Alla sede dell'Unesco di Parigi è stato presentato il film documentario "Un gesuita nel Regno del Drago" di Gjon Kolndrekaj. Pubblichiamo stralci del discorso tenuto per l'occasione dal cardinale presidente del Pontificio Consiglio per i Laici.
di StanisLaw RyLko Matteo Ricci pose le basi per sviluppare conoscenza reciproca e dialogo tra Oriente e Occidente; fra Roma, cuore della cristianità, e Pechino, dove da oltre due secoli regnava la grande dinastia Ming.
Il gesuita maceratese si è guadagnato stima e ammirazione, in Cina come in Europa, per aver aperto la via all'incontro tra due culture tanto lontane quanto ignote l'una all'altra, un'impresa straordinaria più volte tentata da altri in precedenza, ma mai riuscita ad alcuno. Malgrado le difficoltà della lingua, la chiusura della politica della dinastia Ming, la totale novità dei rapporti, Matteo Ricci seppe sviluppare un dialogo basato sull'amicizia, sul rispetto di usi e tradizioni, sulla conoscenza dell'animo e della storia cinese. Fu questo atteggiamento, non pregiudiziale né animato da spirito di conquista, che permise al gesuita maceratese di stabilire con il popolo cinese un rapporto di fiducia e di stima. Non a caso, la sua prima opera in lingua cinese fu dedicata al tema dell'amicizia. E quella raccolta di cento sentenze sull'amicizia attinte dai classici greci e latini suscitò grande stupore nei cinesi che ammirarono la saggezza e la ricchezza spirituale dell'uomo venuto dall'estremo Occidente.
Egli però, non si limitò a manifestare amicizia per il popolo cinese e interesse per la sua vita e la sua cultura. S'impegnò a fondo per impararne la lingua e approfondì lo studio dei classici confuciani tanto da essere considerato un esperto pari, se non superiore, agli stessi letterati cinesi che facevano a gara per conoscerlo e intrattenersi a conversare con lui. Padre Ricci si fece cinese tra i cinesi, adattandosi in tutto ai loro costumi e assumendo - dopo dieci anni di attenta analisi e conoscenza di quella realtà - il profilo e il tenore di vita del letterato, ossia di quella categoria di persone che guidava la società cinese in continuità con la filosofia e la tradizione confuciana.
Questo tratto caratteristico del suo approccio alla Cina non va poi certo disgiunto dal proficuo scambio culturale che egli instaurò con i cinesi su tutti i fronti del sapere umano. Dalla cartografia all'astronomia, dalla filosofia alla religione, dalla matematica alle tecniche mnemoniche, dagli orologi meccanici alla pittura e alla musica: non c'è ambito che non abbia costituito terreno fecondo di confronto e di reciproco arricchimento tra i cinesi e quell'uomo che, secondo gli stessi letterati cinesi suoi amici, la Provvidenza aveva inviato per dare ancor più lustro alla dinastia Ming e per rendere i cinesi partecipi dei progressi che la scienza e la tecnica avevano registrato nel rinascimento europeo. Un esempio per tutti dell'alta considerazione in cui era tenuto: dal suo arrivo a Pechino nel 1601, per volontà dell'imperatore Wanli, fu mantenuto a spese dell'erario pubblico, e alla sua morte, l'11 maggio 1610, ebbe il privilegio - mai concesso fin allora a degli stranieri - di essere seppellito nella Città imperiale. E non per caso, ai gesuiti che ne continuarono l'opera fu affidata nientemeno che la direzione dell'osservatorio astronomico di Pechino e la revisione del calendario cinese, portata a termine qualche anno dopo la morte di Matteo Ricci. La vasta documentazione conservata nell'antico osservatorio astronomico e l'inserimento di padre Ricci tra i personaggi più illustri della Cina testimoniano la gratitudine dei cinesi per il contributo del missionario gesuita e dei suoi confratelli al progresso delle conoscenze umanistiche e scientifiche nel loro Paese.
A muovere il missionario non furono lo spirito di avventura né la volontà di farsi ambasciatore del rinascimento europeo in Cina, bensì il desiderio di portare al popolo cinese l'annuncio evangelico a coronamento di quel ricco cammino culturale e sociale che egli avrebbe poi ammirato e apprezzato, come risulta dalla corrispondenza e dal dettagliato e celebre resoconto autografo della entrata della "Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina".
Affascinato dallo spirito missionario di Francesco Saverio, che aveva speso la vita per l'evangelizzazione dell'Oriente, non ancora trentenne padre Matteo inizia la sua impresa da Macao nel 1582. A differenza di quanti lo avevano preceduto nei numerosi e sempre falliti tentativi di entrare in Cina, padre Ricci capisce che per far sì che la cultura cinese si apra alla novità del Vangelo occorre trovare un nuovo metodo. Insieme ai confratelli responsabili delle missioni in Oriente, in special modo con padre Alessandro Valignano, elabora quindi una nuova strategia riassumibile nella parola "inculturazione": un'ottica nella quale la cultura cinese non sia più un ostacolo da superare, ma una risorsa per il Vangelo.
Questa originalità che nasce da una visione della fede non contrapposta alla scienza, alla ragione e alla cultura, ma in armonia con esse, è stata sottolineata il 6 maggio 2009 da Benedetto XVI nel Messaggio per il iv centenario della morte di padre Matteo Ricci: "Considerando la sua intensa attività scientifica e spirituale, non si può non rimanere favorevolmente colpiti dall'innovativa e peculiare capacità che egli ebbe di accostare, con pieno rispetto, le tradizioni culturali e spirituali cinesi nel loro insieme. È stato in effetti tale atteggiamento a contraddistinguere la sua missione tesa a ricercare la possibile armonia fra la nobile e millenaria civiltà cinese e la novità cristiana, che è fermento di liberazione e di autentico rinnovamento all'interno di ogni società, essendo il Vangelo, universale messaggio di salvezza, destinato a tutti gli uomini, a qualsiasi contesto culturale e religioso appartengano".
(©L'Osservatore Romano - 19 febbraio 2010)