò vuol dire un più grande distacco dai punti di vista terreni, più liberazione dalle spine che soffocano la parola di Dio[16] e la Sua grazia in noi. Come raccomanda San Paolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12, 10-12). E Cristo ci dice: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17, 20; cf. Mt 21, 21).

92. Questi sono i credenti di cui abbiamo bisogno, tanto al livello dei nostri capi e padri, quanto a quello dei nostri fedeli. Ci aiuti la Vergine Maria, presente con gli Apostoli nella Pentecoste, ad essere uomini e donne pronti a ricevere lo Spirito e ad agire con la Sua forza.

Domande

28. Perché abbiamo paura dell’avvenire?

29. Come incarniamo la nostra fede nel lavoro?

30. Come incarniamo la nostra fede nella politica, nella società?

31. Crediamo di avere una vocazione specifica in Medio Oriente?

32. Eventuali altri suggerimenti.


[1] Cf. Benedetto XVI, Discorso di Benedetto XVI in occasione della visita alla Congregazione per le Chiese Orientali: L’Osservatore Romano (10.6.2007), p. 6.

[2] Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur le chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5, 5)», Édition du Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 13 f.

[3] Ibid., § 7.

[4] Cf. Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 4e Lettre Pastorale sur le mystère de l’Église «Je suis la vigne, vous, les sarments (Jn 15,5) » Édition du Secrétariat Général, Bkerké 1996, § 5-16.

[5] Cf. Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur le chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5,5)», Édition du Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 11.

[6] San Paolo parla due volte de “la Chiesa di Dio che è in Corinto” (cf. 1 Cor 1,1 e 2 Cor 1,2).

[7] Cf. Mc 10, 35-37. In Mt 20, 20-21 è la loro madre che rivolge la domanda a Gesù.

[8] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3; 22.

[9] Nei due Luoghi Santi, uno statu quo regola i rapporti tra le tre confessioni che custodiscono i luoghi: Latini (rappresentati dalla Custodia di Terra Santa, cioè i padri francescani), Armeni e Greci. Si verificano a volte opposizioni o scandali, immediatamente esacerbati dai mass media, a grande discapito della Chiesa.

[10] 5 Chiese ortodosse, 6 cattoliche e 2 protestanti.

[11] Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur le chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5,5)», Édition du Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 27.

[12] Benedetto XVI, Visita Apostolica in Terra Santa, Cerimonia di benvenuto nei Territori palestinesi (13.05.09): L’Osservatore Romano (14.05.09), p. 5.

[13] Benedetto XVI, Visita Apostolica in Terra Santa, Discorso all’aeroporto Ben Gurion de Tel Aviv (11.05.09): L’Osservatore Romano (11-12.05.09), p. 12.

[14] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono” (08.12.2001): AAS 94 (2002) 132.

[15] Concilio Ecumenico Vaticano II, Nostra aetate, 3.

[16] Cf. la parabola del seminatore, per esempio in Mt 13, 7 e paralleli.

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