Si dice spesso che gli avanzamenti tecnologici possano recare vantaggi anche al mondo delle ricerche umanistiche e che, in particolare, la tecnologia applicata ai beni culturali abbia molto da offrire al microcosmo un po' elitario e appartato degli storici dell'arte.
Ma mai come nel caso che presentiamo questo è stato vero. Soprattutto mai, come in questo caso, una scoperta storico-artistica è stata fortemente voluta e perseguita, in un intreccio di intuizione storica, concretezza dell'analisi delle pratiche di lavoro e avanzamento scientifico. La ricerca di un underdrawing nelle opere di Caravaggio, cioè di un segno grafico tracciato direttamente dall'artista sullo strato preparatorio dei suoi dipinti, è stata una sfida teorica, prima ancora che scientifica.
L'importanza della ricerca e della scoperta va al di là del dato specifico legato alla singola opera, ma costringe a rivedere molte delle convinzioni finora acclarate sul Merisi e sulla sua tecnica artistica. Tutta la critica sembrava infatti finora concorde sul ritenere l'assenza di disegno un assioma, se non addirittura un articolo di fede, nonostante alcuni isolati dati analitici potessero indirizzare in altro senso. L'assioma si è appoggiato spesso su una interpretazione univoca della letteratura antica, in cui biografi e commentatori, esaltandone il dipingere dalla natura, sembravano implicare o dichiarare una mancanza di disegno.
Il progressivo avvicinamento delle indagini diagnostiche all'analisi della tecnica artistica di Caravaggio, svoltosi dalla metà degli anni Settanta del Novecento in poi, aveva avuto, paradossalmente, un effetto negativo sul problema, estremizzando ancora di più i termini della questione e portando a un negazionismo pressoché assoluto della possibilità intellettuale stessa che il Merisi utilizzasse segni grafici sulla preparazione delle sue opere.
Storicamente forse la prima fra le tecniche diagnostiche applicate ai Beni Culturali, è stata la radiografia x che, a partire dagli anni Venti e Trenta del Novecento, cominciò a essere utilizzata nei maggiori laboratori di restauro del mondo. Le radiografie applicate a Caravaggio fornirono risultati immediatamente apprezzabili, ma anche forzarono l'attenzione sulle incisioni e gli abbozzi di sottocolore, enfatizzate come espediente a sostituzione del disegno grafico da parte di Caravaggio.
La tecnica di indagine radiografica è sostanzialmente ancora oggi la stessa dell'epoca della scoperta dei raggi x da parte di Wilhelm Roentgen nel 1895 e, salvo alcune importanti innovazioni applicative, la sua riuscita è demandata alla capacità dell'operatore di calibrare energia e tempo di esposizione a seconda dei materiali costitutivi dell'opera. E comunque le sue applicazioni non possono assolutamente dare risposte in termini di identificazione del segno grafico.
La riflettografia Ir, invece, nata come tecnica di laboratorio negli anni Sessanta, è l'indagine specificamente volta a ricercare il disegno preparatorio dell'opera, sottostante gli strati pittorici. Oltre a essersi affermata più tardi rispetto alla radiografia, ha per anni visto una continua evoluzione dovuta al fatto che in questo caso importante è la strumentazione e cioè il rilevatore che registra l'immagine alla profondità della lunghezza d'onda Ir. Questo fatto ha spesso disorientato gli utilizzatori che non sempre hanno compreso la possibilità di ottenere con nuove strumentazioni risultati di maggiore significato.
Il caso di Caravaggio è emblematico di questo atteggiamento: all'inizio delle ricerche tecniche sull'artista, la riflettografia non offrì risultati immediati o eclatanti come quelli della radiografia e la si abbandonò, scambiando per una risposta negativa ("non c'è un disegno preparatorio") quello che invece era un limite strumentale. I risultati oggi possibili grazie allo scanner Multi-Nir dell'Opificio delle Pietre Dure e dell'Istituto nazionale di ottica del Cnr sono quindi perseguibili su tutto il corpus dell'artista.
Ma la ricerca non si è fermata alle indagini tecniche, sembrando necessario rivedere anche, in un processo quasi inevitabile, il risultato analitico alla luce della lettura delle fonti antiche. Si è potuto così appurare come probabilmente è stato l'assioma critico ("Caravaggio non disegnava") a spingere verso una interpretazione restrittiva di testimonianze storiche che invece avrebbero l'agio di essere rilette in un'ottica diversa. Per cui, sintetizzando al massimo, nessuno dei contemporanei o degli immediati commentatori e biografi nega in realtà lo strumento grafico, quanto, nell'esaltare la novità della pittura da modello, stabilisce come prerogativa di Caravaggio la scelta di fare a meno dello studio preliminare su carta come fase preliminare a quella pittorica. Ma l'una non esclude l'altra: che egli non avesse bisogno di una lunga elaborazione della composizione e delle figure preliminarmente, ma dipingesse "alla prima", non esclude che fermasse modello e composizione sulla tela tramite segni grafici. Anzi, caso mai sembra quasi che proprio per questa assenza del supporto della elaborazione, potesse avere maggiormente bisogno di appoggiarsi a riferimenti diretti sulla tela.
A dimostrazione, infine, della necessità assoluta di sottoporre di nuovo a indagini moderne le opere di Caravaggio, sta il risultato eccezionale ottenuto sulla Cena in Emmaus di Brera. Qui la riflettografia Ir e la radiografia fanno vedere immediatamente, sulla metà sinistra del dipinto, una preliminare versione in cui una finestra, o una parte di un loggiato su quella che è oggi una parete bruna, si apriva su un paesaggio.
Ma oltre questo dato, assolutamente inedito e di straordinaria importanza per quanto riguarda le implicazioni stilistiche e la necessaria rivisitazione dei contenuti di Caravaggio ancora nel 1606, importantissimi sono anche, nel contesto della nostra specifica ricerca, i ritrovamenti di molti esempi di underdrawing in diverse aree del dipinto: dal volto del Cristo, ai volti e alle mani degli apostoli. Una conferma quindi, per quel che ci riguarda, dell'esistenza, non solo, ma anche della persistenza dell'utilizzo del segno grafico da parte di Caravaggio, ben oltre le opere giovanili.
(©L'Osservatore Romano - 19 febbraio 2010)
Caravaggio e la falsa Maddalena
di Tomislav Mrkonjic
Scriptor dell'Archivio Segreto VaticanoIn coincidenza col iv centenario della morte di Caravaggio (1571-1610), il libro appena pubblicato da Pietro Caiazza (Caravaggio e la falsa Maddalena, Salerno, Arci Postiglione, 2009, pagine 216, euro 20) propone una interpretazione nuova del quadro finora intitolato Marta e Maddalena, dipinto da Caravaggio a Roma negli ultimi anni del Cinquecento, e dal 1974 esposto al Detroit Institute of Arts.
Sebbene il volume sia dedicato agli interrogativi specificamente connessi con questa opera e con le circostanze storiche coeve, l'autore non manca di accennare al problema più generale relativo al significato complessivo dell'opera del pittore lombardo e alle interpretazioni che di essa sono state proposte. In tal senso, il pericolo maggiore e tuttora attuale per la lettura dell'intera produzione di Caravaggio consiste per l'autore nei tentativi di "confessionalizzare" a tutti i costi la sua pittura e di presentare l'artista come adepto della linea borromaica della Riforma cattolica (Maurizio Calvesi).
Caiazza contesta questi tentativi di arruolare Caravaggio sotto una bandiera di tipo integralista o laicista, e sostiene che l'artista fu un testimone del suo tempo e che il suo spirito libertario non consente di farlo inquadrare in uno schieramento ideologico che ne mortificherebbe il genio.
In questo contesto la discussione sulla tela, detta anche Marta che converte Maddalena, giunge alla conclusione che il quadro non rappresenta affatto le due sorelle della tradizione evangelica.
Il libro si divide in tre parti: una pars destruens nella quale l'autore annota e dibatte tutti gli elementi interni al quadro - che per lui non possono essere interpretati secondo una simbologia mistica -; una pars construens in cui emerge la figura di Donna Olimpia Aldobrandini, nipote di Clemente viii (1592-1605) e sorella del "cardinal nepote" Pietro Aldobrandini (costei fu con ogni probabilità la committente della tela e poi certamente la sua prima proprietaria); infine una pars proponens nella quale, in base a un confronto mai prima compiuto con tale acribia, Caiazza giunge a sostenere che Caravaggio deve aver realizzato quella tela dopo aver visto un originale dipinto da Tiziano a Ferrara verso il 1529-1520 per il duca Alfonso i d'Este: e ciò perché Caravaggio ha riversato nella sua tela molti elementi presenti in diverse copie di un non identificato originale proprio di quel dipinto del Tiziano.
In questo schema, la prima parte esamina i singoli elementi rappresentati da Caravaggio nell'opera, non concedendo come scontato o accettabile nulla che non abbia un supporto o un riscontro documentario o coerente con il resto della sua produzione pittorica. Così, Caiazza inizia col negare che le due donne della tela siano le due sorelle Marta e Maddalena nominate nei Vangeli e all'origine di diffuse leggende agiografiche, in particolare perché Marta sarebbe più giovane della Maddalena, mentre la tradizione iconografica dell'Occidente medievale ha sempre raffigurato Marta come la sorella maggiore. Inoltre mancano completamente i gioielli che invece sono gli elementi iconografici più costantemente rimarchevoli: ciò tanto più perché lo stesso Caravaggio, in una tela del 1608-1609 (Resurrezione di Lazzaro, Messina) rappresenta precisamente Marta come più anziana, e in una precedente tela (la Maddalena Pamphilj) aveva addirittura "finto" (come dice il Bellori) il personaggio proprio mediante l'aggiunta dei gioielli spezzati.
Caiazza segnala poi un elemento che pare difficilmente contestabile, e cioè che la dama che raffigurerebbe la Maddalena risulta in realtà vistosamente incinta, e quindi già solo per questo non potrebbe corrispondere alla Maddalena dell'iconografia tradizionale.
A questo fatto - che già di per sé risulta nuovo in quanto mai segnalato da alcun altro studioso - l'autore aggiunge una discussione su altri elementi rappresentati in modo molto puntuale da Caravaggio: da una fascia sciolta sul ventre della donna gravida (e cioè "in-cinta", senza cinta), al rametto tenuto in mano dalla dama, di fiori d'arancio che in tutta l'Europa rappresentano, dalle Crociate in poi, il simbolo della fedeltà e della prolificità nel matrimonio, alla fede d'oro matrimoniale presente precisamente all'anulare sinistro della donna: tutti elementi per i quali Caiazza rivendica una lettura aderente al significato proprio e specifico che essi mantenevano nella società romana e cristiana del XVI secolo, e che non possono essere interpretati, per l'autore, con una chiave simbolica non legittimata né da Caravaggio né da alcuna fonte documentaria. Sul vistoso specchio convesso presente nella tela, l'autore sviluppa una discussione ampia e attenta anche al fine di ricostruire, secondo le leggi dell'ottica, la provenienza della luce riflessa sullo specchio e più in generale l'uso della luce e dei riflessi fatto da Caravaggio anche in altri suoi dipinti.
Questa parte iniziale si conclude con una discussione sulla interpretazione in chiave mistica della tela avanzata nel 1975 da Frederick Cummings, e che Caiazza contesta punto per punto sia nei presupposti sia nelle conclusioni. In particolare, egli contesta l'uso che Cummings ha fatto dell'inno Pater superni luminis scritto da san Roberto Bellarmino negli ultimi anni del Cinquecento proprio per i vespri della Maddalena (22 luglio), e sostiene, ricorrendo anche ad altri testi dello stesso Bellarmino, che il Cummings avrebbe sostanzialmente falsato il senso, e anche la valenza teologica, dell'inno bellarminiano per piegarlo alla sua lettura iconologica in chiave mistica: su tale punto Caiazza sostiene che rimuovere dal momento della conversione della presunta Maddalena la figura e l'opera di Gesù sarebbe oltretutto un grave errore sotto il profilo teologico, che la cultura della riforma cattolica non avrebbe certo consentito.
Nella seconda parte del lavoro l'autore approfondisce la figura di Donna Olimpia Aldobrandini e fa notare l'importanza della nobildonna come sposa e come madre. Costei infatti sposò Gianfrancesco Aldobrandini - di altro ramo della famiglia - che fu poi comandante generale delle truppe pontificie, e al quale diede in quattordici anni di matrimonio ben dodici figli: pertanto, deduce Caiazza, era quasi costantemente incinta e non è per nulla azzardato ipotizzare che, se è stata la committente del quadro di Caravaggio, in realtà il pittore ha rappresentato nel quadro proprio le fattezze della nobildonna.
Questo lo porta ad avanzare una nuova spiegazione dello specchio convesso presente vistosamente nella tela, e che per Caiazza non ha connessione con la vanitas femminile, e quindi con Maddalena, bensì con la virtù della prudenza, come si riscontra in numerose opere precedenti e coeve all'età del Caravaggio, da Giotto a Bellini.
L'autore procede infine a un confronto tra le modelle dei vari quadri del Caravaggio, e sostiene che quella della tela di Detroit non corrisponde per nulla alle altre modelle (per esempio la famosa cortigiana Fillide Melandroni), e che con ogni probabilità in essa è rappresentata proprio Donna Olimpia incinta che fa il conto con una sua fantesca su qualcosa forse attinente al prossimo parto. In conclusione di questa parte, Caiazza propone di collegare la scena dipinta proprio alla virtù morale della prudenza e di intitolare la tela non già come Marta e Maddalena bensì come la rappresentazione della Fedeltà coniugale.
Questo ipotizzato collegamento con la figura di una sposa fedele introduce la terza parte del lavoro, che riguarda il tentativo di identificare l'opera che potrebbe essere all'origine della tela del Caravaggio. Accettato quello che generalmente la critica ritiene verosimile, e cioè che la committente del quadro fu proprio Donna Olimpia, Caiazza sostiene che la nobildonna dovette necessariamente vedere a Roma un quadro di Tiziano portato proprio nella città dei Papi o dal fratello Pietro o dallo stesso cardinale Del Monte, mecenate, protettore e ospite di Caravaggio in Palazzo Madama, in occasione della "devoluzione" del Ducato di Ferrara alla Chiesa: in tale occasione (1598) soprattutto i due cardinali, Aldobrandini e Del Monte, acquistarono o trasportarono a Roma molte opere di pittori veneti e in particolare di Tiziano. Costui, verso il 1519-1520 aveva dipinto a Ferrara per Alfonso i d'Este due quadri che rappresentavano il rapporto tra il duca e Laura Dianti.
Tiziano fece per il duca due quadri - come si usava allora nelle corti principesche - uno, che ora si trova a Washington, destinato a fruizione privata, con una donna nuda mentre fa toletta con accanto il duca Alfonso; l'altro, ufficiale, con una donna vestita ma con a fianco sempre un uomo di alto rango richiamante la figura di Alfonso.
Da questo secondo quadro di Tiziano furono ricavate fin dal 1534, anno della morte di Alfonso i, diverse copie. E tuttavia Caiazza sostiene che nessuna di loro può corrispondere al quadro originale di Tiziano che deve essere stato portato da Ferrara a Roma e qui deve essere stato visto sia da Donna Olimpia sia da Caravaggio: la nobildonna deve aver chiesto a Caravaggio di rappresentare la sua condizione di sposa fedele e prolifica così come Tiziano aveva rappresentato l'amore di Alfonso i.
Non esiste, a parere dell'autore, alcuna possibilità che tanti elementi - due personaggi, lo specchio convesso, il riflesso nello specchio, il vasello, il pettine, l'anello, il tavolo, la stessa posa della donna - siano presenti in entrambe le tele in modo indipendente gli uni dagli altri. E poiché Caravaggio era in quegli anni a Roma, deve aver visto evidentemente a Roma - sostiene Caiazza - l'originale portato dal "cardinal nepote" o dal cardinale Del Monte dopo l'impresa di Ferrara, e cioè non prima della primavera del 1598. E poiché i fiori d'arancio fioriscono solo tra maggio e giugno, deve essere nella tarda primavera del 1598 o del 1599 che Caravaggio ha visto la tela di Tiziano a Roma e ha realizzato la sua tela per Donna Olimpia, dimostrando proprio per tal via quanto egli volesse e sapesse allontanarsi e differenziarsi da Tiziano e dal "venezianismo".
Certamente il lavoro di Caiazza è destinato a suscitare interrogativi e dibattiti, dato che esso, pur focalizzato principalmente su una sola opera, in realtà rimescola complessivamente le carte relative all'interpretazione dell'opera di Caravaggio nel suo complesso, rompendo una continuità interpretativa durata quattro secoli.
Ma forse proprio in occasione del quarto centenario della morte di Caravaggio il lavoro porta non secondari elementi di discussione ed esigenze di rivisitazione che non potranno - si auspica - essere passate sotto silenzio.
(©L'Osservatore Romano - 19 febbraio 2010)