DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

E l’artista riscoprì la carne. Nella pittura dei secoli XVI e XVII avviene una vera rivoluzione: la rinnovata teologia del corpo epifania del Mistero

DI G IOVANNI B ONANNO
L
ingua non estetica, bensì eti­ca quella dell’arte sacra, che parla dell’uomo e della storia nel corso dei secoli. La sua forma è specchio delle stagioni in cui si ma­nifesta, di stupori e sogni, delusio­ni e lutti. Riflette il modo di essere della gente e la sua esperienza reli­giosa, l’opera politica dei gover­nanti, l’assolutismo di principi e re gli scontri intestini, le violenze e le guerre. Non può dirsi asettico il ver­bo di Giotto, che racconta del fran­cescanesimo, dell’avidità dei mer­canti e dei drammi della Chiesa.
Non resta ai margini delle questio­ni civili e morali l’umanesimo to­scano al tempo di Beato Angelico e di Savonarola. Dopo l’armonia in­franta della classicità, di fronte ai dubbi della ragione, agli interroga­tivi dei fedeli e alle accuse di Lute­ro l’arte si sente coinvolta. Diviene partecipe delle lacerazioni della Riforma, constata il fallimento dei papi e la decadenza della Chiesa, sente l’angoscia di intellettuali e santi, registra il coraggio di Trento con il pauperismo di Borromeo, e­sperimenta con i sensi dei mistici spagnoli la contemplazione, con i santi francesi l’azione sociale, l’e­vangelizzazione con gesuiti e cap­puccini. Nel tempo dell’inquisizio­ne è testimone del travaglio di Car­tesio e Pascal, dell’eticismo dei cal­vinisti, del libertinaggio di corte, di conflitti ideologici e spirituali, del­la purificazione giansenista e della sua deriva. Pittura della storia in cui portante è la funzione della fede, che si accompagna agli eventi e al­le persone nel riscatto e nella catar­si.
La forma della carne, si pone, nel­l’analisi e nell’esegesi dei dipinti, co­me forma della fede contenuta nel prologo giovanneo: Et Verbum caro factum est . Se Dio si fa uomo, se si offre allo sguardo nella realtà cor­porea, se da invisibile si rende visi­bile, allora assume evidenza il su­peramento della proibizione leviti­ca, come accerta la Chiesa dei padri. Non ha motivo l’aniconia né tanto meno l’iconoclastia. Per questo l’or­todossia latina afferma, con i pri­mitivi e i pittori del realismo e del naturalismo, l’urgenza di una ico­nologia che traduca la consistenza fisica di Cristo, della Vergine e dei Santi. Del resto è Tertulliano a sot­tolineare nell’apologetica che Cri­sto è carne, ossa e sangue come o­gni persona. Non è nell’astrazione la verità, ma nella corporeità che la pit­tura cristiana rappresenta secondo i molteplici stili dell’arte.
L’utilizzo delle icone sacre si rivela scelta estetica, memore del
pulch­rum
costitutivo dell’idea di Dio, con finalità culturale e cultuale:
ut de­votionem pariant ac pietatem . Di fatto l’immagine si connota come
predicazione visuale
in consonan­za con la Scrittura, comunicando un messaggio recepito dagli occhi e rie­laborato dalla mente, attraverso un metodo antropologico che la Chie­sa fa suo. Così l’arte si carica di va­lori trascendenti. La sua espressio­ne subito risulta efficace, grazie a un linguaggio, insieme popolare e intellettuale, che parla al sentimen­to e alla ragione. Connessa con la filosofia e la lette­ratura, esplicative del Rinascimen­to e del Barocco, l’arte sacra entra in rapporto con la visione della carne, quale essenza dell’uomo. Mette in chiaro come non solo la carne del Logos sia sacra, ma ogni carne nel­la
unidualità
di materia e spirito. Ri- percorre con l’innocenza della Bib­bia la creazione di Adamo ed Eva, la nudità dei corpi, l’energia del sesso, la gioia della procreazione, l’eroti­smo del Cantico dei Cantici, l’elegia di Sara e Rebecca, la bellezza sen­suale di Giuditta e Susanna, la pas­sione di Maria di Magdala. Temi di un amore fisico, concepito dal Crea­tore, che formano la verità fenome­nologica della natura, la sua corpo­reità sessuata e autocosciente.
Illuminata dalla Scrittura l’arte ri­scopre la sacralità dell’uomo che de­sidera la donna e ne documenta l’a­more con immagini di interiorità. Celebra con fantasia il corpo dei profeti e dei santi dell’Antico e del Nuovo Testamento e il corpo di mi­stici, martiri e fedeli che formano la Chiesa. Corpo quale asse prospetti­co dell’orizzonte terrestre e di quel­lo celeste; corpo vivente nell’eros e nell’agape, consapevole di essere manifestazione della gloria divina. Sarebbe assurdo negare nella pittu­ra dei secoli XVI e XVII la fragranza voluttuosa di angeli e santi, avalla­ta da una teologia ardita, come quella dei gesuiti, che consente nel­la volta del Gesù di Roma l’appari­zione della carnalità quale sacra­mento .
Se in non pochi ambienti imperversa la sessuofobia, nella cer­chia degli umanisti e dei biblisti è considerata consustanziale alla bea­titudine la corporeità, senza la qua­le non potrebbe esserci né vita né grazia. Da qui scaturisce il senti­mento sacro dei corpi e la visione delle Sante e della Vergine, nei cui volti gli artisti esprimono l’idea su­prema della bellezza.
Sa di poesia la nudità del piccolo Gesù, ma anche di dogma signifi­cante l’umanità. Profuma di para­diso la carne di Caterina nello
spo­salizio,
di Agnese che carezza l’a­gnello, di Agata nel martirio, di Ce­cilia che suona l’arpa e di tante al­tre donne che sugli altari rifulgono di splendore. Pura è la sensualità di Maria che con il neonato in braccio si mostra a Betlemme, o quando e­sibisce il seno che allatta, o quando nella luce appare Immacolata, cir­condata da putti festanti.
Soprattutto il Barocco non nascon­de l’incanto della natura, sapendo­la opera di Dio. Anzi ne recupera il senso trascendente, esaltando il corpo come epifania del mistero. Con maggiore o minore penetra­zione, tra il XIV e il XVII secolo, la pittura sacra, rifuggendo spesso da estetismi illustrativi, si connota di una teologia della carne, inquieta ed eroica, che testimonia come gli artisti si sentano poeticamente ese­geti del Verbo, mentre ne traduco­no la presenza in immagini umane.




Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, «Maddalena in estasi»

Il realismo cristiano nato nel Duecento rimarrà fino all’Ottocento il linguaggio dell’arte occidentale


Da Giotto a Rembrandt a Delacroix i presupposti rimangono immutati, con sviluppi di sistemi stilistici ma non di teologia.
Il naturalismo nato in Italia si svilupperà anche in Europa settentrionale e nella penisola iberica

DI T IMOTHY V ERDON

chiaro che, per tutto il primo millennio cristiano, al posto del realismo e dell’invadente fisicità della scultura greco romana, la Chiesa privilegerà altri stili e altre esperienze estetiche, preferendo al­la scultura monumentale il mosaico, l’oreficeria, la miniatura.
Questo cambierà all’epoca di san Francesco d’Assisi. Là dove nel V-VI secolo il corpo era stato sostituito dal segno, ora il corpo diventa esso stesso «segno» rivelatore. Nel
Cristo flagellato sul retro di una croce di­pinta francescana del secondo Due­cento, un’opera oggi alla Galleria na­zionale di Umbria, è la forte model­latura del corpo di Gesù a potenzia­re l’appello psicologico, presente nello sguardo che invita il credente a compatire il Salvatore e, partecipe per la compassione della sua soffe­renza, a penetrare il senso del «mi­stero della pietà». Similmente, nella maestosa Madonna col Bambino di Arnolfo di Cambio per il nuovo du­o­È mo di Firenze, iniziato nel 1296, è la plasticità della figura – le forme ab­bondanti del corpo materno intuite attraverso gli ampi drappeggi roma­ni – a comunicare il mistero dell’In­carnazione. Il piccolo Cristo che Ma­ria tiene davanti a sé sembra vera­mente venire dal corpo tridimen­sionale della madre, e, con il rotolo nella mano sinistra, rappresenta in termini quasi letterali le parole del Prologo giovanneo, «Il Verbo si è fat­to carne». Il corpo non si sostituisce al simbolo, ma il potere iconico del simbolo viene a inabitare corpi ora capaci di sostenerlo: corpi la cui di­gnitas
naturale lascia trasparire la presenza del soprannaturale. Tutto l’ambito dell’esperienza corporea – il mondo, la natura, l’ordinarietà del­le cose – acquista un’importanza quasi sacrale, come se si fosse a­dempiuta la profezia di Zaccaria, che nell’ultimo giorno «anche sopra i so­nagli dei cavalli si troverà scritto: 'Sa­cro al Signore'» (Zc 14,20).
Per la prima volta in più di mille an­ni, ambienti e cose vengono descritti
con realismo. Ad Assisi, nell’affresco della basilica superiore raffigurante il Natale a Greccio , l’artista situa l’e­vento nel presbiterio di una chiesa, e riproduce – con una fedeltà ottica assolutamente nuova – i compo­nenti caratteristici dell’area liturgi­ca di una chiesa conventuale dell’e­poca: il tramezzo con il pulpito e la croce dipinta, visti da dietro; il «ba­dalone » o leggio che serve alla scho­la cantorum, con perfino l’elenco dei canti appeso alla base; il bel ciborio sopra l’altare, che evoca quelli fatti a Roma nella cerchia di Arnolfo ap­pena dieci anni prima!
Da qui nasce il Giotto della Cappel­la Scrovegni, da qui Masaccio, Pie­ro, Giambellino, Michelangelo e Ti­ziano; e da loro poi i grandi maestri del Seicento. Il naturalismo che tra­sformò l’arte italiana tra la metà del Due e l’inizio del Trecento, e che si stava sviluppando anche in Europa settentrionale e nella penisola ibe­rica, fu poi destinato a rimanere il linguaggio dell’arte occidentale fino alla metà dell’Ottocento.