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Children see, children do. I bambini osservano, i bambini fanno. Che altro non sarebbe, citando il bellissimo film di De Sica (padre, non figlio) che i bambini ci guardano e, soprattutto, ripetono quello che ci vedono fare.
E’ questo il senso di uno splendido spot televisivo australiano, frutto di una campagna della Napcan, associazione non profit che si batte per “promuovere un cambiamento positivo in atteggiamenti, comportamenti, politiche, pratiche per prevenire abusi e abbandono e garantire la sicurezza e il benessere di tutti i bambini australiani”.
In questi giorni il video sta girando un po’ ovunque in rete, pur con un certo ritardo rispetto alla sua programmazione televisiva originaria, a dimostrazione che le buone idee, quando ci sono, continuano a diffondersi viralmente grazie al passaparola dei navigatori.
Nel video i bambini seguono gli adulti, ne osservano i comportamenti negativi e li copiano pedissequamente, senza elaborazione critica, solo per emulazione. Si passa dalla lattina gettata a terra, alla scortesia con i passanti, fino a immagini forti come una bambina con la sigaretta o la violenza, verbale e fisica, contro animali, immigrati, donne.
Alcune considerazioni nascono immediatamente. Si dovrebbe partire dal presupposto che i bambini ci guardano, e non possiamo più dire "tanto non capiscono", perché i bambini sono attenti osservatori e comprendono subito le situazioni. E le copiano in fretta. I bambini ci osservano, ci studiano e percepiscono troppo velocemente cose che per loro sono ancora premature, per non dire di alcune che sarebbero addirittura proibite.
Se in un Paese che passa per civile si è sentito il bisogno di fare una campagna non per moralizzare i comportamenti, ma per invitare a moderarli in presenza dell’elemento più giovane e più plasmabile della società, i cittadini del futuro, perché non è possibile una simile “pubblicità progresso” anche sui nostri schermi?
Televisivamente parlando, siamo inondati da amene rappresentazioni di famiglie felici (e, se vogliamo dirla tutta, anche piuttosto ariane), di mulini bianchi e di madri che sembrano uscite da un film con Doris Day: non un capello fuori posto, giovanissime, bellissime e con la torta in forno. Ma non occorre aver seguito le avventure delle “Desperate housewife” per sapere che la realtà familiare è ben diversa.
La questione educativa, posta con urgenza dalla Chiesa e non solo, si declina anche attraverso queste cose. I bambini ci guardano, ci osservano, anche quando non lo danno a vedere. Imparano a leggere la realtà attraverso i nostri occhi e le nostre parole e imparano a vivere in mezzo agli altri attraverso i nostri comportamenti.
Certo, i bambini hanno tanti maestri: gli insegnanti, gli amichetti, anche la “cattiva maestra” televisione. Ma, soprattutto, si confrontano con gli adulti più vicini, i genitori appunto, dai quali imparano comportamenti, valori, idee e pregiudizi. La responsabilità in capo agli educatori è enorme.
I bambini, così determinati e così fragili, hanno bisogno di modelli umani, di guide vere e non di plastica, esempi da imitare, persone in grado di difenderli, proteggerli.
I bambini sono lo specchio nel quale noi adulti vediamo riflessa la nostra immagine: chiediamoci che cosa vogliamo vedere.