PIERANGELO SEQUERI
Mi pare che la metafora del « cortile dei gentili » , messa in campo da Benedetto XVI, e assegnata all’intera comunità ecclesiale, debba essere ben decifrata. Il Papa parla, con passione spontanea, di un luogo in cui gli uomini « possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio senza conoscerlo » , addirittura « prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero » . Sono coloro per i quali la religione è « cosa estranea » ; e nondimeno, non vorrebbero « rimanere semplicemente senza Dio » , bensì « avvicinarlo almeno come Sconosciuto » . Parole forti, nelle quali brilla persino il lampo del paradosso. Esistono uomini per i quali la religione è cosa estranea e nondimeno sono desiderosi di rimanere nelle vicinanze dell’Ignoto che i credenti chiamano « Dio » ? Se si ragiona per idee distinte, l’eventualità sembra improbabile. Ma se si ragiona esistenzialmente e storicamente, allora si potrebbe anche dire che questa è semplicemente la condizione più comune. Dico di più. Dal mio punto di vista, se si prendesse sul serio questa formulazione, così sorprendentemente « dialettica » , molte idee – sociologiche, ma anche teologiche – sulla secolarizzazione dovrebbero essere riviste. E forse anche molte disinvolte approssimazioni sul cosiddetto ritorno del religioso. Provo a spiegarmi. Il processo di secolarizzazione della sfera pubblica condivisa, come effetto collaterale, ci ha resi orfani della « religione dei padri » . Il ritorno del religioso è mille cose diverse. Di certo, non è il ritorno della religione dei padri ( e delle madri): quella cioè la cui forza consisteva proprio in questa connotazione fondativa di ereditarietà e generazione, con tutti i corrispondenti vincoli. Di fatto, l’Occidente assomiglia ora ad un immenso orfanotrofio. La maggior parte dei suoi abitanti lo sa e lo patisce, ma non può dirlo. Quando si dice che l’Occidente odia se stesso, e vive allegramente, è al risentimento degli orfani, esibito come cinismo, che ci si riferisce. Il cristianesimo ne è provocato, anche duramente. Ma nel corpo a corpo in cui lo si avvinghia, mi sembra anche paradossalmente trattenuto, perché non se la svigni. Non prima di averne ottenuto, almeno, fuori da ogni gergo autoriferito, il segreto del come si viene sopraffatti – eppure anche felicemente sciolti dall’ossessione del Nulla – nella rivelazione dello Sconosciuto. Giusto per sapere che non siamo matti quando pensiamo, in tutta scienza e coscienza, che non siamo una variabile sofisticata del ciclo alimentare e riproduttivo degli organismi viventi. Per piccola che sia, la comunità cristiana è convocata a concepirsi come grembo epocale per un’esperienza inedita. La sua ospitalità riguarda oggi, per la prima volta, una moltitudine di singoli che non si percepiscono né come « figli » del Padre né come « creature » di Dio. Ma che si sentono convintamente « orfani » di Lui. Missione delicata e cruciale, benché appassionante e creativa. La cultura cristiana non dovrà costringerli all’abiura nei confronti della inedita coscienza della dignità individuale che l’Occidente ha generato per tutti i popoli e le religioni del mondo, grazie al seme cristiano. Ma dovrà ospitare il loro doloroso disincantamento nei confronti del monoteismo del Sé in cui sono stati cresciuti. E abbandonati. Ho l’impressione che questo cortile dei Gentili dovrà essere bello grande.
Avvenire 10 febbraio 2010